Transustanziazione: se le certezze si annebbiano i segni si sfaldano
Non giochiamo sui termini
È mistero della fede
Inos Biffi
©L’Osservatore Romano, 20 febbraio 2008
La fede nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia è da sempre accompagnata da un intreccio e da un magistero di segni che la predicano e manifestano.
All’origine di questi segni stanno le parole "creatrici" di Cristo, che nell’Ultima Cena ha proclamato suo Corpo il pane spezzato e suo Sangue il vino distribuito; per cui in ogni celebrazione eucaristica, dopo "la preghiera di ringraziamento formata dalle parole di Cristo", il pane e il vino – come dichiara Giustino – non sono più considerati come "pane comune" e "comune bevanda", ma come "corpo e sangue di Gesù". Ovviamente, se questa certezza declina o si annebbia, anche i segni, privati del loro reale riferimento, fatalmente si sfaldano e non reggono più. È quanto qua e là sta avvenendo, ed è indice preoccupante che la fede eucaristica è in crisi.
La Chiesa, da quando il Signore le ha affidato il suo Corpo dato da mangiare e il suo Sangue da bere, ha sempre custodito gelosamente il "mistero della fede", ossia la verità della presenza reale, persuasa che in ogni valida Eucaristia le parole della consacrazione, che sono le medesime parole del Signore, in virtù dell’azione dello Spirito Santo, trasformano profondamente e irreversibilmente il pane e il vino nel Corpo e nel Sangue di Gesù.
Senza dubbio, l’espressione di questa fede ha conosciuto una varietà di linguaggio, ma sempre per dire una rigorosa identità di contenuto. La Chiesa in ogni tempo si è mostrata estremamente vigile a che questo fosse custodito e insegnato senza esitazioni, e ha sempre reagito, – talora persino esagerando nella terminologia realistica – contro ogni ondeggiamento e ogni rischio di un simbolismo che incrinasse o traducesse ambiguamente la presenza reale.
Il Concilio di Trento, affermando, contro l’eresia dei Riformatori, che Cristo è presente nell’Eucaristia "veramente, realmente e sostanzialmente", e che la "mirabile conversione" eucaristica in maniera "conveniente e appropriata" è chiamata "transustanziazione", non ha per nulla infeudato la dottrina eucaristica in una filosofia scolastica di matrice aristotelica.
Con un linguaggio che pur risente in certa misura di quella matrice, il Magistero della Chiesa non ha fatto che insegnare la fede tradizionale, secondo la quale la mutazione eucaristica, restando intatto il piano sperimentale del segno, avviene al livello profondo dell’identità o della "sostanza" – acutamente Tommaso d’Aquino dice: dell’"entità" – per cui nella comunione si riceve veramente il Corpo e il Sangue di Cristo.
Interpretare la transustanziazione come il cedimento a una concezione fisicistica della conversione eucaristica è assolutamente infondato: la transustanziazione, in quanto mutazione "sostanziale", va esattamente in senso opposto a questo cedimento, dal momento che la "sostanza" di cui si tratta non è la sostanza "fisica", ma è l’identità che definisce una cosa. D’altra parte proprio questo linguaggio – una volta accolte le parole di Cristo – è il più chiaro e il più comprensibile, anche se il modo umano di esprimere i misteri sarà sempre precario e limitato.
D’altronde, solo una mutazione a questo livello e così intesa può garantire e confermare che la conversione eucaristica non è opera dell’uomo, ma opera di Cristo, che ogni volta, in virtù della Spirito Santo, personalmente trasforma e consacra il pane e il vino in maniera irreversibile.
Recentemente, si è creduto che per indicare la conversione eucaristica fosse più pertinente e felice usare i termini: "transignificazione" e "transfinalizzazione". Che il pane e il vino nell’Eucaristia si trovino "transignificati" e "transfinalizzati", ossia acquisiscano un significato nuovo e una nuova finalità è indubbio, ma questo non basta perché essi siano realmente e definitivamente Corpo e Sangue di Cristo. La radice ultima della loro trasposizione sul piano della novità di senso e di fine è il fatto che il Signore, con il suo Spirito, li trasmuti così da risultare in forma irreversibile Corpo e Sangue di Gesù. Essi non rimangono ancora pane e vino, immutati nella loro identità, e solo assunti a un ruolo diverso da quello spettante alla loro natura, ma è questa stessa loro natura che, per potenza di Cristo e del suo Spirito, viene trasformata.
Questa, in ogni caso, è la fede cattolica, sì definita a Trento, ma da sempre creduta dalla Chiesa, e dalla quale i Riformatori si sono discostati, col risultato di non possedere più né il sacramento del sacrificio della Croce, né la presenza "vera, reale e sostanziale", né il culto all’Eucaristia.
C’erano senz’altro, nella Chiesa del loro tempo, abusi deplorevoli o teorie eucaristiche inaccettabili, ma la via giusta per un risanamento non poteva consistere nel distacco da quanto era patrimonio della Tradizione di fede della stessa Chiesa, che non nasceva allora e che nessuno poteva ritenere seriamente d’essere chiamato a riformare in quei termini, che era poi un deformare.
Ora, da quella fede eucaristica gemmarono i simboli eucaristici, destinati a predicare operativamente e suggestivamente che l’Eucaristia è l’identico sacrificio della Croce nel sacramento, e che, fin che durano le specie, è presente in essa il Corpo e il Sangue di Cristo, anche una volta compiuta la celebrazione, senza che si ritorni più al pane e alla bevanda comuni. Per cui al pane e al vino consacrati, che non sono più pane e vino "naturali", vanno riservati quei santi segni, che rivelano e accrescono la fede e la venerazione. Alquanto superficialmente, se non stoltamente, si va deprecando il cosiddetto "rubricismo": forse qualche esagerazione non mancava, al riguardo, ma l’intenzione delle rubriche era quella di tener vivo ed evidente il fatto che l’Eucaristia è il Corpo e il Sangue del Signore nella duplice direzione: dei segni che la circondano – lumi, apparati – e degli atteggiamenti che vanno assunti da parte dei fedeli – genuflessioni, inchini, incensazioni, e altro – e che, inculcati dalla prima età, creano e alimentano la sensibilità alla presenza reale e personale del Signore. Del resto, a contare è come si anima l’osservanza rubricale.
Se la dottrina della transustanziazione nel senso sopra spiegato viene messa in dubbio o fraintesa o rifiutata, non sorprendono i vari comportamenti che si notano durante la celebrazione eucaristica, per esempio, quando si riceve la comunione, oppure dopo la Messa, nel modo con cui si trattano le particole consacrate rimaste: il trasparire di una scarsa fede nel Corpo e Sangue del Signore, se non persino di una incredulità, derivano coerentemente dal fatto che non si crede alla transustanziazione.
Non è difficile constatare celebranti sbrigativi – fatalmente imitati dai fedeli – che fanno sorgere la domanda se la teologia eucaristica che hanno appreso sia ortodossa, se siano stati alla gioiosa ammirazione di questa stupenda opera di Dio, che è la "mirabile conversione", frutto, come insegnava sant’Ambrogio, della stessa divina potenza che ha suscitato il corpo di Cristo nel grembo verginale di Maria.
Sorge l’interrogativo se la triste fonte dei sospetti sulla fede eucaristica non trovi la sua genesi anche nel momento formativo di offuscata ortodossia.