P. Carlos Miguel Buela, PANE DI VITA ETERNA E CALICE DELL’ETERNA SALVEZZA, EDIVI, Segni (RM) 2006, pagg. 240, ISBN 88-89231-47-5, Euro 20,00.
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ovvero: http://www.edivi.com/eucaristia.mht
Presentazione
Stiamo presenziando negli ultimi anni un fenomeno da pochi immaginato nei decenni scorsi, cioè il risvegliarsi nelle comunità ecclesiali e nei movimenti religiosi della devozione eucaristica e la ripresa, timida ancora, ma vera ripresa, dello studio teologico sull’essenza della Santa Messa. Questo merito, senza dubbio, si deve principalmente alla straordinaria opera di Papa Giovanni Paolo II. Egli, durante i lunghi anni di pontificato, con le sue parole e con il suo esempio, con le Messe officiate privatamente nel raccoglimento o con le moltitudinarie celebrazioni pubbliche, è riuscito a comunicare ai fedeli ed a coinvolgere i sacerdoti nella sua profonda fede e devozione eucaristica. «Da quando ho iniziato il mio ministero di Successore di Pietro, ho sempre riservato al Giovedì Santo, giorno dell’Eucaristia e del Sacerdozio, un segno di particolare attenzione, inviando una lettera a tutti i sacerdoti del mondo. Quest’anno, venticinquesimo per me di Pontificato, desidero coinvolgere più pienamente l’intera Chiesa in questa riflessione eucaristica, anche per ringraziare il Signore del dono dell’Eucaristia e del Sacerdozio: “Dono e mistero”» (Ecclesia de Eucharistia, n. 7). Non si tratta solo della pietà religiosa di un uomo che amava l’Eucaristia; Egli agiva come capo di una Chiesa che per natura vive dell’Eucaristia. «Ecclesia de Eucharistia» non è solo il bel titolo di una Enciclica, non è un fatto isolato ma la conclusione e il punto di arrivo di un fecondo pontificato programmato in ordine all’Eucaristia. In questa sua ultima enciclica ci lascia come testamento l’invito a «sostare davanti al “volto eucaristico” di Cristo, additando con nuova forza alla Chiesa la centralità dell’Eucaristia» (n. 7). «Il pensiero di una simile iniziativa eucaristica era già da tempo nel mio animo: essa costituisce infatti il naturale sviluppo dell’indirizzo pastorale che ho inteso imprimere alla Chiesa, specialmente a partire dagli anni di preparazione del Giubileo, e che ho poi ripreso in quelli che l’hanno seguito» (Mane nobiscum Domine, 4).
La nostra famiglia religiosa ha avuto la grazia di nascere e di crescere sotto la guida di questo Pontefice, che giustamente riconosciamo ed esplicitamente proclamiamo nel nostro diritto particolare «Padre del nostro Istituto». Potrei dire che il meglio di ciò che abbiamo assimilato esistenzialmente lo dobbiamo a Giovanni Paolo Magno.
È sintomatico che l’ultimo anno eucaristico internazionale sia stato aperto da un Pontefice, ma non concluso, bensì lasciato come eredità al suo successore. È un legato vincolante e un auspicio di speranza. Il primo Sinodo del nuovo millennio ha radunato i Vescovi nella riflessione sull’Eucaristia. In contemporanea alla realizzazione del Sinodo, l’Autore del presente libro lavorava in questa opera, che si muove nella stessa problematica che occupò i Padri Sinodali e che sarà sempre centrale nel trattamento di questo mistero, cioè la natura essenzialmente sacrificale dell’Eucaristia.
Prima di entrare nel contenuto del volume, vorrei presentare il posto che occupa questo libro nelle opere di Carlos Buela. Si potrebbe fare una ricerca storica, studiando la sua formazione, il periodo di insegnamento e i contenuti dei corsi nei seminari e all’Università Cattolica di Buenos Aires, le diverse relazioni o interventi nei vari congressi, la sua attività pastorale, o soprattutto gli altri libri che precedettero la presente pubblicazione. Scelgo invece un altro cammino. Avvalendomi della vicinanza al nostro Fondatore, grazia che tanti di noi godiamo in questi primi anni di fondazione della nostra comunità religiosa, mi propongo di raccontare semplicemente ciò che abbiamo visto e stiamo vivendo in compagnia dell’Autore, esperienze tutte che crearono l’ambiente propizio per la stesura del presente volume. Parlerò dunque del posto centrale dell’Eucaristia nella vita e nella formazione spirituale e teologica dei religiosi dell’Istituto del Verbo Incarnato tale come ci è stato tramandato dal nostro Fondatore durante i primi anni di esperienza di vita religiosa.
