Racconti di un pellegrino russo

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Racconti di un pellegrino russo, a cura di A. Ferrari, con introduzione di T. Špidlìk, Roma, Città Nuova, 2004, pp. 304, € 8,00

Il testo di autore anonimo, risalente alla metà del XIX secolo (le annotazioni di altra mano presenti sul manoscritto portano la data del 1859) e pubblicato per la prima volta a Kazan nel 1881, è considerato un classico della spiritualità orientale. Nella presente edizione i sette racconti che compongono il libro sono preceduti da una Presentazione del traduttore Aldo Ferrari (pp. 5-6), da un’Introduzione del cardinale Tomàš Špidlìk (pp. 7-42) e dalle Osservazioni sulla storia del testo di Alekseij Pentkovskij (pp. 43-88).
Ferrari offre in poche righe una sintesi efficacissima dell’atmosfera in cui è catapultato il lettore dei Racconti, il cui fascino deriva «dal loro essere un suggestivo punto di incontro di molteplici tradizioni e prospettive: la severa ascesi di origine bizantina e la tensione itinerante dei pellegrini russi, l’angustia di una cella monastica e le distese sconfinate della Siberia, l’atmosfera narrativa fiabesca e sacrale della Santa Russia, ma sullo sfondo le tensioni culturali e sociali che avrebbero determinato nel volgere di pochi decenni il crollo di questo mondo» (p. 5).
Špidlìk si sofferma sulla condizione di pellegrino – che nella tradizione cristiana, anche occidentale, è parabola dell’intera vita dell’uomo, in viaggio verso Dio – è in particolare di «pellegrino russo! In questo paese di immensi spazi, una vasta categoria di persone, chiamate stranniki, passava la vita visitando santuari, chiese, monasteri, il Monte Athos, la Terra santa» (p.8).
Successivamente traccia una storia e una descrizione di quella preghiera tradizionale dell’Oriente cristiano, la cui scoperta costituisce il filo conduttore dei Racconti: la Preghiera di Gesù, o Preghiera del cuore. Si tratta della pratica antichissima dell’invocazione del divino nome del Salvatore – «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me» -, nome la cui sola pronuncia è salvifica, usato dai monaci orientali come risposta per contraddire (anthirresis) il demonio e resistere alle sue suggestioni invece di ascoltarlo, ma anche come espressione di compunzione (penthos) che non consiste solo nel riconoscersi peccatori ma anche, di conseguenza, nella gratitudine per la misericordia divina – di qui la ricchezza di preghiere penitenziali nelle liturgie orientali. Precedentemente gli asceti memorizzavano pressoché tutta la Scrittura, avendo un repertorio completo di risposte a seconda delle tentazioni: «si poneva così il problema di trovare una formula unica, adatta “a combattere tutti i diavoli”. La forza del nome di Gesù era certamente tale; così la Preghiera di Gesù sostituì il complicato formulario. L’asceta tentato dalla gola, o dall’impurità, o dalla mormorazione, risponderà in ogni caso: “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore”» (p. 16).
