(ST) La crisi della famiglia tra leggi ingiuste

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Se capita di guardare un film che racconti la famiglia
degli anni ’50, e poi se ne guarda uno che descriva
una famiglia media italiana d’oggi, risultano
immediatamente le differenze.

Allora c’era una figura paterna autorevole, anche
autoritaria, nel rispetto della quale si sviluppavano
le vite di tutti gli altri componenti della famiglia,
che era ancora intesa come un’essenziale scuola di
umanità, e dalla quale si era proiettati nel mondo
con una precisa costellazione di valori, secondo cui
orientarsi.
Il tradimento era un reato e la famiglia fondata su un
legame indissolubile.
Quanta costrizione, quanta poca libertà… Oggi invece uno dei registi italiani che hanno più
successo di botteghino, Gabriele Muccino, descrive la
famiglia non più come un’istituzione che viene prima
della società, come punto d’unione e d’amore, ma come
un crocevia di individualismi che mette a dormire
sotto lo stesso tetto persone tristi e deluse, adulti
che giocano a fare gli adolescenti e adolescenti mai
cresciuti con una vita da adulti, in ogni senso.

Libertà!
La libertà di un padre tardosessantottino di sentirsi
giovane cercando nuove avventure amorose e quelle di
una donna in fuga dalla sua condizione di madre e
moglie che evidentemente non l’ha resa felice…

Mi domando cosa ci sia stato in mezzo tra questi due
periodi, e mi rispondo: il favoloso 1968 e gli anni ’70
in cui tutto è stato messo in discussione, che hanno
ribaltato il vecchio ordine di valori, hanno capovolto
la naturale gerarchia padre-figlio e hanno distrutto
la vocazione dell’amore alla fedeltà sostituendolo con
uno «libero».

Ed oggi si continua a credere, perché qualcuno continua
a parlarne, che le conquiste di quegli anni siano state
conquiste di civiltà; ci hanno trasmesso in eredità le
tanto agognate libertà civili.

La legislazione di quegli anni ci ha regalato la
conquista del divorzio e poi, quella ancora più
insopportabile dell’aborto, più elegantemente
«interruzione volontaria della gravidanza», che consente
alla madre di disfarsi di un innocente nel periodo tra il
concepimento e il parto, quando non può innalzare neanche
un lamento per opporsi al suo triste non-destino.

Contro questo degrado, si è alzata una voce forte,
autorevole.
L’Unione Giuristi Cattolici dell’area vesuviana di Napoli
ha organizzato un convegno su tematiche che a giudicare i
mezzi di comunicazione di massa, sono per lo più fuori
moda, e invece alla gente stanno a cuore.

Era gremita, nonostante l’enorme caldo, la sala di villa
Savonarola a Portici, che ospitava la conferenza.
Tema del convegno, «La crisi della famiglia tra leggi
ingiuste e responsabilità dei giuristi», invitati a
parlarne, dal presidente dell’associazione, l’avv. Alberto
De Cristofaro, c’erano il Presidente del Tribunale di
Avellino, dott. Giuseppe Tecce, e il reggente regionale
di Alleanza Cattolica, avv. Giovanni Formicola.
Presenti in sala numerosi magistrati e avvocati, che
evidentemente non si interessano solo di manifestazioni
girotondine, e molta gente attirata dal tema.

Tutti i relatori hanno riconosciuto la famiglia come un
bene necessario e insostituibile per la società, per la
sua intrinseca apertura alla vita, e in quanto rispondente
ad un bisogno antropologico dell’uomo, che necessita di
amore stabile.

Il Presidente Tecce ha condotto per mano la platea
attraverso il percorso legislativo che dall’introduzione
del divorzio nel 1970, che però conservava l’obbligo di
fedeltà in capo ai coniugi, alla riforma del 1975, che ha
dissolto quest’obbligo, e poi ancora attraverso la legge
di riforma del 1987 che ha aperto ancor più la strada alla
separazione, ha dimostrato la tendenza del legislatore a
sostituire il favor familiae, che pure è ancora presente
nella nostra Carta Costituzionale, come società naturale
fondata sul matrimonio, con un favor libertatis prima e un
favor divortii, infine.

Così nel nostro ordinamento, che ha sempre previsto la
separazione per cause ben determi-nate, come l’adulterio
o l’abbandono, sono entrati a far parte discutibili valori
che in nome di una non meglio precisata libertà, consentono
agli uomini di sfaldare le famiglie che liberamente hanno
formato – venendo meno a quel legame indissolubile che si
erano promessi e a quel vincolo di fedeltà in nome del
quale si erano giurati amore eterno –, per vivere una vita
pretesa finalmente «libera».

