(OR) C’è bisogno di una bolla umanitaria

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La bolla che ci salverà

(© L’Osservatore Romano – 04 dicembre 2008)

di Ettore Gotti Tedeschi

Per assorbire la bolla finanziaria che sta minacciando il mondo intero, si pensa negli Stati Uniti di produrne una nuova – legata forse all’energia o al mercato automobilistico – utilizzando l’unica liquidità disponibile, cioè quella cinese. La nuova bolla probabilmente ignorerà ancora di più quella parte del mondo esclusa dal benessere. Si potrebbe invece avviare un processo economico creativo di dimensione planetaria che ristabilisca una crescita più sostenibile. In altre parole, una bolla di solidarietà che coinvolga i Paesi poveri. Una bolla umanitaria che corregga l’errore della passata bolla di sviluppo egoistico, frutto della crisi di valori dell’uomo.


I fenomeni economici attualmente più preoccupanti, oltre alla crisi di liquidità, sono:  la difficoltà di accedere al credito a causa delle prospettive di recessione; l’andamento negativo delle borse; il crollo della domanda e dei consumi; la conseguente sovracapacità produttiva inutilizzata e la crescita dei costi fissi non assorbiti; lo spettro della disoccupazione. Come si potrebbe ristabilire l’equilibrio tra produttività, occupazione e conseguente potere di acquisto, sostenendo l’attività delle imprese quotate in borsa? Una risposta coraggiosa e non a breve termine c’è: valorizzando la domanda potenziale dei Paesi poveri, mettendoli in condizione di partecipare al piano di risanamento globale grazie alla loro domanda inespressa, una domanda totalmente da sorreggere e finanziare. Si tratta, appunto, di un progetto di bolla umanitaria. Resta però il problema di come finanziarla.


La bolla finanziaria sostenuta fino a poco tempo fa negli Stati Uniti (quella dei mutui subprime) si fondava sulla speranza di crescita del reddito e sulla crescita del valore immobiliare, sottovalutandone però il rischio. La bolla umanitaria si potrebbe analogamente fondare sulla speranza di crescita del reddito e del valore degli investimenti in Paesi popolati da persone desiderose di migliorare e piene di dignità. L’Asia ha liquidità, gli Stati Uniti hanno tecnologia, l’Europa cuore, idee e iniziative imprenditoriali medio-piccole. I Paesi poveri hanno due o tre miliardi di candidati al progresso economico su cui investire in un’ottica a lungo termine.


Perché, quindi, invece di un’altra bolla correttiva, egoistica e a breve termine, non si pensa a una bolla solidale a lungo termine, che generi la crescita di produzioni e manodopera, finanziando i consumi e gli investimenti nei Paesi poveri? Che permetta in alcuni anni a circa tre miliardi di persone di partecipare alla crescita dell’intero sistema economico? Persone che però sono pronte, da subito, a esprimere una domanda essenziale per l’occidente, nonché a esser coinvolte in progetti infrastrutturali e produttivi, in progetti di formazione al lavoro e di conoscenza scientifica.


Si tratta di un progetto che deve essere finanziato a lungo e a tassi bassissimi e questo rappresenta l’impegno maggiore dei Governi, ma i Governi stessi che hanno garantito i mutui subprime potranno facilmente garantire opere infrastrutturali; potranno, con un po’ di sforzo, garantire imprese produttive da insediare in joint venture nei Paesi poveri e in settori-chiave come quello alimentare. Un esempio di successo è costituito dalla Grameen-Danone Food in Bangladesh. Si potrebbero progettare e realizzare scuole e banche in joint venture. Si potrebbe investire soprattutto nella rete e nella compravendita per posta elettronica per aiutare quelle popolazioni a entrare direttamente nel circuito commerciale con i loro prodotti, controllabili qualitativamente.


Proprio ora che stiamo diventando più poveri, sostenere i veri Paesi poveri, avrà un costo relativo, ma renderà enormemente. Quanto è costata la bolla dei mutui subprime solo negli Stati Uniti? Dieci trilioni di dollari? Quanto è stato invece investito nei Paesi poveri negli ultimi dieci anni per farli partecipare alla crescita economica? Oggi siamo felici che la ricca Cina – aiutata dall’occidente a svilupparsi economicamente – partecipi alla soluzione della crisi globale, ma si può immaginare un futuro con una ricca Africa, un ricco sud-est asiatico o una ricca America latina.


Alle obiezioni circa la mancanza di fondi e ai rischi eccessivi si può rispondere con le esperienze sul microcredito del premio Nobel per la pace, Muhammad Yunus:  il rischio è scarso nei popoli poveri. Essi danno a garanzia un bene superiore:  la loro stessa vita. Le bolle vere, quelle negative, si producono quando si falsano i prezzi e le condizioni di mercato, non quando si sostiene l’ingresso progressivo di miliardi di persone nel ciclo economico. Esse per noi costituirebbero una ricchezza, anche sul piano morale. Una bolla solidale quindi, una bolla umanitaria, che  non  sarà  per  nulla rischiosa, ma che anzi potrebbe salvarci.