La libertà dell’ordine

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 Gustave Thibon – La libertà dell’ordine – Un sentiero aperto per il ritorno – Fede & Cultura – Verona – 2015 pp. 127 – €. 12,00

di Andrea Gasperini

 

Nel 1972, un gruppo di giovani pisani, tra i quali il futuro docente di storia medievale Marco Tangheroni, spinse Giovanni Volpe, figlio dello storico Gioacchino Volpe e proprietario a Roma di una piccola casa editrice, a pubblicare una raccolta di brevi saggi, poco più che aforismi, del francese Gustave Thibon (1903-2001) dal titolo “Ritorno al reale-Nuove diagnosi”. Ad essa, l’anno, dopo seguì la pubblicazione dell’altra raccolta del medesimo autore dal titolo “Diagnosi-Saggio di fisiologia sociale[1].

In quegli anni di forte tensione politica, i due libri di Thibon poterono essere diffusi pressoché esclusivamente in ambienti che oggi diremmo ‘di nicchia’. In questo caso, si trattava di quella piccola -ma assai attenta culturalmente- parte del mondo cattolico che si opponeva alla deriva progressista postconciliare della Chiesa ed insieme, alla diffusione del marxismo nella società.

Dei due libri che l’autore aveva scritto negli anni ‘40, quei giovani ed altri in Italia, si servirono principalmente come testi di lettura nei loro incontri formativi. I brevi saggi di Thibon ben si prestavano infatti sia ad essere esauriti nello spazio di una riunione che a fornire argomento di riflessione e di discussione di gruppo.

Per comprendere il motivo di tale particolare interesse, servirà soffermarsi anzitutto sulla figura dell’autore. Thibon, nato da famiglia contadina del sud della Francia, aveva presto abbandonato le scuole (preferendo ad esse la terra: come ricorderà più volte in seguito) ma aveva ugualmente proseguito gli studi da autodidatta con molteplici letture impadronendosi delle lingue classiche e del pensiero di autori anche distanti tra loro; ad esempio, San Tommaso d’Aquino e Friedrich Nietzsche.

Intorno ai 25 anni, dopo l’esperienza della guerra ed il rientro definitivo a casa (dove, nel 1941, avrebbe ospitato anche la nota scrittrice ebrea Simone Weil), Thibon recuperò la fede cattolica e si dedicò allo scrivere coniugandolo però sempre con l’amore alla terra così da divenire il ‘filosofo contadino’.

La sua riflessione, affidata a numerosi saggi di vario argomento più d’uno dei quali (oltre a quelli indicati) tradotti nel tempo anche in italiano, non è però costituita da argomentazioni logico-deduttive da citazioni o dal diretto confronto con gli autori. Essa nasce piuttosto da un incessante chinarsi sulla realtà per coglierne il ritmo vitale e comprendere il senso delle singole cose senza pregiudizi ideologici. Né più né meno di come il contadino osserva instancabilmente il lento evolversi della natura sapendo che in essa non vi sono schemi geometrici da applicare o rigide soluzioni valide una volta per tutte ma che vi è invece un organismo vitale da accompagnare nella crescita riequilibrandone di volta in volta, ma sempre con estrema delicatezza, le immancabili deviazioni che incessantemente si presentano.

Questo vero e proprio ‘realismo della terra’ si traduce per Thibon in un modo di vedere l’uomo e la realtà sociale che, pur senza citarli ad ogni momento, fa sua la lezione politica dei classici: a cominciare dai greci (Aristotele) e dai romani (Cicerone e Seneca) sempre però filtrati attraverso San Tommaso d’Aquino. La società che Thibon analizza non è dunque una meccanica unione di individui tutti uguali cui imporre ricette ideologiche e dunque, leggi, cibi, vestiti, gusti identici in ogni luogo ed in ogni tempo. Come la terra, essa costituisce invece un insieme organico di persone (uomini e donne, giovani e vecchi, ricchi e poveri, sani e malati, bianchi e neri, fisicamente ed intellettualmente dotati ed altri che lo sono meno), ciascuno con la propria individualità e la propria dignità. Spetta dunque all’autorità politica aiutare ognuno (ed i più deboli certamente per primi) ad incarnare il proprio ruolo sapendo che la salute –non solo fisica- di ogni membro del corpo sociale è fondamentale per il benessere del’intero organismo. Ad ogni passaggio, Thibon ricorda che per la società non esistono soluzioni pre-confezionate, che i problemi non potranno mai essere risolti né le ingiustizie eliminate una volta per tutte; al pari di quanto avviene nell’individuo i cui mali non sempre possono essere eliminati del tutto e comunque, anche dopo esservi riusciti, è inevitabile che altri si presenteranno fino alla fine sempre nuovi. Da qui la diffidenza per le ideologie e per le grandi costruzioni burocratiche ed invece l’attenzione per tutte le concrete realtà sociali soprattutto quelle piccole (familiari, professionali, locali), ciascuna delle quali dev’essere preservata, amata, e quindi aiutata nella crescita perché è solo in esse che l’uomo, ogni uomo, può realizzare sé stesso.

Gli aforismi/brevi saggi di Thibon si occupano così di problemi quali il concetto di ordine, di libertà, del retto uso della proprietà, sempre evitando di volare nel regno delle utopie o auspicare piaceri a buon mercato o fare facile propaganda di diritti senza doveri. I rimedi che Thibon propone non sono così  le riforme, costose ed inutili, tanto care ai politici in cerca di voti quanto il recupero del senso comune delle cose, dell’equilibrio delle persone, dello spirito di sacrificio e del senso di responsabilità  di ciascuno: nulla dunque di più distante dai miti della modernità.

Il suo periodare è sempre leggero e facile e molti sono gli esempi ed i riferimenti al concreto vissuto che rendono per chiunque agevole la lettura.

È pertanto merito della casa editrice “Fede & cultura” e del Curatore l’avere, a distanza di oltre 40 anni da quelle vecchie edizioni “Volpe”, raccolto circa 30 brevi saggi di Thibon comparsi negli anni ’70 su varie riviste, per lo più di area francese. Essi hanno il non piccolo pregio di affrontare, con il particolare stile dell’autore, la società uscita dalla progressiva dissoluzione dei legami sociali prodotta dai sommovimenti del ’68 che ancora stiamo vivendo. Si tratta di questioni che certamente non potevano costituivano materia delle vecchie raccolte delle quali però costituiscono l’ideale prosecuzione, stimolando ancora un volta la riflessione non ideologica del lettore.

Andrea Gasperini 

    

 


[1] Sarebbero poi stati entrambi ristampati nel 2007, dall’editore milanese Effedieffe, in unico volume, con il titolo ‘Ritorno al reale