L’affaire Roncalli-Sant’Uffizio. Il documento della nunziatura
Esercizio di edizione critica provvisoria
di Pietro De Marco
Consuntivamente, almeno ad oggi, sera dell’Epifania, quanto sappiamo della copia del documento in possesso di “Avvenire” (e quanto ne sanno i ricercatori in Francia; altro, e più, è possibile si conosca a Roma) è presto detto.
1. IL DOCUMENTO
[intestazione ms. certamente posteriore] Archives de l’Eglise de France.
[nota, di grafia diversa] […] le (?) 30/4/47 à S.Em. le C.al Gerlier
[intestazione a macchina, sin. in alto] [Nonci]ature Apostolique [lacuna?] de France [lacuna?] N. 4516 (?)
[data, destra in alto] Paris le (?) 25 octobre 1946
[oggetto] [Enfan]ts juifs confiés à des organisations catholiques au moment de [la pe]rsecution.
Au sujet des enfants juifs, qui, pendant l’occupation allemande, ont été confiés aux institutions et aux familles catholiques et qui sont maintenat réclamés par des institutions juives pour leur être remis, la S.Congrégation du St Office à donné une décision que l’on peut résumer ainsi:
1) Eviter, autant che possible, de repondre par écrit aux auctorités juives, mais le faire oralement.
2) Toutes les fois qu’il sera nécessaire de répondre, il faudra dire que l’Eglise doit faire ses investigations pour étudier chaque cas en particulier.
3) Les enfants qui ont été baptisés ne pourraient être confiés aux institutions qui ne seraient pas à même d’assurer leur éducation chrétienne.
4) Pour les enfants qui n’ont plus leur parents, étant donné que l’Eglise s’est chargé d’eux, il ne convient pas qu’ils soient abandonnés par l’Eglise ou confiés à des personnes qui n’auraient aucun droit sur eux, au moins jusqu’à ce qu’ils soient en mesure de disposer d’eux-mêmes. Ceci, evidemment, pour les enfants qui n’auraient pas été baptisés.
5) Si les enfant ont été confiés par les parents; et si les parents les réclament maintenant, pourvu que les enfants n’aient pas reçu le baptême, ils pourront leur être rendus.
Il est à noter que cette décision de la S.Congrégation du St Office a été approuvé par le St Père.
2. LA TRADUZIONE ITALIANA
Rispetto alla traduzione Melloni (Mell.) vanno corretti:
– la data: Mell. 20 ottobre; errata, per 25 ottobre;
– Mell. giudei, juifs; da rendere (come si preferisce in it.) con ebrei;
– Mell. reclamati, reclamés; da rendere con: richiesti, sollecitati;
– Mell. restituiti, remis; errato, da rendere rigorosamente con: consegnati (con giro di frase diverso dal fr.: che le organizzazioni ebraiche richiedono vengano consegnati loro);
– Mell. preso una decisione, donné; meglio: pronunciata, rimessa, cioè data all’istanza richiedente;
– Mell. ogni caso particolare, chaque cas en particulier; meglio: caso per caso, ogni caso per sé;
– Mell. che non ne sappiano, qui ne seraient pas à même; da rendere meglio: che non siano in grado di;
– Mell. si è fatta carico, s’est chargé; meglio: si è presa cura (con accentuazione della assunzione di responsabilità);
– Mell. a meno che non siano in grado di, au moins jusqu’à ce qu’ils soient en mesure de; errato e lacunoso, per: al meno finché non siano (in it.: saranno) in grado di disporre di sé (cioè, credo, almeno fino alla maggiore età e finché non risultino autosufficienti);
– Mell. ammesso che, pourvu que; meglio: purché.
3. CONSIDERAZIONI
a. Sotto l’aspetto strettamente letterale il testo francese ci fornisce una migliore caratterizzazione dei contenuti. Risulta meglio la richiesta di consegna (non di restituzione) dei minori ebrei alle organizzazioni ebraiche, da un lato, e il senso della obiezione – giuridicamente rilevante anche in sede civile – sulla inopportunità di consegnare dei minori a soggetti che non potevano esibire alcun diritto su di loro. L’argomento di dover attendere per ogni atto del genere l’autosufficienza (legale e materiale) dei minori presi in carico, in particolare, suona ineccepibile.
