Gender a scuola: fatti contro parole

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 Gender a scuola: i fatti e le parole (della Fedeli)

 Se qualcuno non ha visto in TV l’interrogazione parlamentare che si è svolta ieri alla Camera, in cui si è chiesto conto alla Fedeli della propaganda gender nelle scuole, può vederne la registrazione su internet (per esempio qui).

Chi va di fretta e si contenta di un riassunto, sappia che l’onorevole Gianluigi Gigli, di Democrazia Solidale, ha chiesto conto e ragione del fatto che – nonostante le rassicurazioni del precedente Ministro Giannini – la propaganda gender nelle scuole continua (e fa riferimento allo spettacolo Fa’afafine, cui sono state invitate moltissime scuole in tutta Italia).

Il Ministro attuale, la signora Valeria Fedeli, continua, a parole, a rassicurare: nella prima replica parla solo di rispetto dei principi costituzionali di pari opportunità, conseguenti alla pari dignità di tutti gli esseri umani, sui quali siamo tutti d’accordo. Possiamo anche essere benevolenti e immaginare che quando parla di  “violenza di genere” sottintenda la violenza sulle donne: nonostante le gigantesche menzogne che ci propinano sul “femminicidio”, diciamo che va bene. A parole, niente propaganda gender.

Gigli replica ribadendo che, visto che la responsabilità educativa, per i minorenni, è in capo alle famiglie, «ci vuole una preventiva autorizzazione delle famiglie per le attività extracurricolari – preventiva! – e a fronte di una segnalazione dei contenuti educativi non neutri, che vengono proposti ad alunni di età adolescenziale e a bambini». E aggiunge che spesso, nei fatti, chi tiene queste “lezioni” fa uscire l’insegnante dall’aula…

Infatti, ciò che avviene nella pratica, è distante anni luce dalle belle parole della Fedeli.

L’onorevole Walter Rizzetto chiede conto di un’interrogazione presentata da Fratelli d’Italia, a proposito di ciò che è avvenuto il 6 marzo 2017 in un liceo di Pescara.

Due psicologhe dell’associazione Arcilesbica nazionale hanno realizzato un progetto che secondo la circolare 197 della scuola serviva alla lotta alla discriminazione, del bullismo e del cyberbullismo, mentre sul sito internet dell’istituto era, invece, presentato come progetto sulle differenze di genere (e quando si parla di genere, invece che di sesso, “gender ci cova”); la circolare 197 si concludeva con la richiesta di «liberatoria fotografica e di adesione», da esprimere su appositi modelli allegati alla stessa circolare, «per rendere le famiglie consapevoli e partecipi dell’iniziativa». Molti genitori non hanno firmato, quelli che avevano firmato la liberatoria non erano «adeguatamente informati», come vorrebbe la nota con le parole del MIUR: «Quasi nessuno era a conoscenza della specificità dei temi trattati, né tantomeno del fatto che i relatori appartenessero alla citata associazione Arcilesbica nazionale». Conclude l’interrogazione: «L’educazione sessuale spetta ai genitori, come sancito sia dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, sia dalla Costituzione, sia da numerosi atti normativi e regolamentari»

La Fedeli, a parole, ribadisce che «la partecipazione a tutte le iniziative extracurricolari, inserite nel piano triennale dell’offerta formativa, e facoltative, prevede la richiesta del consenso da parte dei genitori per gli studenti minorenni o degli stessi, se maggiorenni, i quali, in caso di non accettazione, possono astenersi dalla frequenza», e scarica la responsabilità sulle famiglie che  hanno il dovere di informarsi bene, citando la nota del MIUR del 6 luglio del 2015: «Le famiglie hanno il diritto ma anche il dovere di conoscere, prima dell’iscrizione dei propri figli a scuola, i contenuti del piano dell’offerta formativa per la scuola secondaria e sottoscrivere formalmente il patto educativo di corresponsabilità per condividere in maniera dettagliata diritti e doveri nel rapporto tra istituzione scolastica autonoma, studenti e famiglie».

Ciò vuol dire, cari Lettori, che nei fatti per il Ministro un’adesione generica al POF della scuola, sul quale mai sarà scritto nel dettaglio che Arcilesbica terrà lezione agli studenti, per il MIUR vale come consenso informato: sta ai genitori approfondire…

Quindi, come abbiamo sempre detto, bisogna vigilare, dialogare con i figli e gli insegnanti, partecipare agli organi collegiali e – infine – chiedere espressamente e per iscritto dettagli sui progetti dove potrebbe infilarsi l’ideologia gender, e su chi li tiene. La scuola non può rifiutarsi di fornirne.

