Rino Cammilleri, per Il Timone
SANTI, RELIQUIE E PADRIPII
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Nel commentare la riesumazione della salma di Padre Pio (notte tra il 2 e il 3 marzo 2008) e l’annuncio della sua esposizione dal 24 aprile p.v., Claudio Magris sul «Corriere della Sera» del 16 aprile u.s. non ha potuto frenare la sua indignazione. Prendendo punto dalla denuncia penale sporta dall’Associazione «Padre Pio-Uomo della Sofferenza» contro il vescovo di San Giovanni Rotondo per vilipendio di cadavere e profanazione di sepoltura (respinta dal magistrato con la motivazione che nessuno può far valere in giudizio in nome proprio un diritto altrui e che spetta alla Chiesa tutelare gli interessi dei suoi fedeli), Magris sposa senz’altro la posizione dei denuncianti, che invitavano a non esporre la salma del Santo «per vanità degli uomini». Anche perché pare che Padre Pio stesso (ma, secondo chi scrive, è tutto da verificare) abbia espresso, quand’era in questo mondo, il desiderio non essere né riesumato né traslato dalla cripta della vecchia chiesa di Santa Maria delle Grazie. Quest’ultima motivazione, fosse vera, dovrebbe da sola chiudere il discorso e dar ragione all’Associazione. Purtuttavia, anche in questo caso c’è un problema: i fedeli.
Sono già più di settecentomila quelli che si sono prenotati per visitare la salma quando verrà esposta.
Settecentomila.
Serio dilemma di teologia: vale di più, in casi del genere, la volontà del de cuius come nei testamenti, o, trattandosi di Santi, predomina quella del popolo cattolico? In effetti, un canonizzato non può appendere un cartello alla sua porta con su scritto: ho già dato, non disturbare. Infatti, è stato canonizzato perché sia exemplum et intercessor. Né si è mai sentito di un Santo che si rifiutasse di far da tramite, dopo morto, tra Dio e il popolo. Lo stesso Padre Pio si espresse in tal senso, più volte. Avendo personalmente pubblicato una biografia di Padre Pio (Piemme), chi scrive sa bene quanti miracoli procurarono (e procurano) pezzetti di saio, frammenti di guanti, bende macchiate di sangue, perfino schegge della panca su cui sedeva il cappuccino pietrelcinese. Magris, tuttavia, è convinto che l’Associazione, insorgendo contro il sacrilegio ai danni di Padre Pio, «gli rende più onore di chi si esalta per gli olezzi di rose, violette e gigli che sarebbero sparsi dalle piaghe di un santo non solo seriamente messo in discussione da alcuni critici (si riferisce al libro di Sergio Luzzatto, ndr) ma ora anche degradato a santone da suoi improvvidi seguaci». Nel caso non avessimo ben capito, eccole cantate più chiare: «Su questa strada, si arriva all\’aberrante richiesta del vescovo polacco Tadeusz Pieronek di estrarre il cuore dal cadavere di Giovanni Paolo II per conservarlo in Polonia, indecente stortura che fa venire in mente la fiaba di Biancaneve e la cattiva regina che vuol farle strappare il cuore». Chi scrive ha già avuto modo di spiegare, sul settimanale «Oggi» uscito lo stesso giorno dell’articolo di Magris, il punto di vista cattolico sulla faccenda del cuore di Wojtyla, ma varrà la pena riaccennarvi qui, anche perché il culto delle reliquie è uno dei motivi che hanno fatto scoppiare la rivoluzione luterana e, ancora oggi, è inviso al colto e all’inclita. Anche in campo cattolico, l’ala sinistra (chiamiamola così) postconciliare (il più lungo postconcilio della storia, e ancora non se ne discerne la fine) non lo sopporta. Questa posizione può benissimo essere sintetizzata con il titolo dell’articolo di Magris: «Le reliquie non servono alla fede: si crede con il cuore e la ragione». Titolo moderato e condivisibile, ma poi si trovano espressioni inequivocabili: «idolatria feticista» o «gli effetti speciali delle Madonne di gesso che piangono». E, in crescendo: «…il feticismo superstizioso della macabra esibizione di qualche … arto, più o meno putrefatto o conservato, profana non meno del feticismo erotico che si accende per un piede o un seno e non per una persona». Certo, per non correre il rischio di non venir ricompresi nel ringraziamento di Gesù al Padre «per aver nascosto queste cose ai sapienti ed averle rivelate ai piccoli», si