Le omelie di Benedetto XVI raccolte in volume

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Presentazionde del cardinale Camillo Ruini del 5 novembre nella Sala del Cenacolo di Palazzo Valdina a Roma

Benedetto XVI, "Omelie. L’anno liturgico narrato da Joseph Ratzinger, papa", a cura di Sandro Magister, Libri Scheiwiller, Milano, 2008, pp. 280, euro 15,00.

di card. Camillo Ruini

In un nostro incontro di qualche tempo fa Sandro Magister lamentava che il tesoro costituito dalle omelie di Benedetto XVI rimanesse nascosto e sconosciuto per troppe persone. Questo libro agile, bello e ben curato – per il quale desidero esprimere plauso e gratitudine alle Edizioni Libri Scheiwiller e al Gruppo 24 Ore – ha il chiaro intento di porre rimedio a questo limite comunicativo. Il mio auspicio e la mia solida speranza sono che vi riesca in grande misura, perché in queste nitide pagine è veramente contenuto un tesoro, un nutrimento e anche una medicina, che possono fare un grande bene a chi vorrà leggerle. Ciò che sto per dire ha quindi lo scopo di rendere esplicite le ragioni per le quali il libro merita di essere letto.

Per il vero, Sandro Magister nella sua prefazione al libro chiarisce molto bene queste ragioni e dunque la prima cosa che faccio è invitare a leggere tale prefazione, dalla quale si comprende come Magister non sia solo un giornalista e un vaticanista, ma un teologo e un innamorato della liturgia.

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Per inquadrare e comprendere il significato, gli obiettivi e il contesto personale ed esistenziale delle omelie di Benedetto XVI, è molto importante la prefazione che egli stesso, il papa, ha scritto per il primo volume delle sue "Opera omnia", uscito pochi giorni fa in lingua tedesca e atteso tra pochi mesi in italiano. Questa prefazione è già stata pubblicata in italiano e in altre lingue dallo stesso Sandro Magister in www.chiesa.

Il papa spiega anzitutto perché ha scelto di pubblicare per primo il volume con i suoi scritti sulla liturgia, uniformandosi all’ordine seguito dal Concilio Vaticano II, la cui prima costituzione è stata quella sulla liturgia.

Scrive Benedetto XVI: “La liturgia della Chiesa è stata per me, fin dalla mia infanzia, l’attività centrale della mia vita, ed è diventata, alla scuola teologica di maestri come Schmaus, Söhngen, Pascher e Guardini, anche il centro del mio lavoro teologico”. Certo, come materia specifica del suo insegnamento egli aveva scelto la teologia fondamentale, perché voleva andare fino in fondo alla domanda “perché crediamo”, ma in questa domanda “era inclusa fin dall’inizio l’altra sulla giusta risposta da dare a Dio, e quindi anche la domanda sul servizio divino”, ossia sulla liturgia.

Benedetto XVI aggiunge: “Proprio da qui debbono essere intesi i miei lavori sulla liturgia. Non mi interessavano i problemi specifici della scienza liturgica, ma sempre l’ancoraggio della liturgia nell’atto fondamentale della nostra fede e quindi anche il suo posto nella nostra intera esistenza umana”. Perciò il suo interesse si è concentrato su tre ambiti fondamentali: l’intimo rapporto tra l’Antico e il Nuovo Testamento, il rapporto con le religioni del mondo, e il carattere cosmico della liturgia, la quale “rappresenta qualcosa di più della semplice riunione di una cerchia più o meno grande di esseri umani; la liturgia – infatti – viene celebrata dentro l’ampiezza del cosmo, abbraccia creazione e storia allo stesso tempo”.

Sandro Magister, nella sua prefazione, cita a questo proposito l’omelia pronunciata da Benedetto XVI il 29 giugno di quest’anno, per la festa dei santi apostoli Pietro e Paolo, nella quale il papa richiama il versetto 15, 16 della Lettera ai Romani, dove Paolo stesso esprime l’essenziale della sua missione dicendo che egli è chiamato “a servire come liturgo di Gesù Cristo per le genti, amministrando da sacerdote il Vangelo di Dio, perché i pagani divengano una oblazione gradita, santificata dallo Spirito Santo”. Magister ritiene giustamente che in quelle parole di san Paolo Benedetto XVI identifichi anche la propria vocazione e missione, e individua il tratto distintivo delle omelie, rispetto a tutto il restante magistero del papa, nell’essere queste “parte di un’azione liturgica, anzi, esse stesse liturgia”.