Su quanto «desiderabile» fosse questa libertà, fa
riflettere l’intervento dell’avv. Formicola, che inizia
citando una rivista pubblicata negli anni ’70 che si
intitolava non a caso, «Contro la famiglia».
L’esponente di Alleanza Cattolica dimostra la rilevanza
sociale della famiglia in quanto rispondente anzitutto
alla necessità di perpetuare la specie umana, e come
tale meritevole di tutela e promozione da parte dello
STATO.

La procreazione quindi, è all’origine della famiglia, ma
non fine a se stessa, essendo quella umana una specie a
prole inetta, bisognosa di essere allevata, nutrita, ma
anche educata, perché l’individuo possa essere partecipe
del mondo che lo circonda.

Chi altri, se non i genitori, ha il dovere e il diritto
di continuare e perfezionare l’opera iniziata con la
procreazione, nella quale in maniera più evidente risulta,
dalla durata del frutto, l’indissolubilità del legame che
ha portato alla luce una nuova vita?
E il figlio che porta in sé parte di ognuno dei genitori,
come può superare la lacerazione interiore cui è
sottoposto quando questi si dividono?

La dipendenza del figlio nei confronti dei genitori,
continua l’avvocato Formicola, testimonia la naturale
gerarchia del rapporto familiare.
Ma questa gerarchia, con l’autorità che ne deriva, ha
come fine la crescita della prole e quindi non si traduce
in una potestà assoluta su di essa, essendo per la vita e
non per la morte già dalla fase intrauterina.

L’uomo quindi per vivere si nutre di tradizione, un
trasmettere ed un ereditare continui, che inizia proprio
dalla famiglia al momento della nascita, quando
l’individuo, insufficiente a se stesso, viene accolto nel
luogo che risponde naturalmente alla sua vocazione umana.

Allora è chiara per la società e per lo Stato la funzione
della famiglia, come istituzione naturale che viene prima
di essi.
Ma secondo la sua natura feconda e stabile, quindi in
antitesi con le unioni di fatto, per definizione precarie
e fluide, e ancor più con le unioni omosessuali per
natura infeconde.

Le amministrazioni pubbliche che rimangano indifferenti
su questo punto, o che ancora peggio promuovano queste
invenzioni fantasiose credendo di farle corrispondere
all’istituzione fa-miliare, sono responsabili di un
atteggiamento apatico nei confronti della vita o della
morte di una società.
Sono indifferenti alla sua proiezione nell’avvenire o al
suo degrado.

In assenza di misure opportune l’apertura a questa strana
idea  di famiglia provocherà un grave deterioramento del
tessuto sociale, per cui, osserva l’avv. Formicola, sono
auspicabili politiche familiari vere che difendano
l’istituzione familiare oggi più che mai bisognosa di
tutela oltre che di promozione.

Tramandare di padre in figlio senza tasse di successione
il proprio patrimonio è una politica per la famiglia; non
lo è una politica economica e fiscale vessatoria,
statalista e socialisteggiante, che non riconosca alla
famiglia il primato sull’educazione e la trasmissione ai
figli della cultura e dell’identità nazionale.

E non è certo con il declassamento dell’unione coniugale
a livello di quello delle unioni di fatto che si tutela
la morale della famiglia, fondata su un indissolubile
legame d’amore e su un’eterna promessa di fedeltà al
marito o alla moglie, esseri scelti non per riempire una
solitudine, ma come esigenza d’amore attivo, attivo è per
sempre.

Iniziative come queste sono preziose a quanti ormai
l’immaginario collettivo fa sembrare dei pazzi fuori del
mondo, per non sentirsi più tanto soli, perché si è in
molti, e anche a far riflettere quanti credono di potersi
emancipare da una condizione naturale senza soffrire.

È evidente che le coscienze dei più, intimamente, non
hanno smesso di avvertire le stesse esigenze che
descriveva quel buon regista degli anni ’50.
Un plauso all’UGCI,  perché questo convegno ha contribuito
a realizzare senza dubbio uno dei suoi fini statutari:
l’attuazione dei principi dell’etica cristiana e, si può
aggiungere, la sua diffusione consapevole e convinta.

Francesco Acanfora
(C) Senza Testata, 17-7-2003