1. Nel 1985, a meno di un anno dall’inizio dell’esperienza religiosa, il P. Buela con il primo gruppo di seminaristi si trasferirono ad una vecchia casa di campagna, abilitando una delle stanze come cappella col titolo di «Nuestra Señora de la Anunciación». La statua lignea della Vergine che diede il nome alla cappella fu donata a una delle missioni dell’IVI e oggi si trova in Taiwan. Fin dalla redazione del primo progetto di Costituzioni (Principios generales o “Nuestro camino”) si stabiliva per i religiosi un’ora quotidiana di adorazione eucaristica. Non essendo sufficiente lo spazio della piccola cappella, noi seminaristi pregavamo dalla stanza contigua e durante l’estate dal giardino attorno alla casa. A pochi mesi, il 25 di ottobre 1985, fu benedetta la pietra fondamentale della nuova Chiesa. Nella quasi estrema povertà in cui si viveva, si pensava comunque alla costruzione di una grande e degna Chiesa per accogliere le vocazioni che il Signore stava donando all’Istituto. Con molti sacrifici e privazioni il 2 dicembre 1990 fu dedicato il tempio in onore della Vergine Addolorata. Il vescovo diocesano, Sua Ecc.za Mons. León Kruk aveva scelto il nome della chiesa e parrocchia nel ricordo dei dolori passati per poter dare inizio alla Congregazione.
Seguendo le indicazioni di P. Buela, lavorarono nel disegno della Chiesa l’allora seminarista e architetto Rolando Santoianni (oggi sacerdote dell’IVI nel santuario Our Lady of Peace a San José, California), nel presbiterio ligneo il seminarista Benito Lagos (oggi parroco a Tarquinia in Italia), in alcune pitture il sacerdote Ricardo Coll (allora formatore nel seminario diocesano di San Rafael), per solo nominare alcuni collaboratori. Dentro la Chiesa (a forma di croce latina) l’altare si trova nell’intersezione delle due braccia, occupando però il presbiterio quasi la metà di tutto lo spazio interno: così fu disegnata, pensando alle grandi concelebrazioni e dando spazio sufficiente affinché i sacerdoti, i diaconi e i ministri potessero svolgere una «liturgia cattedralizia» secondo il sentire del P. Buela. Nel centro del presbiterio, elevato su tre gradini, affiancato da candelabri di ferro battuto, si alza il maestoso altare scolpito nella sobrietà e fermezza della pietra onice bianca delle cave di San Rafael. Dietro l’altare, più elevato, si erge il retablo ligneo, forma architettonica molto diffusa in tutta la Spagna e America latina proveniente dall’area Aragonese-Catalana; in Italia si trova principalmente in Sardegna come traccia del periodo di dominazione spagnola. Nel centro del retablo si trova il tabernacolo che riproduce il battistero ottagonale di Aachen. Da due scale laterali si può salire fino alla nicchia superiore ove si depone l’ostensorio con il Santissimo Sacramento per l’adorazione eucaristica. Questa breve descrizione è sufficiente per intuire l’importanza che si voleva dare all’Eucaristia, messa al centro della formazione dei futuri presbiteri dell’IVI. Non si tratta, dunque, di solo gusto estetico, ma di un proposito ben chiaro, della preoccupazione di trovare le migliori condizioni per la celebrazione eucaristica, per il corretto svolgimento della liturgia, della quale il P. Buela in persona ne faceva oggetto di studio, di conferenze, di predicazioni e perfino di applicazione pratica.
