Mons. Amato: non c’è Chiesa senza missione

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L’INTERVISTA
Oggi la Pontificia Università Salesiana ospita una giornata di studio e di riflessione sulla recente «Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione» 
Annuncio, proselitismo, libertà religiosa, dialogo: parla il segretario della Congregazione per la dottrina della fede, cofirmatario della «Nota» vaticana

«Nell’attività evangelizzatrice stiamo vivendo una stagione di ristagno Ma la promozione umana non basta»

«L’annuncio del Vangelo? Un dono inestimabile che la Chiesa fa nella più assoluta libertà e gratuità all’umanità»

DA ROMA  GIANNI CARDINALE
Questa mattina la Pontificia Università Salesiana ospi­ta una giornata di studio e di riflessione sul tema «La \’Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione\’. Problemi sottesi e ricadute catechistiche».
Relatore principale della giornata sarà l’arcivescovo Angelo Amato, il segretario della Congregazione per la dottrina della fede, che, in­sieme al cardinale prefetto William J. Levada, ha firmato la Nota in questione pubblicata alla fine del­lo scorso anno.
La giornata, orga­nizzata dall’Istituto di catechetica diretto da don Ubaldo Montisci, viene introdotta dal saluto del ret­tore don Mario Toso e ospita inol­tre le riflessioni dei teologi don Do­nato Valentini, don Guido Gatti e padre Pombo Kipoy, cui segue un dibattito-dialogo con i parteci­panti.
Avvenire
ha approfittato di questa occasione per porre alcune do­mande a monsignor Amato, il qua­le è particolarmente onorato dal fatto che la Nota in questione sia stata ripetutamente citata dal Pa­pa nei suoi ultimi interventi.
«È un segno inequivocabile di come il Santo Padre, che ha approvato la Nota prima che venisse pubblica­ta, la ritenga veramente utile e ne­cessaria. Oggi». Eccellenza, perché si tratta di una Nota necessaria oggi?

La Nota nasce da alcune doman­de che sono particolarmente sen­tite nell’attuale contesto ecclesia­le. E cioè: in un clima così irenico per quanto riguarda il dialogo in­terreligioso ed ecumenico è anco­ra possibile e legittima l’evange­lizzazione? E se è legittima, è ne­cessaria oggi, dal momento che le religioni vengono considerate tut­te vie salvifiche? Non solo. La Chie­sa cattolica gode anch’essa di li­bertà religiosa, così come ne go­dono i non cristiani e i non catto­lici nei paesi a maggioranza catto­lica? E si può chiamare proseliti­smo l’esercizio e anche la manife­stazione pubblica della propria fe­de? È proprio a questi interrogati­vi che cerca di dare una risposta la Nota. 

 Sembrano interrogativi che de­notano una certa visione pessimista dell’attuale spinta missio­naria della Chiesa…

Guardi, il Concilio Vaticano II e il magistero successivo non hanno messo tra parentesi la necessità che la Chiesa sia missionaria. Tutt’altro. «È dunque necessario – ci ricorda ad esempio il Concilio – che tutti si convertano a Cristo co­nosciuto attraverso la predicazio­ne della Chiesa, ed a lui e alla Chie­sa, suo corpo, siano incorporati at­traverso il battesimo». Ma ciò no­nostante…

Che è successo?
Nonostante questo chiaro invito alla missione e nonostante la con­statazione che sempre più nume­rose comunità umane sembrano ignorare il Vangelo, oggi l’attività evangelizzatrice subisce un certo ristagno se non una vera e propria crisi. Sembra che si stia attra­versando – so­prattutto da parte degli isti­tuti missionari – un periodo di smarrimento sia teorico sia pratico. Con­cetti come mis­sio ad gentes, e­vangelizzazione, conversione, bat­tesimo, incorporazione alla Chie­sa non appaiono più come tra­guardi di nobili imprese spiritua­li, ma come un attentato alla li­bertà religiosa altrui e soprattutto espressione di colonialismo cri­stiano ormai superato o da supe­rare al più presto.

Eppure di missionari in giro per il mondo ce ne sono ancora tantis­simi…
Sul piano pratico, sembra che, più che la predicazione del Vangelo, sia oggi necessario e sufficiente l’impegno di promozione umana per assolvere al comando missio­nario del Signore Gesù: aiutare il prossimo, mediante iniziative concrete di educazione, di assi­stenza e di promozione della di­gnità umana. Si tratta, cioè, di li­mitarsi a una testimonianza nel sociale. Ma così si mette la sordi­na alla dimensione religiosa del­l’annuncio di Cristo e all’invito al­la conversione e al battesimo!

Come spiega questa svolta?

