(a cura di ) Piero Barucci: I Cattolici, l\’economia, il mercato (Rubettino 2009)
Questo è un libro da non comprare.
Esso è costituito da diciassette saggi di nove autori, uno solo dei quali, l’unica donna, può essere pienamente definito come scritto da uno “studioso cattolico”.
Se oggi totustuus.it lo recensisce, è solo perché esso costituisce un’esemplare testimonianza di un cristianesimo subalterno al mondo e un esempio del pressapochismo scientifico dei “cattolici subalterni”.
Questo volume, infatti, è utile per rendersi conto che – con la salita al soglio pontificio di Giovanni Paolo II prima e di Benedetto XVI poi – la situazione culturale dei cattolici non è molto cambiata. Essa patisce, almeno dal giansenismo, i danni provocati da un’infiltrazione (cosciente o inconsapevole, poco importa) di elementi dottrinali estranei al Deposito della Fede trasmessoci dal Magistero Pontificio. 1) Il volume si apre con un testo di Piero Roggi, la nullità dei cui contributi romanzati e fantascientifici non merita ulteriore menzione.
2) Divertente (per usare un eufemismo) anche il tentativo, operato da A. Santoni, di proporre un economista massone e protestante come Sismondi, quale precursore del pensiero sociale cattolico.
3) Gli scritti più sintomatici della subalternità e confusione mentale tra gli accademici sedicenti cattolici sono senz’altro quelli del prof. Barucci (Cfr. http://www.paginecattoliche.it/modules.php?name=News&file=print&sid=1077 ).
Il primo di questi, “Manzoni, Rosmini, la concorrenza, il prezzo”, ripropone la manzoniana adesione incondizionata al liberalismo economico sfrenato, che “mostra tutta la sua fiducia nel mercato nel conseguire la migliore possibile distribuzione di un bene scarso in un momento di emergenza. Le leggi economiche sono dure e severe, in specie se vengono invocate per giustificare una scelta che riguarda l’aumento del prezzo di un bene di prima necessità; anzi di sussistenza. Ma queste leggi sono non eludibili perché sono espressione di una naturalità che è nei rapporti che si determinano fra le grandezze economiche”.
Per controbilanciare il liberalismo manzoniano, Barucci propone l’errore opposto al liberalismo. Il riferimento è ad una corrispondenza di Manzoni con Rosmini, nella quale quest’ultimo avrebbe invece sostenuto che “il guadagno stesso è ciò in cui credo che consista il male intrinseco ed essenziale alla scienza, male che non può venire ovviato dalla Morale. La scienza insegnando ad acquistare ricchezza, ne aumenta di sua natura, generalmente, negli uomini l’avidità”. Il condizionale è d’obbligo perché Barucci, pressappochisticamente, omette di citare la fonte. Ammesso e non concesso che si tratti di un testo autentico, ci si troverebbe di fronte a una frase di una gravità enorme, rivelatrice di una sorta di manicheismo in tema di Dottrina Sociale. Secondo la dottrina cattolica, infatti, il desiderio di guadagno non ha in se nulla di disonesto (Cfr. Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n° 335).
In un altro e successivo saggio, “Toniolo e la critica dell’economia individualistica”, il docente fiorentino oscilla tra la confusione e la manipolazione, proponendo (o, meglio, forzando) un’improbabile ossessione anticapitalistica del Venerabile Prof. Toniolo. Al contrario, l’economista contro-rivoluzionario ebbe sempre ben presente che il maggior pericolo per l’Italia del suo tempo era costituito dal socialismo (Cfr. http://www.totustuus.net/modules.php?name=Downloads&d_op=viewdownload&cid=25 ): sul capitalismo le idee di Toniolo coincidono alla lettera con quelle di Leone XIII e della Dottrina Sociale.
4) Immancabili le consuete, bolse e manipolanti apologie di Sturzo, Fanfani (addirittura due saggi!), De Gasperi e del “Codice di Camaldoli”, svolte rispettivamente da G. Lepore, G. Michelagnoli, P. Roggi, P. Barucci e Savino Pezzotta. C’è da chiedersi come mai quest’ultimo – un operaio con diploma di scuola media inferiore – trovi posto in un testo di studiosi universitari: la domanda è, ovviamente, retorica… intelligenti pauca.