ammette che «la religiosità popolare ha certamente “le sue dimensioni interiori e i suoi valori innegabili”, come diceva Paolo VI; emozioni collettive che esprimono una fede nel mistero e un bisogno di sicurezza». Ma mica tutti hanno «bisogno di sicurezza». Perciò, la religiosità popolare di cui sopra «va valorizzata nelle sue espressioni giuste» (e sarebbero? ndr), purché «purificata dagli elementi negativi» e, sempre come dice Paolo VI, «aiutata a superare i suoi rischi di deviazione». Si ha l’impressione, tuttavia, che né Magris né i postconciliari abbiamo gran dimestichezza con le relazioni mediche che accompagnano la constatazione di un miracolo da parte delle autorità ecclesiastiche. Prendiamo, per esempio, s. Riccardo Pampuri, morto nel 1930. Nel 1982 un ragazzino spagnolo, tal Manolo Cifuentes, si perforò accidentalmente un occhio con un ramo mentre lavorava in giardino. Il medico lo dava per perso, quell’occhio. Poiché i dolori erano terribili, la notte il padre mise sotto la benda ciò che aveva trovato per caso in un vecchio cassetto: una scatoletta con dentro qualcosa che sembrava un pezzettino di stoffa e una scritta in latino tutta abbreviazioni incomprensibili. Il figlio si addormentò subito e l’indomani si svegliò con l’occhio intatto. Era una reliquia di s. Riccardo Pampuri, ma papà Cifuentes non aveva mai sentito nominare quel religioso italiano. La sua era stata, dunque, pura «superstizione», un gesto dettato dal non saper più che fare. Di queste «superstizioni» sono pieni duemila anni di storia del cristianesimo e, da quando la scienza medica è diventata «moderna», anche i referti conservati negli archivi della Congregazione per le cause dei Santi. Fede e ragione, sì. Ma qualcuno ci spieghi come si fa ad aver «fede» in un Santo che non si è mai sentito neppure nominare e dove sta la «ragione» nell’infilare tra le bende di un occhio sanguinante una vecchia scatola che potrebbe anche essere infetta. Eppure, è il miracolo che ha canonizzato s. Pampuri, ed è tutto scritto nero su bianco in Vaticano. Nel Medioevo il corpo di s. Luigi IX re di Francia venne bollito appena morto, per cavarne le ossa e farne reliquie. Ci rendiamo conto di quanto ciò scandalizzi l’intellettuale odierno, cui certe cose ricordano le ciocche di capelli di Elvis Presley o le chitarre sfondate di Jimi Hendrix, battute a caro prezzo d’asta, oggetti non a caso definiti «cult» e i cui acquirenti si chiamano «fan» (da fanatic). Già, però non risulta che i rottami dell’auto di James Dean o i reggiseni di Marilyn facciano miracoli. Il culto delle reliquie dei Santi è intrinsecamente ed esclusivamente cattolico. Esso ha a che fare col dogma della resurrezione dei corpi. E con l’Incarnazione. Che la materia possa essere santificata è cosa dura da digerire fin dai tempi degli antichi gnostici. E ancora oggi si sente, anche tra credenti e praticanti, lo sdegno di chi entra in chiesa e vede gente che si dirige subito dal suo Santo preferito anziché al Tabernacolo. Ma è stato Dio stesso a volere degli intercessori. Si vorrebbe insegnare a Dio a fare il suo mestiere? Il Santo è colui cui Dio non può rifiutare niente. Noi, riconoscendoci indegni di rivolgerci direttamente al Padre, chiediamo a questo fratello che è già presso di Lui, sicuri che, a differenza di noi peccatori, verrà ascoltato. E’ come se gli dicessimo: papà mi tiene il broncio perché mi sono comportato male, parlaci tu, ché a te t’ascolta, digli di questa mia necessità. E se io di mestiere faccio, per esempio, il calzolaio, perché non rivolgermi a s. Crispino che, avendo fatto il mio stesso mestiere, sa bene qual sia la mia vita e i suoi problemi? Scrutando il Vangelo, sembra proprio che Dio tenga moltissimo all’umiltà. E, in effetti, per un intellettuale ce ne vuole, di umiltà, per rivolgersi a s. Antonio per ritrovare una cosa perduta. O a s. Dinfna per l’emicrania. No, figurarsi, questa è roba da Medioevo, superstizione e feticismo come il culto del cuore di Wojtyla e il rosario di plastica fosforescente e le madonne di gesso (mai una di Caravaggio!) che piangono. No, una fede «adulta» se la vede direttamente con Dio. Forse per questo ancora aspetta la grazia.