Teoricamente, questa svolta pra­tica della missione è motivata da precise indicazioni ideologiche, che sostanzialmente ritengono superata e non più praticabile u­na vera e propria missione. Se pri­ma valeva il motto «extra eccle­siam nulla salus», oggi invece – sempre secondo questa corrente i­deologica – sarebbe più adeguato affermare «extra ecclesiam multa salus». Di conseguenza non ci sa­rebbe una necessità impellente dell’attività missionaria e dell’e­vangelizzazione, ma ci si dovreb­be limitare alla testimonianza si­lenziosa e al riconoscimento del­la possibilità di salvezza di ciascu­no nell’ambito della propria reli­gione, dal momento che tutte le credenze sarebbero ugualmente valide. Il piano salvifico di Dio non sarebbe solo quello realizzato nel mistero dell’incarnazione del suo Figlio divino, ma si sarebbe manifesta­to nell’arcobaleno multicolore delle varie religioni del mondo. Il che è francamente inac­cettabile. 

Perché?

Quando si perde il senso della missione e si insinua­no teorie ambigue ed erronee, al­lora la fede si indebolisce. Si crea un circuito di confusione. L’evan­gelizzazione non è un problema di sopravvivenza o di supremazia, ma di coerenza con la verità della propria fede. La fede cristiana, in­fatti, ha una intrinseca connessio­ne con la verità. I cristiani hanno la certezza di essere nella verità, che è Cristo in persona. Di qui na­sce l’esigenza della missione e del­la condivisione del grande bene della verità.

Ecco quindi la necessità della No­ta…

La Nota intende rispondere a que­ste difficoltà, nel rispetto della co­scienza e della libertà di ogni per­sona umana. Anzitutto la Nota ri- leva lo stretto legame esistente tra libertà e verità. La libertà umana sganciata dal suo inscindibile ri­ferimento alla verità non è altro che espressione di quel relativi­smo, che non riconosce nessuna verità riducendo tutto a un indif­ferenziato pluralismo. L’evange­lizzazione, anche antropologica­mente parlando, è un dono ine­stimabile che la Chiesa fa nella più assoluta gratuità e libertà, all’u­manità intera, rendendola parte­cipe della propria ricchezza di ve­rità e di grazia. Il movente origi­nario dell’evangelizzazione è in­fatti l’amore di Cristo per la sal­vezza eterna degli uomini. 

La Nota ha anche una delicata im­plicazione ecumenica, laddove re­spinge l’accusa di proselitismo che periodicamente la Chiesa cat­tolica subisce so­prattutto da parte della Chiesa orto­dossa russa.

In effetti il nostro documento, pro­ponendo il caso concreto dell’evan­gelizzazione in Paesi di antica tra­dizione cristiana, richiama il ri­spetto che si deve avere per le lo­ro tradizioni e le loro ricchezze spi­rituali. Ma riafferma anche l’ur­genza dell’impegno ecumenico, mediante l’ascolto, la discussione teologica, la testimonianza. A que­sto proposito si ribadisce che, do­vunque si trovi e ogni qualvolta lo voglia, il fedele cattolico ha il di­ritto e il dovere di dare testimo­nianza e di proporre e motivare l’annuncio pieno della propria fe­de. Per questo non si può accusa­re il fedele cattolico di proseliti­smo – nel senso peggiorativo del termine e cioè come indebita pres­sione sull’altrui coscienza – se egli, nella libertà, nel rispetto e nella gratuità della carità, manifesta la propria fede cattolica mediante la parola e la testimonianza.

Quali sono sta­te le reazioni su questo punto? 

Migliori del previsto. È stato interessante notare che, ad esempio, nella Chiesa ortodos­sa russa si co­minci a discute­re il principio del territorio canonico che prima era quasi un tabù.

Eccellenza, un’ultima domanda. Come valuta gli ultimi sviluppi del dialogo ecumenico anche alla lu­ce del documento approvato lo scorso ottobre a Ravenna dalla Commissione mista internazio­nale per il dialogo teologico cat­tolico- ortodosso?

Il cosiddetto documento di Ra­venna è un testo provvisorio, non è un testo approvato dalla Chiesa cattolica, ed è arrivato allo studio della nostra Congregazione solo dopo la sua diffusione. Ad un pri­mo sguardo, mi è sembrato usare un linguaggio più vicino alla tra­dizione ecclesiologica ortodossa che a quella cattolica, laddove ad esempio si parla di sinodalità in­vece che di collegialità. Inoltre non si può dare una precisa identità teologica alla Chiesa universale senza il riferimento al primato di giurisdizione del Papa, successo­re di Pietro. Il primato non è un’ag­giunta opzionale ma un elemento essenziale che qualifica la Chiesa particolare e la Chiesa universale.

(C) Avvenire, 8 marzo 2008