Su questi autori, ci limitiamo qui a riportare un brano quasi freudiano su Fanfani: “… il giovane studioso aretino… non aveva ancora le idee chiare..”. Proprio così, e… tale il padre, così i figli!
5) Manipolante è anche il saggio “Liberalismo e cattolicesimo nel pensiero economico di Francesco Vito” di Antonio Magliulo. In esso, assieme a qualche verità, si vuole far credere che il grande economista cattolico condividesse “la teoria neoclassica dell’equilibrio e dello sviluppo economico”, nascondendo – ancora una volta! – il retaggio tonioliano, quindi tomistico, del primo Rettore dell’Università Cattolica dopo la morte di Padre Gemelli.
L’altro contributo dello stesso autore, “Il riformismo di Ezio Vanoni”, consiste in un’apologia del giurista improvvisatosi ministro delle finanze dei governi De Gasperi. Questo secondo saggio del Magliulo rientra pienamente nella categoria “subalternità”: infatti, l’opera di Vanoni altro non fu che il tentare di adattare lo statalismo fiscale fascista alla mutata situazione del Secondo Dopoguerra.
6) Di formidabile superficialità è il saggio di Ottonelli su “La dottrina sociale della Chiesa dal radiomessaggio del 1941 alla Centesimus annus”. Questo saggio è in pratica un riassuntino del pamphlet di Barucci-Magliulo “L’insegnamento economico e sociale della Chiesa (1891-1991)” (Mondadori, 1996). Secondo questo contributo, la Chiesa avrebbe cominciato ad occuparsi di Dottrina Sociale in modo organico solo dalla Rerum novarum. Da questa Enciclica fino a Giovanni XXIII, l’unico testo di Magistero Pontificio in tema di Dottrina sociale citato è un Radiomessaggio di Pio XII del 1941: non si sa se ridere o piangere!
7) Dopo aver dedicato anche troppo tempo a pressapochismi, tradimenti e manipolazioni, vengo al testo di Fiorenza Manzalini.
La manipolazione è presente anche in questo caso perché esso è intitolato: “ La Rerum novarum e la nascita della dottrina sociale della Chiesa”. Ma si tratta di una lampante forzatura della visione dell’autrice, la quale scrive molto giustamente che
Citazione: |
“Come l’economia politica non nasce con la Ricchezza delle Nazioni di A. Smith, così l’insegnamento sociale della Chiesa non inizia, come spesso sostenuto, con la RN, ma è connaturale alla intera vita della Chiesa stessa (Cfr. Laborem exersens, n. 3). Anche Schumpeter individua nella Vix Pervenit, pubblicata nel 1745 da Papa Benedetto XIV, la prima enciclica sociale. Il Magistero della Chiesa riguardo alla società umana non è mai stato assente, ma è altrettanto vero che solo dopo la RN divennero numerosi gli interventi pontifici su argomenti socio-economici”. |
Manzalini, inoltre, sembra aver ben presente che sta scrivendo in un contesto di cattolici subalterni, perché inizia la sua esposizione con questa raccomandazione eloquentissima:
Citazione: |
"[…] non è raro che anche il cattolico “impegnato”, quando fa riferimento a testi da molti considerati antiquati e confessionali, provi un certo timore anche solo a menzionarli. Di fronte a questo stato delle cose, Giovanni Paolo II, parlando agli storici dell’École Française, ha indicato il metodo per uscire da questa condizione di subalternità psicologica: ritornare al testo, in questo caso all’enciclica, se non con fede quantomeno con metodo scientifico". |
E’ pure consolante rileggere la vera analisi di Leone XIII sulle cause delle difficoltà degli operai dell’Ottocento, cioè l’abolizione dei corpi intermedi tra persona e Stato:
Citazione: |