2. Allo stesso tempo, nel campo intellettuale e culturale (si pensi ad una congregazione appena fondata), il P. Buela decise di rilanciare la Rivista Diálogo fondata dal rinomato sacerdote argentino Julio Meinvielle, il quale era riuscito ad editare solo tre numeri. Ripresa l’attività editoriale, nel numero 7 fece tradurre e pubblicare un articolo di A. M. Hoffmann, De sacrificio Missae sec. S. Thomam che si ritrae agli anni ’30. Una scelta un tanto strana forse per i lettori, ma con l’intenzione ben precisa di introdurre fra sacerdoti e religiosi (e non solo) una problematica che P. Buela teneva molto a cuore. Hoffmann offriva un’interpretazione dell’essenza della Santa Messa accentuando fortemente la differenza, che secondo lui si poteva vedere in San Tommaso, fra il Cristo contenuto e il Sacrificio della Croce soltanto rappresentato. L’anno seguente mi chiese di tradurre diversi studi di Gerbhard Rohner che approfondivano il problema: «Die Messapplikation nach der Lehre des hl. Thomas» e poi «Messopfer – Kreuzesopfer» apparso in Divus Thomas (Friburgo). Così durante gli anni 1994-1995 apparvero queste traduzioni svegliando un caloroso dibattito tra i nostri giovani sacerdoti e seminaristi. Secondo una bella usanza, dopo la colazione e prima delle lezioni, i religiosi si intrattenevano attorno al tavolo ove i sacerdoti, spesso durante quel periodo, discutevano le diverse posizioni riguardanti la presenza reale del Sacrificio della Croce nel sacramento eucaristico.
P. Buela iniziò contemporaneamente un ciclo di predicazioni (tutti i giovedì presiedeva e predicava nel seminario maggiore) sull’Eucaristia, normalmente commentando un passo di S. Tommaso, ma non solo. Altrettanto faceva durante la solenne Messa dominicale che per molti anni fu presieduta da lui e dove l’omelia quasi sempre focalizzava il mistero del sacerdozio o dell’Eucaristia. Addirittura, durante i momenti di difficoltà che normalmente segnano l’inizio di una nuova fondazione (come lo dimostra la storia dei movimenti religiosi) le predicazioni non mutavano la tematica, dimostrando con i fatti che l’unica preoccupazione del sacerdote e del seminarista in formazione doveva essere l’occuparsi nelle cose del Signore. È da menzionare anche la bella tradizione di accompagnare la processione del Corpus Domini leggendo e meditando un Dialogo Eucaristico scritto appositamente ogni anno. Questi Dialoghi – di cui il primo risale al 1994 e che oggi sono stati tradotti e recitati in diverse lingue – non solo furono scritti da P. Buela: egli perfino ci teneva molto a guidare personalmente la loro lettura durante le processioni.
3. Mi si permetta un excursus teologico sulla discussione provocata tra noi dalla pubblicazione degli articoli di Hoffmann e Rohner. La Santa Messa è il sacrificio della Nuova Alleanza nella quale, sotto le specie sacramentali, si offre la stessa vittima del Calvario, Gesù Cristo. È un vero sacrificio; così l’afferma il Concilio di Trento: «In hoc divino sacrificio quod in Missa peragitur idem ille Christus contineretur et incruente immolatur, qui in ara crucis semel seipsum cruente obtulit» (sess. XXII, cap. 2). Al momento di spiegare la natura del sacrificio eucaristico sorsero varie dottrine che oscillavano dall’immolazione fisica fino alla teoria della mera oblazione. Per i primi, la Messa è un sacrificio perché c’è distruzione fisica delle specie sacramentali nel momento della comunione; così san Roberto Bellarmino (De Missa, l. 1, c. 27). L’altra teoria o teoria dell’oblazione prese due versanti: l’oblazione esterna e l’oblazione interna. Per M. della Taille (Mysterium fidei. De augustissimo Eucharistiae Sacrificio atque Sacramento) nella Messa la Chiesa per mezzo della transustanziazione, offre il Corpo di Cristo nel suo stato di immolazione e così realizza un vero sacrificio, cioè l’oblazione attuale e presente (sull’altare) di un’immolazione passata (nella Croce) ma che rimane passivamente (nel Cielo). Secondo M. Lepin (L’idée du sacrifice de la Messe d’après les théologiens depuis l’origine jusqu’à nos jours), la Messa è l’oblazione rituale fatta dalla Chiesa dell’offerta interna che attualmente Gesù offre al Padre sotto le specie eucaristiche. Nessuna delle teorie, però, sembra in perfetta consonanza col concilio di Trento.
