«La Carità vincerà»
Lettera ai cristiani d’Occidente da un vescovo del mondo arabo. Gli islamici non sono insensibili all’amore cristiano. Ma non bisogna essere timidi quanto alla propria identità
Tempi, Numero: 24 – 10 Giugno 2004
chi Vi scrive è il vescovo di Tunisi: il mio è un piccolo gregge originario di ben 44 paesi. Siamo tutti stranieri, ma nella preghiera diventiamo una sola famiglia. Il Signore, nella nostra situazione di minoranza, non ci lascia mancare le sorprese: il 22 maggio scorso abbiamo avuto, dopo 42 anni, la grazia di vivere l’evento di due ordinazioni sacerdotali. E altri due sacerdoti stranieri hanno chiesto di prestare servizio nella nostra diocesi.
Mi permetto sottoporVi qualche osservazione scaturita dall’attualità e dalla nostra esperienza: per quanto riguarda la situazione generale nei paesi arabi, dopo l’attentato alle Twin Towers e la guerra in Irak sono diminuite la fiducia nella giustizia internazionale e la serenità. Siamo feriti tutti e viviamo anche noi il terrorismo con dolore, come Voi in Occidente. Anche in Medio Oriente gli attentati sono stati centinaia. La violenza è in ogni paese, perché è nel cuore dell’uomo. A noi cristiani resta comunque e sempre la certezza di appartenere a quella grande Chiesa universale, di cui fanno parte anche tutti quegli uomini di buona volontà, e sono molti, che lottano contro la violenza insieme a noi. La questione non è solo l’Irak di Saddam, ci sono altri interessi in gioco e, soprattutto, non si può voler cambiare tutto il Medio Oriente con la forza. Occorre tempo, fare del bene e continuare un dialogo che da parte della comunità cristiana non si è mai interrotto. Oggi l’islam è un mondo in crisi che crede, a volte, di trovare forza e garanzia nel fanatismo. Dobbiamo curarlo non con la guerra, ma dandogli amore e speranza, dentro una situazione mondiale che non aiuta.
In Italia e in Europa Voi conoscete una sempre più grande immigrazione dal Terzo mondo, compresi i paesi islamici, il che pone dei problemi culturali e identitari… Per parte mia, avrei voluto ringraziare il musulmano che ha chiesto di togliere il Crocifisso da quella scuola in Abruzzo! Grazie a questo episodio molti italiani cattolici si sono svegliati. Occorre affermare l’identità cristiana con coraggio, senza complessi, senza alcun timore reverenziale: il “basso profilo” non serve ed è denigrato dai musulmani stessi. Non basta lamentarsi e denunciare. Di fronte al disagio, alla paura, alla violenza dobbiamo chiederci: cosa facciamo noi cristiani per rimediare, per salvare, per aiutare? Certo, molto importante è conoscersi reciprocamente a livello culturale: a Tunisi c’è una facoltà dell’università dedicata al dialogo fra culture; ma non basta il risvolto intellettuale, occorre la maturazione del singolo, cristiano e musulmano, nel quotidiano. La cultura del dialogo deve iniziare anche nelle scuole, nelle chiese e nelle moschee! Devono essere incoraggiati gli incontri nazionali e internazionali su questo tema. Dev’essere ascoltata la voce del Magistero. L’immigrazione può essere una ricchezza e l’Italia deve essere orgogliosa di essere stata scelta quale mèta; tuttavia, per renderla meno selvaggia, occorre intensificare gli aiuti a quei governi che si impegnano a diffondere l’istruzione e aumentare la possibilità di lavoro in loco e, sul piano culturale, intensificare gli scambi a livello accademico e scientifico per favorire quelle componenti del mondo musulmano che vogliono un rapporto aperto con la modernità. Occorrono patti chiari con i paesi di provenienza e regole da far rispettare con fermezza, certamente, anche se non è solo un problema di polizia di frontiera, ma di giustizia, economia, legalità, umanità… Incentivare le misure per l’integrazione scolastica, sociale e abitativa, è la base per una futura buona convivenza. Occorre tenere presente che il fondamentalismo trova terreno fertile nella povertà, nell’ignoranza e nell’ingiustizia.
Nella nostra esperienza si dimostra che la testimonianza cristiana e la carità “sfondano” sempre, anche nell’universo musulmano. Inoltre per dialogare occorre prima di tutto una solida conoscenza della fede cristiana cattolica, un’adesione decisa al Magistero della Chiesa, che è la garanzia della sequela di Cristo. Pochi sono all’altezza di intraprendere un dialogo teologico. Invece il dialogo di amicizia, di aiuto, di servizio, è fattibile, entra, penetra. La carità rimane sempre il linguaggio più bello. E tutti possono fare qualcosa secondo le proprie possibilità, possono seminare: i frutti, il come e il quando si raccoglieranno, li lasciamo al Signore.
di Fouad Twal