Schillebeeckx, teologo “profetico”?
Gabriel Louisetti
A partire dal Concilio Vaticano II la figura del teologo ha acquisito sempre più importanza e prestigio all’interno della Chiesa, e, va detto, anche al di fuori di essa, soprattutto nella misura in cui gli studiosi dei divini misteri si sono mostrati capaci di riflessioni “originali e creative”, o meglio, spesso e volentieri, in aperto contrasto con l’autorità del Magistero.
Tra i maggiori teologi “riformatori” che andavano di moda negli anni‘70 e ’80 figura Edward Schillebeeckx o.p., belga di nascita e olandese di adozione (insegnò infatti a Nimega, non lontano da Utrecht), scomparso il 23 dicembre del 2009 alla veneranda età di 95 anni: un nome che oggi non dice più niente al fedele comune, ma non per questo si deve sottovalutare l’influsso che il suo insegnamento ha avuto su diversi teologi ambigui e confusionari che purtroppo ancora oggi fanno sentire la loro voce, non di rado dall’alto di cattedre universitarie. Occorre sapere che il defunto teologo fiammingo, acceso sostenitore nel periodo post conciliare di bizzarre teorie sul ministero sacerdotale e la natura di Cristo, ricevette diverse richieste di chiarimento da parte della Congregazione per la dottrina della fede (CDF), la quale dovette però concludere, nonostante tutta la paziente carità impiegata dagli ufficiali della “Suprema” nel far prendere atto al religioso delle sue deviazioni, che quest’ultimo persisteva nell’essere “in disaccordo con l'insegnamento della chiesa su punti importanti” (Notificazione del 15 settembre 1986). Quanto basta per tenersi alla larga da un simile dottore.
Al professore di teologia dogmatica di Nimega, poco dopo la sua scomparsa, è stato peraltro dedicato un articolo dell’Osservatore Romano firmato dal vescovo ausiliare di Milano Franco Giulio Brambilla che è anche preside della facoltà teologica dell’Italia settentrionale.
Dopo un’attenta lettura si rimane stupiti dallo scarsissimo rilievo dato dall’estensore dell’articolo ai “guai con la giustizia ecclesiastica” dello Schillebeeckx, tenuto conto anche della gravità degli errori a lui rinfacciati dalla massima autorità garante della purezza della fede. Si consideri la Notificazione della CDF del 15 settembre 1986 che esordisce con le seguenti parole: “Il Professor Edward Schillebeeckx, O.P., negli anni 1979-1980 pubblicava due studi sul ministero nella Chiesa [in cui] riteneva di aver stabilito la «possibilità dogmatica» di un «ministro straordinario» dell'Eucaristia, nel senso che delle comunità cristiane prive di sacerdoti potrebbero scegliere al loro interno un presidente, pienamente […] abilitato a consacrarvi l'Eucaristia senza avere per altro ricevuto l'Ordinazione sacramentale nella successione apostolica”. L’errore è così pacchiano e macroscopico da non necessitare di commenti. Quanto alla cristologia, il professore fiammingo elaborava teorie astruse, al limite dell’eresia aperta (come la seguente: “Gesù non ha mai designato se stesso come "il Figlio" o "il Figlio di Dio", cit. nella Lettera della CDF, 20/11/1980), imbastendo disquisizioni sulla natura umana di Gesù che finiscono nei fatti con il mettere in dubbio il concilio di Calcedonia, sminuendo il fatto storico della Resurrezione (“ma le apparizioni in quanto tali non sono il fondamento formale della nostra fede nella risurrezione”, ivi) e perfino adombrando riserve sulla Verginità di Maria Santissima. Provvedimenti così espliciti da parte della CDF non meritavano forse una più approfondita attenzione al fine di meglio valutare le dottrine dello Schillebeeckx?
Non parliamo poi dell’atteggiamento infido tenuto dal medesimo teologo, il quale dopo aver rassicurato il card. Ratzinger circa gli impegni presi nel rettificare pubblicamente i propri errori pubblicò un libro in cui ribadiva in sostanza le stesse idee errate già espresse in altri libri (cf. Notificazione CDF 15/9/1986).
Certo, apprezziamo la chiarezza con cui monsignor Brambilla evidenzia i limiti (per non dire peggio) della teologia schillebeeckxiana nella quale domina la tentazione “di dover sottoporre la verità della fede al cambiamento della sua mediazione storica”. … Non ci riesce invece del tutto facile comprendere cosa abbia da lasciare “in eredità ancora da pensare” una teologia che, come scrive lo stesso vescovo ausiliare di Milano, è “tramontata con il secolo breve”, con “la fine delle grandi (e, ci permettiamo di aggiungere, “nefaste”) ideologie” del Novecento.
In conclusione, credo di poter affermare che farebbe piacere a molti, e non solo al sottoscritto, che la valutazione dei contributi teologici del XX secolo venisse effettuata con maggior chiarezza (ogni teologo deve adoperarsi affinché “la fede divenga comunicabile” ci ricorda l’Istruzione "Donum veritatis" del 1990), individuando gli elementi buoni senza paura di denunciare quelli francamente inutili o peggio dannosi. Mai come oggi, specie nel campo della teologia, c’è urgente bisogno di chiarezza e se occorre, fermezza, in un tempo in cui “verità fondamentali della dottrina cattolica … rischiano di essere deformate o negate” perfino da parte di coloro che hanno incarichi di insegnamento all’interno della Chiesa stessa (cf. B. Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis splendor, n. 4, par. 2-3).