Col fiorire della scolastica e col rinnovato studio della patristica si tornò alle concezioni tradizionali del sacrificio eucaristico. Ma ci furono anche qui due posizioni ben diverse. Assai importanti furono gli studi del card. L. Billot, De sacramentis, I: dato che sotto le specie del pane, per le parole della consacrazione (vi verborum) si trova solo il Corpo e sotto le specie del vino solamente il Sangue, nell’Eucaristia si realizza sub signis una separazione del Corpo dal Sangue, un’immolazione mistica presente (status immolationis; habitus externus violentae mortis), che spontaneamente evoca la morte della Croce, rappresentando al vivo l’immolazione cruenta.
Nel frattempo nel mondo tedesco sorge un’altra concezione più radicale ancora: per Odo Casel, la Santa Messa è la stessa, numericamente identica, al sacrificio della croce che acquisisce un nuovo ubi (luogo) ed un nuovo quando per la transustanziazione. «Egli propone una ripresentazione (Vergegenwärtigung) nel senso proprio della parola. Non solo gli effetti della Passione del Signore, molto più: la Passione stessa, il fatto storico che si consumò nel Golgota che diventa nuovamente presente nel Mistero; non che si ripete nel suo accadere naturale, ma che diventa presente nei riti simbolici di modo misterioso, ma non per quel motivo meno reale», secondo il dire di Bernhard Poschmann. La Messa, secondo questa concezione, implica una singolare «contemporaneità» dell’immolazione cruenta della croce a tutti i tempi. Si assicura così l’identità della Messa con il sacrificio della Croce, ma sembra che si comprometta l’identità assoluta di Cristo eucaristico col Cristo glorioso nel cielo.
Un tentativo di incorporare le intuizioni di O. Casel restando fedele a San Tommaso fu realizzato da Gerbhard Rohner. Inizialmente con un articolo che solo accidentalmente toccava il problema (Die Messapplikation nach der Lehre des hl. Thomas) e cinque anni più tardi con un altro molto più profondo ed esegetico: Messopfer-Kreuzesopfer apparso in Divus Thomas (Friburgo), 8 (1930), pp. 3-17, 145-74, ove l’A. raccoglie e risponde alle obiezioni che avevano suscitato le sue pubblicazioni. Gerbhard Rohner si mostra in essi come il migliore interprete di San Tommaso del suo tempo su questo tema. L’esegesi dei testi tomistici è precisa pur essendo debitore di un metodo ancora poco attento alla lettura diacronica dei passi tomistici. Contro la corrente che insisteva nella distinzione fra il Christus passus continetur e il sacrificium raepraesentatur, Rohner dimostra con i testi dell’Angelico l’identità del Christus passus con il sacrificium della Croce e dunque la reale presenza di ambedue realtà. Due sono i punti forti della sua posizione: la dottrina della ripresentazione e l’esegesi che fa della espressione Christus passus. Vale la pena dedicare alcune righe a questi due problemi.
Innanzitutto è da premettere che G. Rohner non traduce i testi di San Tommaso letteralmente, ma trascrive in tedesco usando i termini che più rafforzano la sua propria interpretazione. Per esempio, quando il testo latino dice: «Utrum in hoc sacramento sit corpus Christi secundum veritatem, vel solum secundum figuram vel sicut in signo»; egli potendo tradurre in tedesco: «Ob in diesem Sakramente der Leib Christi wahrhaft sei…», traduceva invece: «Ob in diesem Sakramente der Leib Christi wahrhaft gegenwärtig sei» (essere presente); dove San Tommaso dice: «…che il vero corpo di Cristo ed il suo sangue sono in questo sacramento…» Rohner traduce: «…che il vero corpo di Cristo ed il suo sangue sono presenti (gegenwärtig ist) in questo sacramento…». Tutta la forza dell’affermazione ricade sull’essere presente (gegenwärtig sei), centrale nella sua dottrina.
