- Che i credenti non lo dimentichino: certi confronti non vanno condotti sul piano della teologia ma della psicologia. Dietro le “ragioni” presentate come oggettive e portate in campo dagli avversari della fede, ci sono grovigli personali per sciogliere i quali serve si l’esperto; ma non di religioni, bensì di abissi psicologici.
C’è ancora qualcuno, magari anche tra cattolici, che prende sul serio quel carrozzone — nutrito della peggiore ideologia politicamente corretta e gestito da vecchi accademici alla rincorsa delle mode ideologiche — che è il Premio Nobel. Un Premio che, tanto per dirne una, è andato per Ia letteratura nientemeno che a Dario Fo del quale ben pochi, anche in Italia, ricordavano qualcosa di scritto. Insignito, insomma, di quello che gli ingenui credono il massimo riconoscimento mondiale un vecchio guitto demagogo che ha campato per decenni di proclami “antifascisti”, di esaltazioni della Resistenza ma che, finché ha potuto, ha cercato di nascondere (in questo sull’esempio del suo collega nel Premb, Gunther Grass, volontario nelle SS) di essersi presentato come volontario nei paracadutisti della Repubblica Sociale e di avere dunque combattuto i partigiani.
Ma l’ipocrisia dei giudici scandinavi, preoccupati solo di rispettare il conformismo del momento, ha il suo massimo trionfo nel Nobel per Ia Pace: a leggere i nomi, chi sa come stiano davvero le cose si mette spesso le mani nei capelli. Di recente ricordavamo qui quella Rigoberta Menchù, premiata in base a un’autobiografia commovente ed eroica ma che si è rivelata poi in gran parte falsa.
Quest’anno, il Premio (che ha una “borsa” miliardaria) é andato, “per l’instancabile impegno a favore della salvezza dell’ambiente”, a un politico, a quell’ Al Gore che é stato vicepresidente americano con Bill Clinton e, presentatosi alle elezioni presidenziali, é stato battuto per un pugno di voti da George Walker Bush. Ancora una volta, una scelta che dimostra quali siano gli “eroi”, gli “esempi”, i “santi laici” dell’attuale cultura egemone. Come ha sintetizzato Ia Svipop, una seria agenzia specializzata, di ispirazione cattolica, che si occupa di problemi climatici e demografici, “II Nobel per Ia pace a un simile personaggio è una vergogna e una follia”.
Una vergogna, si spiega, perché “ancora una volta si premiano figure che fanno della menzogna e dell’ipocrisia il proprio stile di vita”. Come tutti i moralisti “laici”, in effetti, Al Gore predica assai bene ma razzola malissimo. Così, questo guru ritorna ossessivamente sulla necessità e sul dovere del risparmio energetico ma, come ovvio, solo per gli altri. Un’inchiesta — che i suoi avvocati non hanno potuto smentire — ha rivelato che la sua grande, lussuosa villa nel Tennesee brucia in un mese venti volte l’energia consumata in un anno da una famiglia media americana. Nel suo grande garage, poi, sono allineati alcuni dei modelli di automobile più avidi di benzina, a cominciare dagli enormi SUV, il modello più detestato e demonizzato dagli ambientalisti come lui. Insomma, Ia solita storia: I’ecologo è un signore che cerca di vietare agli altri quello che lui ha già e già fa.
Ma, consuete contraddizioni a parte (già Gesù ci avvertiva: “Fate quel che dicono, non fate quel che fanno”) ce qualcosa di ben più grave. Gore, infatti, ha raggiunto fama mondiale — con incassi adeguati a questa fama — con un film documentario, An Inconvenient Truth, cioé una “scomoda verità”, su un mondo che starebbe andando alla distruzione a causa dell’attività umana, Ia quale provocherebbe quel “riscaldamento globale” che, più che una verità, sembra essere Ia maggiore sòla (per dirla alla romanesca) del nostro tempo. Ebbene, per citare Ia Svipop, “questo documentario è pieno di menzogne ideologiche e di affermazioni senza alcuna base scientifica presentate come oggettive e irrefutabili, come ha riconosciuto il tribunale britannico che, per non ingannare i giovani, ne ha vietato Ia proiezione nelle scuole, a meno che non si precisi chiaramente che non si tratta di scienza ma di fiction”.
Un vergogna, dunque, l’assegnazione del Nobel a un simile “profeta”. Ma perché anche una follia? La durezza degli esperti di Svipop non demorde: “Una follia perché si dà un premio per Ia pace a chi diffonde terrorismo ideologico e psicologico spacciandolo per scienza, con un Al Gore che si spinge a dire che i fantomatici “cambiamenti climatici” sarebbero “una minaccia ben più grave del terrorismo islamico”. Ebbene, continua I’agenzia, non si dimentichi che “una delle minacce più gravi alla pace viene proprio da chi cerca di convincere Ia gente che una bella giornata di sole a gennaio è più pericolosa di una bomba in metropolitana”. Ma è una follia, anche perché sostiene e premia un ecologismo fanatico che cerca in tutti i modi di bloccare lo sviluppo dei Paesi poveri, impedendo l’accesso a fonti di energia sufficienti ed economiche. Non a caso, un’associazione ambientalista in piena sintonia con Al Gore ha proposto Ia Cuba affamata e carente di tutto come vero esempio di sviluppo sostenibile”.
Questi, insomma, i “santi laici”, i “profeti del nostro tempo” proposti a modello. Ogni cultura ha gli esempi che si merita. Ma, per scendere dalla dimensione internazionale a una ben più casereccia, questo mi fa ricordare un episodio recente, in due tempi.