La formula viene ripetuta assiduamente e interiorizzata al ritmo del respiro e del battito cardiaco, fino a creare in chi la pratica uno stato di preghiera incessante, esattamente come chiede San Paolo, «pregate incessantemente» (1Ts 5, 17), e come più volte ribadiscono le Scritture. Proprio da qui parte l’avventura del nostro pellegrino, che va ascoltando prediche e interrogando preti per sapere come sia possibile obbedire a quelle parole dell’Apostolo. Le risposte però sono sempre le stesse: «Vivi onestamente e prega Dio, e sarai santo. – Ma è proprio questo il punto! Io non so come si possa pregare incessantemente e non riesco neppure a comprendere cosa sia la preghiera incessante» (p. 101). Proprio quando sta per scoraggiarsi incontra un anziano monaco, uno starec, diretto al proprio eremo, che si rallegra del desiderio della preghiera suscitato da Dio nel cuore del pellegrino e gli mostra la Filocalia, una raccolta di scritti dei Padri orientali, dove è esposta la scienza della preghiera interiore. «Lo starec aprì la Filocalia, cercò il Trattato di san Simeone il Nuovo Teologo e prese a leggere: “Siedi in silenzio e solitudine. China il capo. Chiudi gli occhi. Respira piano. Scruta con l’immaginazione nel profondo del cuore. Conduci la mente, cioè il pensiero, dalla testa al cuore. Ad ogni respiro, di’ piano con le labbra o solo con la mente: ‘Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me’… Sforzati di allontanare tutti i pensieri. Sii sereno e paziente, e ripeti spesso questo esercizio”» (p. 108). Trovato un lavoro e una sistemazione per l’estate presso un contadino, il pellegrino può recarsi frequentemente dallo starec, che diviene la sua guida spirituale, avviandolo alla pratica della preghiera di Gesù. «Iniziai allora a fare come mi aveva ordinato lo starec; il primo giorno riuscii a stento, e solo a tarda sera, a recitare le dodicimila preghiere che mi erano state poste come regola. Il giorno successivo rispettai invece questo precetto facilmente e con gioia. […] Una volta, erano le prime ore della mattina, fu come se la preghiera mi ridestasse. Svegliandomi ebbi l’impressione che le mie labbra e la mia lingua si muovessero da sole, incessantemente; avrei voluto trattenerle, ma non potevo» (p. 112). «Sono divenuto una specie di folle, non ho più preoccupazioni né affanni. Non degnerei di un solo sguardo tutte le vanità del mondo e vorrei vivere sempre in solitudine. Soltanto, per l’abitudine, un unico desiderio mi anima: quello di pregare incessantemente e quando prego sono molto felice. Dio solo sa cosa avviene in me!» (p. 115).
Alla fine dell’estate il pellegrino deve lasciare la provvisoria sistemazione, ma anche la cara compagnia dello starec, che muore ma non cesserà di guidarlo apparendogli più volte in sogno. Durante il cammino è accompagnato dalla preghiera incessante e dalla lettura della Filocalia. «Infine, dopo qualche tempo, sentii che la preghiera in certo modo si trasferiva da sé dentro il cuore; era come se il cuore, al ritmo abituale delle sue pulsazioni, avesse cominciato a pronunciare dentro di sé le parole della preghiera, una per ogni battito: 1) Signore, 2) Gesù, 3) Cristo, e così via. Cessai allora di pronunciare la preghiera con la bocca e presi ad ascoltare con attenzione questa voce interiore, cercando anche di guardare con gli occhi dentro al mio cuore, così come mi aveva spiegato il mio defunto starec. Iniziai quindi ad avvertire nel cuore un dolore così piacevole e nei pensieri un tale amore per Gesù Cristo che mi immaginavo che se l’avessi incontrato mi sarei gettato ai suoi piedi per stringerli e baciarli dolcemente, ringraziandolo tra le lacrime di aver voluto, nella grazia e nel suo amore, concedere la grande consolazione del suo nome a una creatura indegna e peccatrice come me» (p. 117). Ben presto, però, alle consolazioni seguono le prove: i numerosi incontri narrati dal pellegrino, dopo la scoperta della preghiera incessante, iniziano proprio con il furto della Bibbia e della Filocalia, le sue uniche ricchezze, ma nel sonno gli appare lo starec a spiegargli il perché: «Questa lezione ti aiuterà a distaccarti dalle cose terrene e a salire più agevolmente verso il cielo. Questo è stato permesso da Dio affinché tu non cada nella cupidigia spirituale. […] “Sia fatta la volontà di Dio”, dissi. Mi alzai, feci il segno della croce e ripresi il cammino. La preghiera ricominciò a sgorgare nel cuore e per tre giorni procedetti serenamente» (p.119). In breve riconosce in un gruppo di deportati i due uomini che lo hanno derubato e oltre a recuperare i due preziosi testi, fa amicizia col capitano delle guardie che gli rivela di essere stato salvato da una vita dissoluta grazie alla frequente lettura dei Vangeli: «nelle parole stesse del Vangelo agisce una forza di grazia, poiché in esse è scritto quel che Dio in persona ha detto. Non è necessario comprendere, basta leggere con attenzione. Un santo ha detto: “Anche se tu non capisci la Parola di Dio, i diavoli capiscono che tu la stai leggendo, e tremano”» (p. 122).
