(OR) I rischi della liberalizzazione dell’eutanasia

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Lettera ai membri del parlamento

L’episcopato in Canada esorta i politici a riflettere sulle conseguenze della legge sull’eutanasia

Toronto, 30. Il presidente della Conferenza episcopale del Canada, monsignor Vernon James Weisberger, arcivescovo di Winnipeg, ha inviato una lettera in cui invita i membri del parlamento e il popolo canadese a riflettere sulle possibili conseguenze della legge C-384 che mira a legalizzare l’eutanasia e il suicidio assistito nel Paese.

Quelli che desiderano riaprire questo dibattito – si legge nella lettera – sono senza dubbio preoccupati per le sofferenze degli altri. Un senso della compassione frainteso li ha spinti a praticare l’eutanasia sulle persone più vulnerabili, invece di fornire loro un’assistenza adeguata, un efficace controllo del dolore, un sostegno sociale, emotivo e spirituale fino alla morte naturale. È sempre importante – prosegue la lettera – essere più chiari possibile sulle intenzioni e le conseguenze quando riflettiamo sugli atti umani, in modo da assicurare il bene e limitare eventuali danni alle persone direttamente coinvolte e anche all’intera comunità. Purtroppo, alcuni termini proposti per questa discussione sono ingannevoli e poco chiari. Dal punto di vista dei cattolici – sottolinea il presidente della Conferenza episcopale canadese – l’uso dei farmaci e di altri mezzi per alleviare le sofferenze è legittimo anche se possono avere come effetti collaterali la riduzione di speranza di vita. È anche legittimo che qualcuno rifiuti le cure mediche considerate particolarmente gravose. Ma ciò che non potrà mai essere accettato è l’uccisione diretta e intenzionale delle persone depresse, dei disabili, dei malati terminali, delle persone anziane e dei morenti. È difficile vedere come una legislazione legalizzi l’eutanasia e il suicidio assistito e possa al tempo stesso proteggere le persone più vulnerabili della nostra società.
L’arcivescovo si domanda:  "Quale fiducia, quale certezza possono avere queste persone affinché le loro vite vengano poi effettivamente protette dagli operatori sanitari, dalla famiglia, dagli amici e dalla società nel suo insieme?".
L’eutanasia e il suicidio assistito, per loro stessa natura, significano che non vi è più il dovere di proteggere la vita altrui. Esiste anche il timore ben fondato – si legge ancora nella lettera – che l’eutanasia e il suicidio assistito possano essere imposti alle persone come un modo per risparmiare sui costi della sanità e ridurre le richieste di assistenza. Inevitabilmente, il risultato sarebbe quello di una società sempre più frammentata i cui membri vivranno un’ansia e un isolamento sempre maggiori.
I vescovi canadesi, pertanto, invitano i membri del parlamento, rappresentanti della Camera dei comuni, nonché del Senato, "a utilizzare nei loro dibattiti termini e definizioni più chiari e di prendere in considerazione l’impatto che tale normativa avrebbe sulla vita delle persone e sull’intera comunità. I canadesi andrebbero informati meglio su questi importanti temi e occorrerebbe promuovere anziché l’eutanasia e il suicidio assistito, cure palliative e l’assistenza domiciliare per aiutare le persone in difficoltà e le famiglie. Invitiamo i cattolici, i nostri fratelli e le nostre sorelle che appartengono ad altre comunità cristiane o ad altre fedi, e tutti coloro che apprezzano la bellezza e la dignità della vita – concludono i vescovi – a impegnarsi in questo dibattito civilmente e rispettosamente, al fine di testimoniare profondo rispetto della dignità di ogni vita umana".

(©L’Osservatore Romano – 1 ottobre 2009)