[LeggendaNera] Papa’ cattolico? Storie di ordinaria persecuzione

  • Categoria dell'articolo:Notizie

Sharing is caring!

Mentre ancora non si sono placati gli echi dell’«affaire Buttiglione» ecco giungere altri segnali poco rassicuranti, questa volta in materia di libertà religiosa e educativa. Lo scorso 12 novembre, al termine di un processo iniziato il 25 febbraio dello stesso anno, è stato infatti condannato a Bolzano Claudio Nalin, 58 anni, terziario francescano e artigiano in pensione, nonché padre di sette figli (quattro maschi e tre femmine).

Il figlio maggiore Mariano, 28 anni, nel maggio 2002 lo aveva accusato di
maltrattamenti in famiglia a seguito di un’educazione religiosa ritenuta
troppo rigida e spartana, denunciandolo ai carabinieri. La difesa di Nalin,
affidata al professor Mauro Ronco e all’avvocato Giuseppe Silvestri, ha
approntato una tesi difensiva basata in primo luogo sul diritto dei genitori
di educare la prole secondo le proprie convinzioni religiose, in seconda
istanza sul tentativo di smontare la credibilità delle accuse di Mariano.
Questi avrebbe già cambiato decine di impieghi perché convinto di essere
“sfruttato” dai datori di lavoro. Infine, in risposta alla richiesta paterna
di un modesto contributo alle spese familiari, risultando assai gravoso il
mantenimento di una famiglia così numerosa con i soli 800 euro di pensione
percepiti, avrebbe cercato prima di sobillare i fratelli contro il padre e
tentato di convincerli a licenziarsi dal lavoro perché anch’essi
“sfruttati”, poi avrebbe denunciato il genitore.


Durante la fase istruttoria, poi, un’ordinanza del tribunale aveva però
costretto Nalin ad allontanarsi da casa per sei mesi, costringendolo a
vagare mendicando alloggio presso amici e parenti. Il tutto mentre la moglie
Marisa si ammalava gravemente e doveva essere operata due volte. A nulla
sono servite nel corso del processo le testimonianze della moglie, dei
parenti e di tutti gli altri fratelli, che smentivano le accuse di Mariano.
Le prese di posizione a difesa di Nalin da parte di tutta la sua famiglia,
escluso naturalmente il figlio accusatore, sono state considerate alla
stregua di meccanismi psicologici di difesa derivanti dal timore nutrito nei
confronti del “padre-padrone”, conseguenza di un preteso clima di terrore
instaurato da Nalin stesso tra le mura di casa. Nemmeno l’assenza di
precedenti certificati medici attestanti percosse o relazioni scolastiche
che lamentassero maltrattamenti nei confronti dei figli è valsa ad evitare
il verdetto di colpevolezza emesso dal giudice Silvia Monaco, che ha
sostanzialmente accolto l’impianto accusatorio del pubblico ministero
Donatella Marchesini condannando in primo grado Nalin a tre anni di
reclusione più cinque d’interdizione dai pubblici uffici.


Nel frattempo Nalin era fatto oggetto di una forte campagna negativa da
parte dei mass media locali, tra i quali si distingueva per zelo l’«Alto
Adige» (gruppo Espresso), il più diffuso quotidiano locale in lingua
italiana. Fin dai primi articoli Nalin veniva descritto più volte e senza
alcuna remora dal quotidiano altoatesino come «padre-padrone fanatico
religioso» che frustava i figli «in nome di Dio», sottoponendoli a
privazioni durissime per costringerli ad entrare in convento, ottenendo però
successo solo con le tre figlie fattesi suore. Di fronte alla secca smentita
delle figlie, in particolare da parte della figlia maggiore suor Elena
chiamata a testimoniare, il pubblico ministero ribatteva in aula in questo
modo: «Suor Elena ha difeso il padre per non mettere in discussione tutta la
propria vita», quasi a sconfessarne, oltre alla testimonianza processuale,
anche la veracità della vocazione religiosa. Una strana miscela
psicanalitica che ha caratterizzato tutto il processo, scandito dalle
relazioni degli psicologi rivelatesi di importanza fondamentale per togliere
ogni credibilità alle testimonianze pro Nalin, dato che queste nascevano,
sempre secondo il pubblico ministero, da «paura e angoscia di rappresaglia».


La dinamica del caso Nalin non può però non destare preoccupazioni e
potrebbe costituire una prima avvisaglia di futuri e inquietanti sviluppi in
materia di libertà religiosa e educativa. «Esiste un’aggressività ideologica
secolare, che può essere preoccupante», ha ammesso infatti il cardinal
Ratzinger nel corso di un’intervista recentemente rilasciata a «Repubblica».
Il laicismo dunque «comincia a trasformarsi in un’ideologia che si impone
tramite la politica e non concede spazio pubblico alla visione cattolica e
cristiana, la quale rischia così di diventare cosa puramente privata e in
fondo mutilata. In questo senso una lotta esiste e noi dobbiamo difendere la
libertà religiosa contro l’imposizione di un’ideologia che si presenta come
fosse l’unica voce della razionalità, mentre invece è solo l’espressione di
un ‘certo’ razionalismo»