Francesca Pannuti, SOCRATE, LA MORTE DI UN LAICO E ALTRI SAGGI, Aracne ed., aprile 2009, ISBN 978-88-548-2437-9, pp. 152. Euro 11.
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PRESENTAZIONE DI P. Alfonso Aguilar, pp. 13―15:
Per un recupero della vocazione originaria della filosofia
«È da osservare che uno dei dati più rilevanti della nostra condizione attuale consiste nella “crisi del senso”» (Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Fides et ratio, n. 81). Oggi la filosofia non solo non è capace di superare la crisi di senso, ma è addirittura una delle cause più importanti di questa crisi.
Ecco perché «la filosofia, che ha la grande responsabilità di formare il pensiero e la cultura attraverso il richiamo perenne alla ricerca del vero, deve recuperare con forza la sua vocazione originaria» (Fides et ratio, n. 6).
Per poter realizzare questo auspicato rinnovamento, bisognerà considerare innanzitutto qual è la “vocazione originaria” della filosofia. In queste pagine la Dott. ssa Francesca Pannuti ci presenta tale vocazione non solo in modo teoretico, con la forza delle idee, ma anche in modo vissuto, con la forza della testimonianza di quel laico — non laicista — che a distanza di ventiquattro secoli è ancora modello dell’autentico filosofare. Per Socrate, infatti, la filosofia era il modo più umano di vivere, la scienza che sa rendere ragione dell’essenza di ciascuna realtà, la liberazione dal più grande dei mali che è l’ignoranza vissuta nel vizio, un incontro provvisorio con la sapienza divina, la contemplazione del trascendente, una terapia per guarire l’anima e una giusta preparazione alla morte per salvare l’anima.
La morte di Socrate divenne la vittoria della razionalità e della religiosità. Per questo motivo, «non è senza significato che il pensiero filosofico abbia ricevuto un suo decisivo orientamento dalla morte di Socrate e ne sia rimasto segnato da oltre due millenni. Non è affatto casuale, quindi, che i filosofi dinanzi al fatto della morte si siano riproposti sempre di nuovo questo problema insieme con quello sul senso della vita e dell’immortalità» (Fides et ratio, n. 26).
Con acuta penetrazione e la passione di un’autentica filo-sofa —“amante della sapienza” — Francesca Pannuti ci rivela l’attualità del significato della morte dell’ateniese pre–cristiano, secondo cui, come dice l’Autrice a pagina 26, la sapienza umana «è realmente nulla, ma non in sé, bensì solo in riferimento alla sapienza divina, la quale, solamente, è». Socrate ci insegna la giusta scala dei valori, relativizzando tutto a vantaggio di beni spirituali universali e perenni. Ci insegna che il filosofare è una missione sacra, per cui bisogna saper sopportare le sofferenze. E ci insegna ad affrontare il viaggio per l’altro mondo con « il lógos e il mito, il ragionamento e la credenza» (p. 42). «Filosofia, indagine sulla verità, moralità, religiosità in Socrate non sono concepiti se non in stretta correlazione» (p. 46).
L’ammirevole atteggiamento di un laico credente e ragionevole come Socrate viene portato a compimento con la grazia di Cristo, il quale ci offre la partecipazione alla Vita stessa di Dio, nella piena e perfetta felicità. Per questo motivo, l’Autrice ci invita a «lasciarsi istruire dalla Verità nell’interiorità, che nel cristianesimo è il Lόgos» (p. 60).
La filosofia odierna, invece, assolutizzando i limiti e i condizionamenti della conoscenza umana, ha spesso bloccato la ricerca della verità ultima, lasciando l’uomo in balia dell’arbitrio e dei criteri pragmatici, generando varie forme di agnosticismo e di relativismo, e creando in questo modo un clima culturale di generale scetticismo.
Questa crisi gigantesca del pensiero si veniva preparando da tempo. Possiamo, forse, distinguere idealmente tre tappe del percorso filosofico moderno che diventa sempre più anti-cristiano e contrario al rapporto d’armonia tra fede e ragione e quindi sempre più immanentistico e soggettivistico: la svolta «razionalistica» del Seicento e del Settecento, la svolta «storicista» dell’Ottocento e quella «linguistica» del Novecento, da cui non si salva nemmeno la fenomenologia di Husserl, come possiamo leggere nel penultimo saggio di questo libro.
La proposta della Pannuti è quella del Papa Benedetto XVI: «La fede suppone la ragione e la perfeziona; e la ragione, illuminata dalla fede, trova la forza per elevarsi alla conoscenza di Dio e delle realtà spirituali. La ragione umana non perde nulla aprendosi ai contenuti di fede, anzi, questi richiedono la sua libera e consapevole adesione» (p. 108).
Non si tratta, perciò, di una scelta tra fede e ragione, bensì di una scelta socratica e cristiana per la fede e la ragione. Si ragiona credendo e si crede ragionando. Solo se usiamo bene le due ali della ragione e della fede potremo volare fino alla pienezza dell’incommutabilis veritas.
