Sfogliando le pagine di Avvenire e imbattendosi nel valzer di interventi e dichiarazioni riguardanti il neoministro della Pubblica Istruzione, si potrebbe provare una sensazione di déjà vu e un nostalgico ricordo dei vecchi libri di storia, popolati da immagini in cui re e imperatori, espressione del potere temporale, venivano incoronati e quindi legittimati dai papi, espressione del potere spirituale.
È proprio questa l'impressione che si potrebbe ricevere dall'evidente tentativo da parte di Avvenire, che nell'immaginario collettivo è il quotidiano dei vescovi, di legittimare la neoministra della Pubblica Istruzione, che rappresenta in quest'ambito un potere temporale alquanto controverso.
Un lettore più attento ed informato, tuttavia, osserverebbe che, lungi dall'essere un'investitura ecclesiastica, le posizioni rappresentate da Avvenire in tale contesto sono totalmente difformi da quelle del Santo Padre, il quale parla di gender come di guerra mondiale contro il matrimonio mentre lì si invita ad abbandonare la parola gender nella sua accezione minacciosa, lui denuncia il gender come colonizzazione ideologica e lì si dubita persino della sua esistenza.
Non si può certo dire, quindi, che la posizione di Avvenire in tale circostanza sia appiattita su quella della Chiesa e del Santo Padre; esse sembrano piuttosto diametralmente opposte al punto da apparire inconciliabili, ma ciò è tuttavia riconducibile a un nobile intento di pluralismo e ad un sano pricipio di pari opportunità da parte di un serio organo di informazione.
L' orientamento educativo della ministra, chiarito da una sua lettera al Direttore che purtroppo non ha convinto nessuno, sorprendentemente ha trovato nelle pagine di Avvenire un coro unanime di convinti sostenitori, come la Vicepresidente Nazionale del Forum delle Associazioni Familiari M.G. Colombo, la Responsabile Nazionale Scuola e Università di Forza Italia Elena Centemero e lo stesso Direttore Marco Tarquinio.
Dico sorprendentemente non tanto per l'entusiasmo da parte di una deputata azzurra nei confronti di un ministro targato PD, quanto per la posizione del Forum delle Associazioni Familari, che appare scollata dal diffuso disappunto che c'è al riguardo all'interno delle nostre associazioni.
Secondo quanto da essi dichiarato nell'ambito del discusso articolo di Marco Tarquinio, non si nutre alcun dubbio sull'onestà intellettuale della Fedeli, si segnala la mancata applicazione del famigerato comma 16 della legge 107 e si invita a sgomberare il campo da preoccupazioni circa questioni di carattere ideologico, puntando su un coinvolgimento pieno e responsabile – con esplicito riferimento alla Costituzione – delle famiglie nelle scelte educative.
Tanta fiducia e tanta stima credo debbano innanzitutto misurarsi con questioni piuttosto controverse che non possono passare sotto silenzio; non si tratta di pregiudizi o di propagandistico processo alle intenzioni, come leggiamo su Avvenire, ma di precedenti concreti, primo tra tutti quello del d.d.l. Fedeli.
Secondo un articolo di Avvenire dello scorso 14 dicembre questo temibile disegno di legge sarebbe stato ritirato, tuttavia, spulciando su internet, di questo ritiro non si riesce a trovare traccia; è invece probabile che esso si trovi parcheggiato in Senato, in attesa che i mezzi di informazione e i post facebook della Boldrini ci convincano che è cosa buona e giusta, allo scopo di renderlo meno indigesto durante il suo iter parlamentare.
Questo d.d.l. prevede l'introduzione dell'educazione di genere – che è un tema sensibile – come insegnamento obbligatorio e trasversale a tutte le discipline e pertanto non soggetto al consenso informato da parte dei genitori.
In questo contesto parlare di collaborazione con le famiglie diventa illusorio e fuorviante, perché se il d.d.l. Fedeli dovesse diventare legge non potrà esserci nessuno spazio di discussione per i genitori sul tema della parità di genere; opporsi sarebbe come chiedere l'esonero da una disciplina obbligatoria come la matematica. Tanto più che il d.d.l. prevede anche l'omologazione in questo senso dei libri di testo e l'indottrinamento forzato dei docenti.
Per affrontare in modo sereno e costruttivo questo clima di divergenze e incomprensioni bisognerebbe – è questo il leit motiv – evitare di innalzare muri ma piuttosto costruire ponti; tuttavia, sorvolando sulle minacce di denuncia della Giannini che ormai sono acqua passata, leggendo attentamente il d.d.l. Fedeli si ha la netta impressione che dall'altra parte non ci sia alcuna disponibilità alla costruzione di questi ponti.