L’espressione teologica Christus passus presenta una gran difficoltà per la traduzione, tanto in tedesco come in italiano. In tedesco, il participio latino passa in forma di una costruzione participiale (Partizipialkonstruktion). La costruzione participiale con participio passato designa un evento passato, terminato, concluso; ma se il verbo è intransitivo può costruirsi solo col participio presente. Questo succede con il verbo patire (leiden) il cui participio passato (gelitten) non si usa in costruzione participiale. Può essere utilizzato solo in presente: der leindende Christus. Ma questa espressione può creare confusione perché significa il passato (Cristo che ha patito – sofferto) ed anche il presente (Cristo che patisce – soffre). Per evitare questa confusione, Rohner lascia l’espressione Christus passus tra parentesi e la traduce con un barbarismo usando il participio passato più il participio presente a modo di ausiliare: der gelitten habende – che potremmo tradurre – l’avente (avendo) patito, col quale si rimarca la permanenza al presente di una azione (stato) già conclusa.
Ma la chiave interpretativa di G. Rohner, con la quale fa appello a Odo Casel, è la parola vergegenwärtigen, Vergegenwärtigung. Il latino di San Tommaso dice: raepraesentat passionem Christi. Per tradurre raepraesentare al tedesco Rohner aveva a disposizione due verbi: vergegenwärtigen e darstellen. Tuttavia, i loro significati non sono esattamente uguali: a) vergegenwärtigen: fare presente; gegenwärtig: presente; Vergegenwärtigung: presenza; b) darstellen: rappresentare; lit. dipingere, descrivere, interpretare; Darsteller: attore, interprete; Darstellung: rappresentazione, descrizione, interpretazione. Vergegenwärtigen ha un senso più forte che darstellen, e perciò viene usato da Rohner, mentre per riferirsi al mero rappresentare vuoto del segno convenzionale scriverà bildhafte Darstellung (rappresentazione figurativa). Odo Casel aveva messo tutta la forza nel semantema vergegenwärtigen: «Un farsi presente (Gegenwärtigwerden) del Signore, benché sia con i segni della sua Passione, non basta per fare dell’Eucaristia un Sacrificio. Sacrificio è un’azione, un atto. Si tratta di un Atto sacrificale, e pertanto di un atto di Cristo, poiché Cristo secondo Trento è anche il Sacrificatore della Messa, idem offerens. Ma un nuovo Atto di Cristo costituirebbe un nuovo Sacrificio; pertanto solo può essere l’unico Atto del Signore nella Croce nuovamente presente sacramentalmente» (Odo Casel, in Der Bonner Zeitschr. für Theol. und Seelsorge, 4 [1927] 109).
La posizione di Rohner è assai significativa, ma resta incompleta e non molto chiara: da una parte propone un’esegesi ai testi di San Tommaso che sembra esatta e dimostra che per l’Angelico il Sacrificio della Croce, e non solo Cristo, è presente realmente nell’Eucaristia. D’altra parte, quando deve fornire i fondamenti teologici fa appello al principio sacramenta continent quod significant, però secondo l’interpretazione ereditata da Odo Casel: è presente tutto ciò che è significato e in quanto significato, dunque è presente allo stesso titolo anche la resurrezione, l’ascensione e la seconda venuta. C’è dunque un’identificazione che non sembra legittima fra l’ordine intenzionale (della significazione) e l’ordine causale (dell’efficienza). La discussione è rimasta tutt’oggi aperta. Quali sono i veri principi o assiomi teologici di San Tommaso per spiegare teologicamente la presenza del Sacrificio nell’Eucaristia? Di recente, il magistero della Chiesa, ripetendo la dottrina tradizionale del memoriale e dell’applicazione, aggiunge parole ben precise sul modo di presenza. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica, la versione tipica latina riporta il verbo e fra parentesi una precisione: «Eucharistia est igitur sacrificium quia Sacrificium crucis repraesentat (praesens reddit), quia eius est memoriale et quia eius fructum applicat» (n. 1366); e nella edizione italiana sono indicati in corsivo e con un trattino che separa il verbo dalla preposizione: «L’Eucaristia è dunque un sacrificio perché ri-presenta (rende presente) il sacrificio della croce…». Nell’Enciclica Ecclesia de Eucharistia: «La Chiesa vive continuamente del sacrificio redentore, e ad esso accede non soltanto per mezzo di un ricordo pieno di fede, ma anche in un contatto attuale, poiché questo sacrificio ritorna presente, perpetuandosi sacramentalmente…» (n. 12). Nella versione tedesca si usa il semantema gegenwärtigwerden che era stato oggetto di discussione, come abbiamo accennato, e nelle altre lingue si usa il verbo corrispondente con lo stesso proposito[1]. Abbiamo l’impressione che ci sia stato uno sviluppo o chiarimento dogmatico a questo riguardo, ma lasciamo la conclusione ai teologi. Per noi è sufficiente ciò che è stato detto.