Nelle pagine del suo Socrate, la morte di un laico e altri saggi, Francesca Pannuti va seminando semi di sapienza antica e moderna — da Platone, sant’Agostino e san Tommaso fino a P. Thomas Tyn e Solov’ëv — con lo scopo di far risuscitare la dimensione sapienziale della filosofia di ricerca del senso ultimo e globale della vita.
Questo libro, che saggiamente la casa editrice Aracne ha voluto pubblicare, offre un prezioso contributo alla filosofia odierna perché possa recuperare la sua vocazione originaria — quella socratica — per formare il pensiero e la cultura attraverso il richiamo perenne alla ricerca del vero.
P. Alfonso Aguilar, L.C.
Ateneo Pontificio Regina Apostolorum
Roma
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INTRODUZIONE, pp. 17—19:
«La religione è la più grande ribellione dell’uomo che non sopporta di vivere da bestia, che non si rassegna — non trova riposo — finché non conosce ed entra in rapporto con il Creatore» (San J. Escrivà, Amici di Dio, nn. 37–38.).
Questo l’anelito di fondo che dà ispirazione unitaria ai saggi raccolti in questo testo.
Ciò che ha sempre costituito per me un impulso forte nella mia riflessione filosofica è stata proprio la constatazione — che in me ha assunto la forma di certezza incontrovertibile — secondo cui l’uomo è spinto irresistibilmente dal desiderio di felicità e che questo non possa che trovare soddisfazione in Dio. In definitiva, che nell’uomo c’è un anelito fortissimo a Dio, proprio a livello naturale. Il convincimento, tutto moderno, per cui la “laicità” contrasta con la “religiosità” prende, al contrario, le mosse da un pregiudizio fondamentalmente antireligioso che misconosce la realtà dell’essere umano, che è per natura orientato al suo Creatore.
Ora, la mia convinzione, secondo cui chi ricerca la verità in modo sincero non può non giungere alla scoperta di Dio e della possibilità di un rapporto con Lui, da un lato mi ha condotto a cercare nel percorso fatto dall’umanità nell’indagine sul vero e sul bene quali potevano essere le cause dell’attuale smarrimento del senso della verità. Quest’ultimo, invero, prima che essere un allontanamento dalla fede è una vera e propria dissoluzione della ragione. E’ essa che, prima di tutto, ha perso se stessa e i suoi fondamenti e forse ciò è accaduto proprio perché si è posta in contrasto con la fede. Quella fede che non si poneva in alternativa alla ragione, ma ne costituiva un alto perfezionamento, uno slancio verso una pienezza inaudita. Ora, però, che la rivelazione cristiana si è già verificata con l’avvento di Cristo, il negare la fede non rappresenta per la ragione un ammettere i propri limiti o un rifiutare una “possibilità” remota, bensì piuttosto un negare a se stessa l’apertura verso la pienezza di verità cui anela e che le è concretamente offerta.
Nel cammino a ritroso nell’indagine per scoprire le cause del dissolvimento della ragione mi sono posta anche l’obbiettivo di cercare un’impostazione di pensiero che potesse soddisfare in modo più appropriato le domande più importanti della ragione e che, in modo autentico, potesse avere il nerbo per poter fare luce sulle deviazioni del pensiero moderno e contemporaneo che hanno portato a tale crisi e superarle.
In questi testi ho tentato di esporre il risultato di tali indagini, mostrando che quando la ragione viene usata in modo corretto conduce al Creatore e che per una corretta elaborazione della fede in campo teologico è di fondamentale importanza partire da presupposti razionali corretti, pena la caduta in concezioni deformate su Dio e sui misteri concernenti l’economia della salvezza.
Ecco quindi che l’uomo di oggi per realizzare quell’anelito di felicità che gli è proprio non può più fare a meno della fede in quella rivelazione che ormai gli è stata proposta e di cui quindi è responsabile, e deve perciò servirsi della ragione e della fede proprio come due ali per giungere alle mete più alte cui è chiamato:
Poiché, infatti, l’ultima beatitudine dell’uomo consiste nella sua operazione più alta che è l’operazione dell’intelletto, se l’intelletto creato non potesse mai vedere l’essenza di Dio, o non otterrebbe mai la beatitudine oppure la sua beatitudine consisterebbe in qualcosa di diverso da Dio: il che è contrario alla fede. In Lui, infatti, c’è l\’ultima perfezione della creatura razionale, poiché è il principio dell’essere. Ogni cosa è perfetta, invero, in quanto attinge il suo principio: in modo simile accade anche al di là della ragione. Infatti, è insito nell’uomo il desiderio naturale di conoscere la causa, quando si conosce l’effetto, e da ciò scaturisce negli uomini l’ammirazione. Dunque, se l’intelletto della creatura razionale non potesse attingere la prima causa delle cose, rimarrebbe vano il desiderio della natura. Ne deriva che bisogna ammettere in modo assoluto che i beati vedono l’essenza di Dio. (San Tommaso D’Aquino, Summa Theologiae, I–I, q. XII, a. I)