In realtà, Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, non solo per il suo profondo senso del mistero liturgico e quindi dell’azione liturgica, ma anche per le caratteristiche proprie della sua teologia, è sotto ogni profilo straordinariamente attrezzato e per così dire “orientato” verso il ministero dell’omelia.

Nell’intervento fatto “a braccio” il 14 ottobre scorso al sinodo dei vescovi sulla Parola di Dio, e poi riportato su "L’Osservatore Romano" del 19 ottobre, egli ha sostenuto che la mancanza, nell’esegesi attuale, di un’ermeneutica della fede – sostituita da un’ermeneutica filosofica profana “che nega la possibilità dell’ingresso e della presenza reale del divino nella storia” – provoca “una forma di perplessità anche nella preparazione delle omelie”. Infatti, “dove l’esegesi non è teologia, la Scrittura non può essere l’anima della teologia e, viceversa, dove la teologia non è essenzialmente interpretazione della Scrittura nella Chiesa, questa teologia non ha più fondamento”. Perciò, per la vita e la missione della Chiesa e per il futuro della fede, è assolutamente necessario superare il dualismo tra esegesi e teologia.

Prima di averla affermata da pontefice, Joseph Ratzinger aveva messa in pratica da teologo questa intima unità tra esegesi e teologia. Nel libro "La mia vita", indicando i motivi della profonda diversità della sua teologia da quella di Karl Rahner, egli ha scritto: “Io, al contrario, proprio per la mia formazione ero stato segnato soprattutto dalla Scrittura e dai Padri, da un pensiero essenzialmente storico” (p. 93). Questo carattere essenzialmente biblico, patristico, liturgico e storico della sua teologia ha fatto di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI quello straordinario omileta e quello straordinario catechista che, con la semplicità e la sostanza della sua parola, spezza in modo comprensibile a tutti il pane della Parola di Dio e del mistero della nostra salvezza.

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Aggiungo una precisazione che evita il rischio di un equivoco. L’indole essenzialmente storica del pensiero del teologo Ratzinger non è assolutamente da intendersi nel senso di un approccio storico che lascia le parole della Sacra Scrittura chiuse nel passato in cui sono state scritte. Al contrario – come egli stesso spiega ampiamente nel libro "Gesù di Nazaret" (pp. 12-15) – nella parola del passato si può e si deve percepire la domanda circa il suo oggi; nella parola dell’uomo, in concreto del singolo autore biblico, risuona qualcosa di più grande, Dio che ci fa conoscere il suo volto per la nostra salvezza.

In realtà Joseph Ratzinger elabora e fa vivere il grande patrimonio della fede biblica ed ecclesiale in un interscambio fecondo con le grandi problematiche del tempo che stiamo vivendo, di cui coglie in profondità il senso, le origini e i dinamismi. Per questo le sue omelie, come i suoi lavori teologici ed i suoi interventi magisteriali, ci interpellano e ci coinvolgono come luce e nutrimento per il cammino attuale della nostra vita.

In concreto, le omelie raccolte in questo agile volume mostrano come i testi delle letture bibliche delle singole celebrazioni possano essere compresi nel loro significato pieno e autentico, storico e teologico, proprio in quanto parte integrante dell’azione liturgica, e come a partire da questa loro pienezza possano vivere nel presente della fede e parlare a noi. Perciò la lettura e la meditazione delle omelie di Benedetto XVI è ormai per molti sacerdoti un aiuto prezioso e quasi un paradigma per la loro personale predicazione omiletica: al riguardo ho sperimentato io stesso quanto l’ascolto diretto di gran parte di queste omelie abbia giovato alla mia predicazione, migliorandone l’aggancio biblico e liturgico e stimolando l’attenzione e partecipazione dei presenti. Questo libro è pertanto anche un sussidio pratico che ogni sacerdote potrà facilmente procurarsi per avere un modello a cui ispirarsi nelle proprie omelie, non attraverso una ripetizione o imitazione pedissequa, ma come punto di riferimento per il proprio impegno personale nell’assimilare e comunicare la parola della nostra salvezza.