Da qui la differenza di tono tra la disposizione relativa alle organizzazioni (negativa, fino all’estinguersi delle responsabilità contratte verso i minori ebrei da famiglie e enti cattolici) rispetto a quella (positiva) relativa alle famiglie.
Certo, la salvaguardia della fede dei minori battezzati nella chiesa cattolica è posta come eventualità non in discussione. Essa implica un noto impedimento di principio alla consegna a non cattolici, anche se conosce soluzioni di opportunità e condizionali, come a Roma e a Parigi si sapeva, nonché alternative in dottrina. Ma, proprio per questo, è anche un dato che nel nostro documento resta sullo sfondo. Può intendersi, per l’estensore di questa sintesi e/o per i suoi destinatari, come un dato ovvio, con le sue altrettanto ovvie eccezioni applicative?
Ciò che nell’economia del documento preme, pare, è la opposizione della responsabilità e potestà (di genere tutoriale) di organismi e famiglie cattoliche alla richiesta delle “organizzazioni” ebraiche.
b. L’aspetto del documento conserva, però, tutta aperta la questione della sua veridicità, totale o parziale. Chi formula il testo e attesta con ciò l’avvenuta decisione della Congregazione? Con quale cognizione e adeguatezza (fedeltà) all’eventuale decisione romana nella sua autentica formulazione? E (domanda che è stata spesso posta in questi giorni) quanta parte dell’episcopato francese, ovvero dei soggetti (si parla di organizzazioni e famiglie) interessati, fu eventualmente interessata da queste disposizioni (si intende, così come appaiono in questo testo)?
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FRA STORIOGRAFIA E GIORNALISMO
LA TENTAZIONE DI FARE I DILETTANTI
Pietro De Marco
Uno storico di grande professionalità come Daniele Menozzi ha dichiarato ad un’agenzia: «Su un argomento così serio e delicato [quale il rapporto Chiesa cattolica/ebrei], e soprattutto su cui la sensibilità oggi è così attenta, non è opportuno assecondare atteggiamenti sensazionalistici, superficiali e approssimativi (…). La società dello spettacolo ne ha probabilmente bisogno per autoperpetuarsi, una storiografia che intenda svolgere le sue funzioni critiche assai meno. Proporre, come si è fatto, un documento (…) è indice di un atteggiamento che (…) ha molto a che fare con la volontà di proporre un uso pubblico e politico della storia che è totalmente incompatibile con la funzione civile che la storiografia dovrebbe svolgere».
Ammettiamo pure, in una prospettiva meno rigoristica, che usi politici e pubblici del lavoro degli storici siano inevitabili, non solo in termini di fragilità intellettuale e morale degli uomini ma di animazione conoscitiva, di intimo finalismo, del progetto storiografico (e qui l’uso politico potrebbe divenire, seppur sempre rischiosamente, virtuoso). Ma l’uso politico ha vitale bisogno di regole, e saranno regole (circa lo stesso progetto storiografico) anzitutto interne, fondate sulla consapevolezza e la misura dello scarto tra quanto sarebbe più obiettivamente posto e quanto l’urgenza «politica» chiede talora allo storico di dire.
Abbiamo commemorato in questi giorni il maestro laico Eugenio Garin: ebbene, l’autore delle discusse Cronache di filosofia italiana sapeva, e aveva il rigore di ammettere, che quell’opera era nata come grande saggio polemico (restando, aggiungo, un’opera magistrale). La verità dell’enunciato storiografico «politicamente» ordinato (se ha dignità) è verità pratica e ha conseguenti lim iti conoscitivi, radicali; le parti che lo sanno l’accolgono, usano, combattono come tale.
Perché allora l’ondata feroce prodotta – tramite il più autorevole giornale italiano – dal deprimente dono di Natale di un foglietto dattiloscritto con un testo anonimo del 1946 (anche mal tradotto), ha invece un suo corso disastrosamente incontrollabile nel pubblico e per il pubblico? Perché presso alcuni protagonisti si è verificato un deficit di consapevolezza e di controllo dell’uso pubblico della storia. Lo mostra la titolazione delle pagine del Corriere (il giornalista è infatti il primo e più sintomatico pubblico della notizia che costruisce). «Pio XII al nunzio Roncalli: non restituite i bimbi ebrei» (28.12.2004); «Il Vaticano non può beatificare Pio XII» (29.12.2004); «Battesimi forzati, il male oscuro della chiesa» (31.12.2004); in un sommario del 2.1.2005: «Persecuzioni. I costretti a convertirsi, se tornavano alla loro fede, erano apostati», ove il miscuglio di inesatto e di ovvio produce il sensazionale.
