Un modello in crisi ovunque, dagli Usa al Canada, dall’Olanda alla Gran Bretagna: vede trionfare la segregazione tra etnie. Quali alternative per evitare nuove intolleranze? Parla il sociologo Pierpaolo Donati, che sostiene una nuova semantica delle relazioni. Dal meticciato al dono reciproco
di Luigi Dell’Aglio
da Avvenire del 17 giugno 2008
Il multiculturalismo è in crisi. Non riesce ad affrontare in modo appropriato le difficili questioni che si aprono in tutti i Paesi in cui è rilevante il fenomeno dell’immigrazione (non esclusi gli Usa, patria del melting pot). In Francia il divieto di indossare abiti che rivelano l’appartenenza religiosa rischia di vanificare lo stesso fondamentale diritto all’istruzione. In Spagna la legislazione catalana finisce per autorizzare la poligamia. In Italia provvedimenti di amministrazioni locali producono l’effetto di ribadire l’inferiorità giuridica della donna immigrata. E soprattutto, un po’ dovunque in Europa, si chiudono gli occhi davanti a reati contro la persona umana. Oltre il multiculturalismo (Laterza, pagine 156, euro 16) è un libro che spiega le ragioni di questo fallimento, e descrive le distorsioni cui ha portato. L’ha scritto uno dei più autorevoli sociologi italiani, Pierpaolo Donati, ordinario di Sociologia dei Processi culturali all’Università di Bologna, il quale indica le possibili alternative. Contro la segregazione fra le diverse etnie o l’assimilazione a un’unica cultura dominante, si può favorire il meticciato ma occorrono strumenti adeguati, dice.
Professor Donati, perché è giunta l’ora di abbandonare il multiculturalismo?
«Bisogna distinguere fra multiculturalismo come realtà di fatto (che, per molti versi, arricchisce la società), e multiculturalismo come ideologia e come dottrina politica. Quest’ultima versione si basa su un immaginario collettivo (\’tutti differenti, tutti uguali\’) secondo il quale ogni cultura deve essere considerata pari a ogni altra. In questo modo si alimenta il relativismo culturale, la frammentazione della società, e si creano nuove disuguaglianze. Alla fine, si propone tolleranza, ma si genera intolleranza ».
Insomma il multiculturalismo non è all’altezza della situazione?
«Il principale difetto è la sua mancanza di relazionalità: invece di promuovere le relazioni di fiducia e cooperazione fra culture diverse, incoraggiando gli scambi, rende indifferenti le relazioni, e in questo modo distrugge la socialità. Isola le persone e le comunità, anziché connetterle. Dove è stato applicato (soprattutto in Canada, Australia, Olanda, Gran Bretagna) ha generato una società fatta di segmenti culturali chiusi in se stessi. L’idea del rispetto e della tolleranza per le culture \’altre\’ ha prodotto incomunicabilità sociale e culturale, e non si riesce più a costruire il bene comune».
Nel suo libro, si afferma che il multiculturalismo legittima comportamenti che arrivano a violare valori basilari della convivenza politica e civile. Può farci qualche esempio?
«Nei Paesi anglosassoni, alcuni reati contro la persona umana vengono ormai depenalizzati o trattati con esenzioni di pena, o altre \’esimenti\’, perché commessi in base a consuetudini di culture particolari che giustificano quei comportamenti. Ad esempio, la mutilazione di organi femminili, il matrimonio dei minori combinato fra i genitori, le violenze su donne e minori, sono fatti che trovano una difesa culturale (cultural defense) perché la dottrina del multiculturalismo li spiega come reati \’culturalmente orientati\’ (cultural offense). In questo modo, si rinuncia a far valere i diritti fondamentali della persona umana».
Come si può regolare la convivenza, quando le diverse culture esprimono valori radicalmente conflittuali fra di loro?
«Costruire un mondo comune è sempre difficile, ma è possibile individuare alcuni criteri di fondo in grado di aiutarci. Innanzitutto c’è il criterio dei comportamenti non tollerabili, cioè le azioni che violano la dignità della persona umana. Poi c’è il criterio della tolleranza, che permette l’esistenza di credenze, opinioni che possono essere non sanzionati, a patto che non si traducano in comportamenti lesivi della persona. A seguire, viene il criterio della rispettabilità, cioè dei valori che chiedono rispetto attivo (per esempio, il velo della donna, qualora la si possa comunque riconoscere in pubblico). Infine il criterio della condivisibilità, che riguarda quei valori fondamentali che cementano la società perché promuovono la dignità di tutti. Penso ai valori iscritti nella prima parte della nostra Costituzione. Sulla base di questi criteri si può costruire un minimo di mondo comune rispettando le differenze legittime».
Lei afferma che occorre una nuova semantica per affrontare la sfida delle differenze culturali. Di che cosa si tratta?
«Nel mondo moderno le differenze culturali sono state trattate in due modi: da un lato, si è affermato che sono espressione di lotte etiche per affermare nuovi valori (il che ha prodotto gli scontri fra le grandi ideologie dell’Otto e Novecento); dall’altro, si è sostenuto che le differenze sono incolmabili (l’individuo non deve relazionarsi a nessuno per essere una persona umana). Abbiamo bisogno di un’altra semantica per trattare le differenze. Nel mio libro, propongo una semantica relazionale, secondo la quale le differenze (anche quelle culturali) sono modi diversi di plasmare la nostra identità, che si basano su relazioni le quali si formano non per opposizione o esclusione dell’altro, ma attraverso \’circuiti di dono\’ e quindi di riconoscimento reciproco. Ho coniato l’espressione \’ragione relazionale\’, per dire che dobbiamo sviluppare la ragione che si riferisce alle relazioni umane e sociali per rendere più civile e umana la società».
E come giudica la realtà del meticciato?
«Il meticciato è una mescolanza che incorpora immigrati e minoranze, incrociando le differenti etnie così da formare generazioni che sono figlie di tante e diverse culture. La risultante è, in genere, una qualche forma di sincretismo culturale. In Italia ha avuto finora scarso successo: nell’80% delle famiglie nate dai matrimoni misti, le violenze sono in aumento e l’epilogo è la separazione e il divorzio. Il meticciato non può essere una strategia di breve-medio periodo; è piuttosto un processo in tempi lunghi, che può prodursi solo in modo spontaneo, per creare una società relativamente pacifica e accogliente. In teoria può essere un arricchimento comune, ma richiede una forte capacità di comprensione reciproca e un minimo di \’spirito condiviso\’. Si tratta di condizioni ostacolate dalla globalizzazione, che tende a rafforzare le divisioni culturali ed etniche a livello locale, per il senso di insicurezza che provoca fra i gruppi etnici. In alternativa alla segregazione fra le diverse etnie o all’assimilazione a un’unica cultura dominante, si può favorire il meticciato ma con strumenti adeguati».