Ciò che emerge è piuttosto l'intenzione unilaterale di attuare un'operazione di carattere ideologico basata su presupposti ascientifici, attraverso una crociata contro quegli stereotipi di genere che, come è dimostrato dal celebre paradosso norvegese e dalla letteratura scientifica, sono in larga misura radicati nella biologia e nella neurofisiologia dell'uomo e della donna.
Quanto al tema della parità tra uomo e donna tanto osannato da questo strano coro, chi abbia un minimo di esperienza nel mondo della scuola lo riconosce come uno degli ormai arcinoti cavalli di Troia per veicolare nelle classi, attraverso progetti e progettini, contenuti fortemente critici che impattano sull'identità affettiva e sessuale dei ragazzi. Chi conosce davvero la scuola sa anche che i nostri nostri ragazzi hanno già implicitamente ricevuto, da noi docenti e dalla società in cui viviamo, l'educazione alla parità tra l'uomo e la donna e questa conquista era già chiara anche a noi vent'anni fa, quando io e molte altre ragazze ci siamo laureate in ingegneria a dispetto dei temutissimi stereotipi di genere.
Non è certo questa la strada per prevenire la violenza, che, di genere o non di genere, è solo violenza, ma piuttosto la capacità di accogliere ed accettare l'altro, la mitezza e il dominio di sé, tutte cose che non si insegnano né con i progetti, né con l'educazione di genere.
Questa insolita e sospetta insistenza sull'argomento è verosimilmente dovuta al fatto che si tratta solo di un paravento che nasconde secondi fini, propagandato strumentalizzando i fatti di cronaca sul femminicidio con la complicità dei mezzi di informazione.
Figurarsi poi fare un d.d.l. solo per questo, per di più imponendo questa ideologia anche alle scuole cattoliche: é del tutto evidente che tale prospettiva possa entrare in conflitto con un'educazione di ispirazione cattolica e ciò costituirebbe una chiara violazione del principio di libertà educativa dei genitori.
Ultimo ma non ultimo il problema della copertura finanziaria del d.d.l., che, come si legge all'articolo 6, sarà ricavata secondo modalità che ne faranno gravare i costi sulle famiglie italiane; se veramente si vuole la parità tra uomo e donna queste ingenti risorse potrebbero essere impiegate per attuare misure a sostegno della maternità.
Circa un anno fa la rivista: "Noi, genitori e figli" di Avvenire recitava testualmente: "Come il d.d.l. Fedeli, che vorrebbe stanziare 200 milioni per i corsi sul gender".
Certo, tutti possiamo prendere un abbaglio e poi abbiamo anche il sacrosanto diritto di cambiare idea; tuttavia l'invito da parte di questo strano coro ad abbandonare certe argomentazioni e a deporre l'uso della parola gender sa un po' di bavaglio e se mi si vorrà far passare per visionaria, integralista o fascista, con il Santo Padre sarò in ottima compagnia.
Considero infine troppo ambiziosa questa sconfinata fiducia nella partecipazione dei genitori alla vita della scuola: provate a parlarne in certe scuole di periferia, dove i genitori, spesso pregiudicati o detenuti, mandano i figli a scuola solo perché hanno ricevuto una visita a casa da parte dei carabinieri.
Questa battaglia o, come vorrebbero i più, questa costruzione di ponti, non può svolgersi nelle scuole, bensì nelle sedi istituzionali, sui giornali e alle urne.
Occorre a mio avviso che il mondo dell'associazionismo, principalmente il Forum delle Associazioni Familiari che attraverso le dichiarazioni di M.G. Colombo si trova coinvolto nella vexata quaestio, prenda coscienza di ciò che si vorrebbe attuare sui figli della nostra nazione; così come nessuno di noi li affiderebbe ad una baby-sitter che abbia precedenti discutibili credo che, "vergin di servo encomio", dovrebbe chiedere precise rassicurazioni e garanzie prima di affidare la loro educazione e formazione ad un ministero guidato da una persona con precedenti e intenzioni fondatamente preoccupanti.
Reputo pertanto necessaria da parte delle varie associazioni una presa di posizione al riguardo, garbata, chiara e circostanziata, sul modello della lettera aperta del Comitato Articolo 26 al Direttore di Avvenire.
Peccato che questa lettera non abbia ancora avuto riscontro da parte del Direttore, poiché potrebbe essere determinante nel dirimere la questione in quanto fa esplicito riferimento a precisi fatti e situazioni e pertanto esorto tutti caldamente a leggerla.
E da ultimo un fraterno appello ai simpatici retori dei muri e dei ponti: non sono questi i ponti di cui parla il Santo Padre, si parli con franchezza e amore alla verità e si lasci la costruzione di ponti agli ingegneri.