4. Pane di vita eterna e calice dell’eterna salvezza. Questo excursus ed il riferimento ai suddetti autori è solo per indicare le circostanze che attivarono tra noi una discussione teologica che storicamente annoverava grandi teologi – si pensi alla sapienziale lettura di San Tommaso che ha fatto Dom Vonier in La chiave della dottrina dell’Eucaristia…(A Key to the Doctrine of the Eucharist), ma anche tutti quelli che hanno preparato la discussione come F. Suarez, G. Alastruey, Lugo, Franzelin, Hurter, Lamiroy, E. Saurás, Lessio, Gonet, Billuart, Monsabre, Hugon, M. de la Taille, Lepin, eccetera, pensatori che sono frequentemente citati nei libri del nostro Autore.
Torniamo sulla preparazione immediata all’uscita del presente volume. Fra i libri pubblicati da C. Buela negli ultimi anni c’erano alcuni di contenuto pastorale come Modernos ataques contra la familia, Jóvenes en el tercer milenio, María de Luján, el misterio de la Mujer que espera… ed altri di natura piuttosto teologica come Un pequeño «gran» documento: la declaración «Dominus Jesus» e il Catecismo de los jóvenes (10º edizione). Riguardo al nostro tema possiamo citare quattro pubblicazioni: Nuestra Misa, Las Servidoras I, Las Servidoras II y Sacerdotes para siempre.
Considerando questi scritti in ordine cronologico, il primo libro è stato Las Servidoras, uscito nel 1997. Il titolo evoca il nome dell’Istituto delle Serve del Signore e la Vergine di Matará da lui fondato nel 1988. Fra i diversi aspetti della spiritualità religiosa indicava come centrale la partecipazione eucaristica. Nel 2002 pubblica il secondo volume di Servidoras. Il frequente riferimento al mistero eucaristico aveva lo scopo di offrire materiale affinché le religiose ed anche i laici partecipassero più fruttuosamente alla celebrazione eucaristica. Era la sua risposta alla domanda dei religiosi che gli chiedevano perché aveva incluso in un libro destinato piuttosto alle suore alcune prediche pronunciate nella Chiesa del Seminario, durante feste più riguardanti il ramo maschile e su temi eucaristici che più da vicino toccano il sacerdozio. E completava la risposta aggiungendo che il sacerdote contava con più mezzi per vivere più intimamente il mistero, giacché per la sua consacrazione sacerdotale tutti i giorni attua in persona Christi capitis.
Durante il Grande Giubileo del 2000 uscì il volume Sacerdotes para siempre, nel quale la natura e la missione del presbitero viene illuminata da Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote. Una dettagliata seconda parte descrive ciò che deve fare il sacerdote, concentrando l’attenzione sul suo ministero principale cioè la celebrazione dell’Eucaristia.
Nel 2002 l’Autore pubblicava Nuestra Misa. L’impostazione data al volume era di tipo liturgico-pastorale e aveva come destinatari sacerdoti, seminaristi in formazione, religiosi, religiose e laici. Lo sviluppo segue le diverse parti del rito della Messa, soffermandosi principalmente nella considerazione dell’essenza del sacrificio eucaristico in rapporto con il Sacerdote principale e con il sacerdote ministeriale. Già dal titolo si voleva sottolineare l’appartenenza del sacrificio di Cristo alla Chiesa in quanto «l’Eucaristia è anche il sacrificio della Chiesa» (CCC, 1368), e dentro la Chiesa, in un modo speciale al celebrante. Nel secondo momento o liturgia dell’Eucaristia l’attenzione si concentra sulla consacrazione o transustanziazione e poi nei modi di presenza di Cristo. Del sacrificio analizza l’aspetto rappresentativo, il memoriale e l’applicazione. Con speciale interesse si studia l’azione del Sacerdote principale, che svolge un solo dramma in tre atti: la Croce, l’Ultima Cena e la Santa Messa, vedendosi in quest’ultima in quanto segno sacramentale tre livelli o riferimenti correlativi: è un segno rimemorativo, dimostrativo e profetico. Ogni capitolo riporta testi biblici, testi del Magistero, argomenti teologici e considerazioni spirituali, ma in fondo s’insinuava un’intuizione originale, le cui implicanze teologiche non si erano ancora sviluppate. L’A. scriveva infatti: Molti anni or sonno cominciai a studiare il tema dell’Eucaristia. Sono stato mosso da una intuizione […]. L’intuizione era che la ragione per cui la Messa è sacrificio dev’essere molto semplice, come tutte le cose grandi di Dio, che è la Semplicità infinita. Stimo che la chiave si trova nell’ultima frase di San Tommaso […]. Era d’aspettarsi un trattamento o riflessione articolata degli argomenti centrali nel loro insieme, poggiato sui testi di San Tommaso, lavoro che in quegli anni stava portando avanti.