“L’enciclica è un esame della questione operaia nell’Ottocento, ma non ne costituisce il primo esempio (il Pontefice richiamando il suo stesso magistero afferma che «Trattammo già questa materia, come ce ne venne l’occasione più di una volta», RN 1). La novità è, piuttosto, data dal fatto che si tratta di una analisi “organica” e “completa” poiché Leone XIII desidera trattarlo «ora di proposito e in pieno» (rn, 1), individuando in primo luogo, le sue origini. Il Papa individua “cause prossime” e “cause remote” della situazione di miseria in cui versano gli operai. Tra le “cause prossime” ve ne sono alcune di ordine filosofico ma altre anche di ordine economico, come le trasformazioni causate dalla rivoluzione industriale, le mutate relazioni tra padroni e operai, le condizioni produttive irrispettose della dignità umana e l’accumulo di ricchezza in poche mani. Fra le cause prossime di ordine morale, spiccano l’egoismo e l’immoralità dei costumi. La “causa remota” invece è di ordine politico e viene individuata nella abolizione dei corpi intermedi propri della società medioevale: «le corporazioni di arti e mestieri» (RN, 2). Così, «avvenne che a poco a poco gli operai rimanessero soli e indifesi in balia della cupidigia dei padroni e di una sfrenata concorrenza» (RN, 2)”. |
L’autrice, oltre ad essere l’unico autore perfettamente aderente al Magistero pontificio, è probabilmente l’unica economista. Lo si ricava dalla profondità speculativa dell’analisi economica e dall’uso di termini il cui significato pieno può essere colto solo dagli specialisti presenti nella di lei conclusione, con cui chiudo questa recensione:
Citazione: |
“Si può comunque dire: a. il Pontefice pur accettando alcuni istituti del capitalismo, si mostra contrario sia al socialismo collettivista che allo spirito del capitalismo; b. la RN ripropone, in continuità con l’insegnamento aristotelico-tomista, la validità di una economia strettamente legata alla politica e all’etica, in cui le ragioni di efficienza sono sempre legate a ragioni di giustizia; c. Leone XIII propone un intervento attivo dello Stato e il superamento del concetto di “Stato minimale”. La “tesi” che si può avanzare è la seguente: la Chiesa – da sempre – suggerisce un’etica economica in cui le ragioni di efficienza non sono mai scisse da ragioni di giustizia distributiva, oggi detta, in ambito economico, “equità”. In questo senso l’economia non può essere scissa dall’etica e non può fare a meno di “giudizi di valore”. A livello di teoria economica, uno dei postulati contrari alla relazione tra efficienza ed equità, prevalente tra gli economisti di scuola neoclassica, è il seguente: poiché l’economia si occupa di impiego efficiente di mezzi in relazione ai fini che assume come dati, essa è del tutto neutrale rispetto all’etica. Secondo questa impostazione non è logicamente possibile associare i due aspetti in una forma qualsiasi che non sia una semplice contrapposizione. Sembrerebbe dunque ragionevole utilizzare la dicotomia mezzi-fini nella trattazione dei problemi economici, perché questa permette di considerare le sole ragioni di efficienza, lasciando esogeni gli aspetti di equità che portano spesso a soluzioni di second-best. Ma tutto questo può essere valido in una concezione astratta di mercato, quella della concorrenza perfetta. L’esperienza storica e l’evoluzione teorica mostrano che sono molte le condizioni “concrete” che portano a situazioni inefficienti e rendono giustificabile l’intervento dello Stato. È allora più ragionevole, sia nella teoria che nella pratica, accettare un certo grado di inefficienza se si desidera raggiungere livelli eticamente accettabili di equità. Nel travagliatissimo e tragico ventesimo secolo, sono state messe alla prova le più diverse forme organizzazione politica, economica e sociale. L’eco della Dottrina Sociale Naturale e Cristiana è stata flebile. Difficile dire se un mondo tanto “progredito e civile” inizierà a prendere in seria considerazione quella visione veramente umana e solidale, quella Dottrina Sociale di una Chiesa che, da duemila anni, è «esperta in umanità»”. |
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Fra’ Luigi Maria Grignon