Non è il caso di anticipare oltre i contenuti di questo denso e coinvolgente libro, che prosegue attraverso innumerevoli incontri (e talvolta disavventure), occasionali compagni di strada ed edificanti conversazioni, che fanno dei Racconti una vera e propria trattazione, con esposizioni ed esempi, sulla preghiera in generale e sulla preghiera di Gesù in particolare. La trattazione diviene palese negli ultimi due racconti, interamente costituiti da un dialogo con due monaci e un sacerdote, nel monastero Solovecij dove il pellegrino è giunto con un compagno; la conversazione è sintesi e coronamento di tutto ciò che finora il pellegrino (e, con lui, il lettore) ha imparato sulla necessità di pregare e di farlo incessantemente: «L’assiduità della preghiera è il fondamento su cui si regge l’intero processo che conduce alla salvezza, come conferma san Simeone il Nuovo Teologo: “Chi prega incessantemente riunisce in quest’azione ogni bene”» (p. 258) – «L’assiduità è l’unico mezzo che permetta di rendere pura e autentica la preghiera, e nello stesso tempo è la migliore e più efficace preparazione ad essa […] Non ascoltare quindi l’opinione superficiale e irresponsabile delle persone vane, secondo le quali la preghiera frequente ma tiepida è un inutile spreco di fiato… No, la forza del Nome di Dio e la frequenza della sua invocazione daranno frutto a loro tempo!» (pp. 264-265); sulla facilità della preghiera di Gesù, «perché la quantità, cioè l’assiduità della preghiera, è alla portata di ogni uomo, del sano come del malato, e dipende esclusivamente dalla nostra volontà. […] Ovunque ti trovi puoi offrire sacrificio a Dio nella tua mente per mezzo della preghiera» (pp. 268-269); sulla potenza della preghiera, «perché in essa è il potere della grazia. Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvo. Ad esempio: un uomo che aveva pregato per aver successo in un’opera disonesta, ricevette da questa preghiera un forte richiamo al pentimento. Una giovane dissoluta che pregava nel momento stesso del suo peccato, fu dalla preghiera indirizzata sulla via della castità e dell’osservanza dei comandamenti di Gesù Cristo. […] Prega e non temere nulla, né le disgrazie, né i rovesci della fortuna. La preghiera ti difenderà e li allontanerà da te. Ricordati di Pietro che rischiò di annegare per la sua mancanza di fede; di Paolo che pregava in prigione; del monaco che si salvò dalla tentazione grazie alla preghiera; della fanciulla scampata all’aggressione di un soldato e di altri casi simili. Tutto questo conferma la forza, il potere e l’universalità della preghiera nel Nome di Gesù Cristo» (pp. 277-278).
Accostarsi ai Racconti di un pellegrino russo è come ammirare un’icona: se a prima vista si può essere attratti dalla particolare atmosfera che già il titolo promette, ben presto la lettura abbandonerà il carattere puramente «narrativo», per trasformarsi dapprima in ansia di conoscenza della preghiera e in desiderio di pregare. Questo è infatti un libro che richiede di essere messo in pratica, anzi, che spinge a farlo. E il lettore potrebbe sorprendersi, una volta chiuso il libro, a ripetere continuamente: Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me…

Stefano Chiappalone