Durante l’ultimo incontro con i Superiori Provinciali dell’IVI (Segni, luglio 2005) P. Buela sviluppò nelle omelie in un modo assai originale alcuni argomenti teologici d’ispirazione nettamente tomistica e che inizialmente si pensava di incorporare in una IV edizione di Nuestra Misa. In quella occasione fu sollecitato da alcuni padri perché pubblicasse questi ed altri studi recenti in un nuovo libro d’impostazione speculativo-teologica, richiesta alla quale rispose affermativamente e che ora viene alla luce nel presente volume.
L’A. parte da un’esperienza personale, sorta dalla frequente lettura di San Tommaso, cioè il vedere con sorpresa come l’Angelico spesso usi espressioni come patet (= è chiaro), e a noi non patet (= non è chiaro) affatto, oppure egli dice manifestum est (è evidente), e per noi non è evidente, e ugualmente constata come l’Aquinate non esce dal binomio di due principi che gli forniscono una certezza assoluta nella riflessione, cioè il dogma di fede e i fatti dell’esperienza, e come appoggiandosi su questi due principi sviluppa alcune idee-forza che sono come le nervature di quella magnifica costruzione che è la Somma Teologica. Con queste intuizioni l’A. realizzò un’incursione trasversale nelle questioni eucaristiche del Trattato di San Tommaso rilevando le parole, e quindi i concetti più ricorrenti nell’argomentazione dell’Angelico Dottore. Taluni indicano la realtà presente Christus passus, o il modo continetur, realiter, substantialiter, altri sono termini dialettici necessari per avvicinarci a sì profondo mistero: ex vi sacramenti – ex vi concomitantiae, in specie propria – in altra specie, directe o per se – quasi per accidens… Dall’insieme di così numerosi testi di San Tommaso disposti in questo modo, l’A. è riuscito a fare emergere una luce nuova e una spiegazione più profonda e in alcuni punti veramente originale (da quanto a me risulta) che la lettura dei singoli testi non offriva. È in questo che si trova il contributo principale del volume. Siamo convinti che senza il ricorso a questi concetti tomistici sarà difficile e forse impossibile spiegare gli aspetti più profondi del mistero, come ad esempio la sua natura sacrificale.
L’originale esce in italiano, ed è il primo libro di P. Buela – che dal 2001 abita a Segni (Roma) come Superiore Generale dell’IVI – pubblicato in questa lingua; ci auguriamo che sia di chiarimento teologico e di nutrimento spirituale per tante anime che desiderano vivere una solida spiritualità eucaristica. Siamo informati sul bene enorme che hanno fatto le sue altre pubblicazioni, non solo ai religiosi della Famiglia del Verbo Incarnato (più di 1.400 missionari nei cinque continenti), ma anche a tanti sacerdoti e persone principalmente di lingua spagnola, ma grazie alle traduzioni, in lingua portoghese e francese. Ringraziamo l’aiuto – nell’aspetto linguistico – del Dott. Stanislao Fioramonti e ci prodighiamo affinché prontamente i lettori italiani abbiano in mano anche gli altri libri che hanno preceduto il presente studio. Pane di vita eterna e calice dell’eterna salvezza significa al presente un vero progresso nella speculazione teologica su alcuni punti esenziali dell’Eucaristia, progresso nel contenuto e nel metodo, e fornisce argomenti saldi per affrontare nuovi studi su un mistero inesauribile, mistero che nessuna mente umana né angelica potrà mai esaurire, perché in essa «è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua» (Presbyterorum ordinis, 5).
Elvio C. Fontana IVE