Così però il meccanismo si fa impietoso, tant’è che per difendere la memoria e la causa di Pacelli il Giornale ritiene a sua volta di gridare: «Il documento “agghiacciante”? Lo scrisse Roncalli», non meno criticamente insensato del «Pio XII chiede a Roncalli di non restituire alle famiglie i piccoli battezzati» (Corriere, 2.1.2005).
Insomma, l’uso politico della storia (fino all’orrenda falsificazione di Goldhagen) slitta così nella sregolata alterazione del dato e nella corruzione del lettore.
Avvenire 6-1-2005
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Editoriale
Professore, perché l’ha fatto?
Sebastiano Cinel
Del presunto «affaire» riguardante i bambini ebrei dapprima ospitati in istituti religiosi al fine di proteggerli dalle sgrinfie naziste e che poi – a guerra finita – sarebbero stati negati ai rispettivi parenti, sappiamo ormai tutto, o quasi. I lettori di questo giornale, in particolare, hanno potuto apprendere anche nei minimi particolari dell’incredibile equivoco che è sorto ai danni della Chiesa cattolica, specialmente di due grandi Papi del secolo scorso, Pio XII e Giovanni XXIII.
A ben vedere, ci sarebbe ancora una domandina finale che merita di essere posta e che inevitabilmente va indirizzata all’incauto studioso che con spensieratezza ha innescato questa miccia, essendogli poi scappato il filo di mano. Si ricorderà infatti che tutto partì da un articolo-denuncia che lo storico Alberto Melloni (nella foto sotto) s’è trovato a pubblicare sulle importanti pagine del «Corriere della Sera». Con l’aria di rendere noto un «agghiacciante» (l’aggettivo è suo) sopruso concepito dalla Curia di Pio XII e affidato in gestione a nunzi neghittosi del calibro di Angelo Giuseppe Roncalli, Melloni ha dato il via ad una polemica giornalistica protrattasi per oltre una settimana, e conclusasi per lui in modo alquanto rovinoso. Egli – sull’«Eco di Bergamo» – si rammarica ora che «la discussione abbia preso una piega sbagliata», frase che per il contesto in cui giace lascia intendere tutta la delusione per un’iniziativa che lui aveva avviato con ben altri intenti.
Proviamo allora ad elencare i risultati prodotti da questa impensabile operazione. Primo. Melloni ha, per reazione, provocato un tale sussulto di dati e informazioni da mettere ormai definitivamente in salvo Pio XII da ricorrenti e speciose accuse di comportamenti anti-ebraici. Secondo. Ha procurato ingiusto discredito sugli operosi anni parigini di quella luminosa figura che fu il nunzio Roncalli. Terzo. Ha suscitato un attonito scompiglio nella categoria non proprio angelicata degli storici, in particolare tra quelli schierati con la scuola bolognese di Alberigo. Quarto. Ha incrinato preziosi rapporti di sinergia intellettuale con gli studiosi parigini suoi referenti, che oggi gli rimproverano un uso spregiudicato (e dunque spregevole, a loro stesso giudizio) delle ricerche d’archivio colà condotte. Quinto. Ha rifilato una memorabile «sòla» – direbbero a Roma – ad un quotidiano della levatura del «Corriere» che gli aveva offerto generosa ospitalità. Insomma, viene naturale guardare oggi con una certa tenerezza a questo studioso dai modi risoluti, quando non alteri. E benevolmente ricordare insieme a lui quel chiavistello della storiografia che va sotto il nome di «eterogenesi dei fini». Partito per un’impresa, egli si è trovato mallevadore di un’altra, di segno completamente opposto. Di qui la sua amarezza. Ma da qui anche la nostra semplice domandina: perché l’ha fatto, professore?
Avvenire 7-1-2005