Io e il diavolo. Sant’Antonio racconta la sua vita

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Rino Cammilleri, «IO E IL DIAVOLO», Mondadori 2002, pag. 182, 16 Euro 

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ABBIAMO assistito ultimamente a un mediocre sceneggiato televisivo su sant’Antonio di Padova che narrava persino un episodio inventato di sana pianta: il duello iniziale con un amico per una damigella.
 
Non c’era proprio bisogno di quella scena da film di cappa e spada di infima categoria perché vi erano a disposizione tante altre appassionanti avventure reali.
 
A chi volesse ripercorrere fedelmente la sua vita consiglierei di leggere l’autobiografia apocrifa, «Io e il diavolo» (Mondadori), che ha scritto Rino Cammilleri perché, a parer mio, è non soltanto un’opera letteraria eccellente ma anche storicamente attendibile.
 
L’autore s’immedesima talmente nel santo da riuscire a trasmettercene fedelmente l’itinerario di maturazione spirituale fino agli ultimi mesi, quando poco prima di morire volle andare a vivere, pur malato, in una capanna posta sui rami di un albero.
E soprattutto sa farlo parlare al cuore dell’uomo di oggi, come un contemporaneo. 

Per rendere più credibile l’«autobiografia» Cammilleri l’ha punteggiata di lettere in corsivo, per la maggior parte apocrife, ma fondate su episodi realmente avvenuti e dove vescovi, confratelli e laici narrano dei miracoli che egli compiva e di cui evidentemente sarebbe stato restio a parlare in prima persona.
 
Per una serie di circostanze, non causali, ho avuto modo di avvicinarmi a questo grande mistico, predicatore, teologo che, come si sa, era nato a Lisbona in una famiglia nobile legata al re; e dopo avere scelto l’ordine agostiniano, venne folgorato dai primi seguaci di Francesco d’Assisi giunti in Portogallo: la loro eroica povertà e il loro eroismo lo spinsero a diventare «un poverello» e a partire per quel lungo viaggio che lo avrebbe spinto prima in Marocco, alla ricerca del martirio, poi sulle coste della Sicilia e di là ad Assisi.
 
Quei primi suoi passi li ho ripercorsi anni fa recandomi nella sua terra dov’ero stato inviato da una rivista padovana, «Il Santo dei miracoli», che voleva una storia di Antonio in Portogallo.
 
Non era la prima volta che incontravo il santo, o meglio che il santo aveva voluto «incontrarmi».
 
Anni prima la stessa rivista mi aveva pregato di scrivere vari articoli sui «Santi d’Italia», lavoro che mi ispirò poi l’omonimo libro, oggi nella Superbur Rizzoli.
 
Naturalmente il rapporto con «Il Santo dei miracoli» mi ha spinto spesso fino a Padova, alla tomba di Antonio i cui «Sermoni» (Edizioni Messaggero Padova), sono diventati una mia lettura quotidiana perché molti simboli di animali, fiori, pietre preziose sono evocati in quelle pagine dove ogni aspetto del creato rinvia al mondo soprannaturale.
 
Dovrò prima o poi scriverne anch’io una vita. Per ora mi sono gustato questa «autobiografia» il cui titolo allude alla non facile lotta che egli dovette sostenere costantemente contro le tentazioni diaboliche.
 
Il libro è percorso da un pensiero fondamentale: che dobbiamo affidarci alla Provvidenza, cercare di discernere i suoi inviti senza inutilmente contrastarla e senza tentare di sovrapporre ad essa i nostri desideri.
 
«Grazie dunque per non avere quasi mai aderito al mio volere» dice a questo proposito l’Antonio di Cammilleri a Cristo, prima di morire «perché il tuo si è sempre rivelato il migliore. Me ne hai fatte vedere di tutti i colori, in certi momenti ho avuto voglia di sbattere per terra la croce e di rinviarla al mittente, in altri mi è sembrato di sbagliare qualunque cosa facessi, anche il non fare niente. Qualche volta mi hai accontentato, assecondando i miei desideri, solo perché mi rendessi conto che non ero capace di gestirli. Troppe sono le grazie che mi hai concesso e di cui mi sono accorto tardi».
 
(C) Il Tempo, 13 giugno 2002