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Per dare a questa presentazione un poco più di concretezza, termino proponendo un paio di esempi dei contenuti delle omelie raccolte in questo libro.

Il primo esempio lo prendo dall’omelia della messa crismale della mattina del Giovedì Santo, nella quale i sacerdoti rinnovano, nelle mani del vescovo, il loro “sì” alla chiamata che hanno ricevuto da Dio. Questa omelia ci fa penetrare nella natura e nel significato del ministero sacerdotale. Benedetto XVI parte dalle parole del Deuteronomio che descrivono l’essenza del sacerdozio veterotestamentario: “astare coram te et tibi ministrare” – stare alla tua presenza e servirti –, parole che si trovano ora nel secondo canone della messa, immediatamente dopo la consacrazione, e indicano quindi lo stare davanti al Signore presente nell’Eucaristia e centro della vita del sacerdote.

L’omelia prosegue richiamando un inno della liturgia delle ore quaresimale, dove risuona l’imperativo “arctius perstemus in custodia” – stiamo di guardia in modo più intenso –: il sacerdote deve essere dunque uno che vigila, che sta in guardia di fronte alle pretese incalzanti del male.

Poi Benedetto XVI approfondisce il significato del servire al Signore: ciò che il sacerdote fa nella celebrazione dell’Eucaristia è compiere un servizio a Dio e un servizio agli uomini, inserendosi nella donazione che Cristo ha fatto di se stesso. Questo “servire” comporta molte dimensioni. In primo luogo la retta celebrazione della liturgia, “l’arte del celebrare”, e quindi la preghiera, da “imparare” sempre di nuovo alla scuola di Cristo e dei santi; inoltre la familiarità con la Parola di Dio che il sacerdote deve annunciare e spiegare, anzi, la familiarità con Dio stesso, che non deve però diventare assuefazione, oscurando il fatto sconvolgente e sempre nuovo che Dio sia presente, ci parli, si doni a noi. Il servire del sacerdote significa dunque obbedienza, l’obbedienza di Gesù nell’orto degli ulivi, l’obbedienza della fede che ci rende liberi nella comunione della Chiesa e nel servizio ai fratelli.

Un secondo esempio può essere l’omelia della messa del Corpus Domini, prima della processione eucaristica per le vie di Roma. Qui Benedetto XVI ci aiuta a comprendere il significato che ha per noi il Mistero eucaristico: anzitutto l’unità della Chiesa e potenzialmente di tutto il genere umano che in questo Mistero si esprime, secondo la parola di san Paolo ai Galati (3, 28) “Non c’è più giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero, non c’è più né uomo né donna, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”. È questa la “rivoluzione cristiana, la rivoluzione più profonda della storia umana, che si sperimenta proprio intorno all’Eucaristia”, dove tutte le nostre diversità sono riconciliate.

Il secondo aspetto costitutivo della celebrazione del Corpus Domini è il camminare con il Signore, che trova espressione nella processione eucaristica. Con il dono di se stesso il Signore ci libera dalle nostre paralisi, ci fa rialzare e ci mette in cammino, con la forza che viene dal Pane della vita: senza il Dio-con-noi, il Dio vicino, non possiamo infatti sostenere il pellegrinaggio dell’esistenza, né singolarmente né in quanto società e famiglia dei popoli.

Il terzo elemento costitutivo del Corpus Domini è l’adorazione, l’inginocchiarsi in adorazione di fronte al Signore, il riconoscere in Lui l’unico Signore. È questo il rimedio più valido e radicale contro le idolatrie di ieri e di oggi: chi si inginocchia davanti all’Eucaristia non può e non deve prostrarsi davanti ad alcun potere terreno, per quanto forte esso possa essere.

Il piccolo riassunto che ne ho proposto non può rendere la bellezza e la ricchezza di queste due omelie, e tanto meno delle altre contenute in questo libro. Perciò, di nuovo e cordialmente, vi invito a leggerlo e a meditarlo, per trovare in esso quel ristoro dello spirito e della vita che solo Gesù Cristo ci può dare (cfr. Matteo 11, 28).

fonte: www.chiesa