II primo tempo é costituito da una puntata di “Porta a Porta”, il salotto televisivo di Bruno Vespa, dedicato a Padre Pio e al libro di uno studioso ebreo che cerca di demolirne quello che per lui è un inaccettabile “mito”. Quella sera, partecipavo anch’io alla trasmissione, in una compagnia assortita, dove accanto al monsignore c’era l’attrice, lo sportivo, Ia casalinga. C’era anche Piergiorgio Odifreddi, autore del ben noto best seller, Perché non possiamo dirci cristiani (e meno che mai cattolici). Per capire l’ossessione non solo anticattolica ma antireligiosa tout court di un Odifreddi — che conosco da tempo e che ha a lungo insistito, inutilmente come ovvio, per fare un libro insieme — non bisogna mai dimenticare che egli pure, come tanti diffamatori dei credenti (il cristiano é per lui un cretino) viene dal seminario. Una famiglia molto religiosa — è stato battezzato come Piergiorgio in onore di Frassati, veneratissimo in Azione Cattolica — Ia decisione precoce di farsi sacerdote e poi I’uscita e (come capita a molti, troppi “ex”) il bisogno di vendicarsi del proprio passato, di rimuovere il senso di colpa convincendosi che Ia vocazione che aveva abbandonato non era che una dannosa illusione. Che i credenti non lo dimentichino: certi confronti non vanno condotti sul piano della teologia ma della psicologia. Dietro le “ragioni” presentate come oggettive e portate in campo dagli avversari della fede, ci sono grovigli personali per sciogliere i quali serve si l’esperto; ma non di religioni, bensì di abissi psicologici. Ma torniamo a quella puntata di “Porta a Porta”. II giorno dopo, il critico televisivo di Repubblica inveiva contro Vespa perché come “difensore della laicità e della ragione” di fronte a quella superstizione che sarebbe “il culto di padre Pio” aveva invitato solo Odifreddi, lasciandolo isolato in una banda di fanatici e di idolatri. Non era andata affatto così. Comunque il giornale romano parlava, testualmente, di un “eroico matematico” che, malgrado Ia solitudine in cui era stato relegato “da quel vecchio democristiano di Vespa”, si era battuto con coraggio ed efficacia.
Questo il primo atto del piccolo aneddoto. II secondo atto é costituito da un’altra “comparsata” televisiva chiestami pochi giorni dopo dalla concorrenza, da Mediaset cioè, per il contenitore domenicale della sua rete maggiore, quell’interminabile pot-pourri che inonda il pomeriggio sullo schermo. Mi si chiedevano due minuti — non pochi in tv — di dichiarazioni a proposito del solito libro su padre Pio già al centro del dibattito a “Porta a Porta”. D’istinto rifiutavo, come faccio quasi sempre, ma alle mie considerazioni, per farmi perdonare Ia renitenza, sull’impossibilità di prendere in tempo un volo per Roma, mi si replicava che non c’era problema. Una troupe mi avrebbe raggiunto a casa. Cercavo allora altre scuse, alle quali perô rinunciavo, quando mi si diceva che, se non fossi intervenuto, sarebbero rimasti solo i due minuti sullo stesso tema già concordati con il professor Odifreddi.
A questo punto, era doveroso accettare, non potevo — per pigrizia e fastidio — lasciare che su quel santo di cui sono io pure devoto, come innumerevoli altri, parlasse solo un ex-seminarista invelenito. Detto fatto: poche ore dopo, davanti alla troupe piombata non so da dove nel mio giardinetto, registravo i due minuti. I quali erano riversati alla regia di Roma, dalla quale mi giungeva subito una telefonata entusiastica: ottimo intervento, tempi rispettati, già registrato anche Odifreddi, saremmo andati sullo schermo uno dopo I’altro: un “pro” e un “contro” perfetto, due opinioni speculari, un servizio imparziale. Altre telefonate mi giungevano per indicarmi l’ora esatta dei nostri interventi, chiamava anche un funzionario per rallegrarsi con me e per farsi fare i complimenti per I’equanimità, per lo spazio dato sia alla fede che alla incredulità.
AII’ora stabilita, accendo il televisore, con puntualità che mi stupisce il conduttore, nel grande studio multicolore, attacca il discorso su padre Pio, sul libro appena uscito, sulle polemiche che ne sono seguite. E, annuncia, “per permettere ai nostri spettatori di farsi un’idea su questa vicenda, sentiamo l’opinione del professor Piergiorgio Odifreddi”. Un po’ mi stupisco, mi era stato detto che, per rispettare l’ordine alfabetico, sarei andato in onda per primo. Mi stupisco ma non me ne rammarico, penso che é meglio così, in fondo Ia difesa parla sempre dopo I’accusa. Ascoltato il matematico travestito da teologo, mi accingo a verificare come sia andata Ia mia registrazione che, ovviamente, non avevo ancora vista. E, invece, ecco il conduttore: “Abbiamo sentito l’autorevole parere dello specialista su padre Pio. E ora, colleghiamoci con Ia redazione sportiva per i risultati dell’odierna giornata calcistica”.
Tutto qui. II giorno dopo, su Repubblica, nessun critico si é lamentato che, su un tema cosi popolare e importante per i credenti, si sia sentita una sola campana. Nessuno ha esaltato “l’eroico Messori”: anche perché di lui e della sua opinione non é apparsa neppure una traccia.