Oggi più che mai, nonostante la vita frenetica e mille impegni che il lavoro comporta, non si può “delegare” alle istituzioni il ruolo educativo che appartiene innanzitutto, e sopra a tutto, ai genitori.

da: NotizieProvita, 15 aprile 2017

Omofobi! Chiude il giornalino del liceo

Da Bergamo arriva in queste ore un caso emblematico sull’avanzata della dittatura arcobaleno nel nostro Paese.  A seguito delle pressioni subite da alcuni gruppi, infatti, la dirigenza del Liceo delle Scienze umane “Secco Suardo”, che ha sede nel capoluogo orobico, ha costretto “Print Freud,” il giornalino della scuola, alla chiusura.

Di quale odioso crimine si è macchiato il giornale studentesco per arrivare a una così grave decisione? Aver pubblicato articoli di alcuni studenti che esprimevano posizioni critiche nei confronti dell’aborto, della contraccezione e dell’ideologia gender.  Ma andiamo con ordine e ripercorriamo la vicenda. “Print Freud” nel numero di febbraio aveva pubblicato una lettera di una studentessa che, definendosi lesbica, conteneva le sue riflessioni circa la scoperta del suo orientamento sessuale e concludeva: “Lesbian will conquer the world”.

Nel numero successivo – uscito il primo di aprile – una ragazza della stessa scuola aveva pensato di rispondere portando un’opinione critica nei confronti della lettera della sua compagna di scuola, affermando che “nasciamo XX o XY, non c’è un gene difettoso che possa cambiarlo e non si può non riconoscere di essere femmina o maschio […]. Nessuno nasce gay, nessuno nasce lesbica”. E ancora: “Guardatevi allo specchio! Siete uomini e donne, non gay o lesbiche! Perché sacrificare questa verità, questo naturale equilibrio fisico, questa vita, per un’ideologia fasulla?”

Nello stesso numero troviamo anche un articolo in cui uno studente, senza utilizzare argomentazioni etiche o morali, porta esempi di come la contraccezione sia un atto contro natura.

Apriti cielo. Il giornale finisce tra le mani del gruppo studentesco “Unione degli studenti – Bergamo” che sulla sua pagina facebook attacca: “Riteniamo inaccettabile che in un liceo statale, nel 2017, sia dato spazio ad idee pericolose e contorte, che colpevolizzano scelte difficili e trasmettono concezioni medioevali,” si legge in un comunicato. “Troviamo vergognoso che articoli di questo tenore possano trovare spazio nella stampa ed essere addirittura pubblicati nel giornalino scolastico”.

Ma come… non eravamo tutti Charlie qualche anno fa? È emblematico che questa presa di posizione arrivi proprio dall’Unione degli Studenti che all’epoca, per bocca del suo coordinatore nazionale, aveva detto: “Riteniamo che la scuola debba essere un luogo laico di confronto, l’educazione dovrebbe essere multiculturale ed interculturale”. Evidentemente questo è un concetto a orologeria, che non vale più quando qualcuno decide di alzarsi per dissentire contro il pensiero LGBT e la “cultura dello scarto” denunciata da Papa Francesco.

Nel mirino dell’associazione infatti c’è anche il numero di febbraio, in cui si era dato spazio a un libero confronto sull’aborto: una ragazza condannava l’obiezione di coscienza, mentre un ragazzo sosteneva che è l’aborto “è un male in sé stesso. […] Tutti siamo stati quel grumo di cellule che qualcuno pensa di poter buttare via.”

Il preside dell’Istituto Luciano Mastrorocco prima ha affermato che il giornalino scolastico “privilegia l’assoluta libertà degli studenti partendo dal presupposto che non esistono primazie di pensiero,” poi davanti alle pressioni crescenti da parte di diversi gruppi LGBT della città, ha imposto la chiusura. Nel frattempo la psicopolizia orwelliana entra in azione: il comitato locale Arcigay ha chiesto un colloquio con il preside per “per capire quale sia realmente il suo posizionamento sulle tematiche affrontate dagli articoli e un confronto sulle possibili implementazioni di politiche di controllo”.

Martino, direttore della testata studentesca, racconta che “il giornalino ha sempre cercato di garantire la libertà di espressione e operare affinché il giornalino fosse uno strumento di crescita culturale,” spiega. “Nella redazione ci sono ragazzi e ragazze di diverso credo religioso, opinione politica e orientamento sessuale”.

A rendere ancora più seria la situazione è avvenuto un fatto estremamente grave che rende l’idea del clima di vero e proprio terrore che si viene a creare quando scendono in campo le associazioni LGBT: sulla pagina facebook del Liceo è comparsa una lettera firmata dalla redazione: “Noi redattori abbiamo sottovalutato il contenuto di questi articoli senza dedicarci il tempo e l’attenzione che richiedevano con un atteggiamento superficiale e, senza dubbio, condannabile,” si legge. La lettera continua chiedendo “scusa a tutti i ragazzi del nostro istituto, e non, che si sono sentiti offesi dagli articoli da noi pubblicati”. “Ci spiace davvero vedere che, per un errore del giornalino, tutto l’istituto è stato messo sotto accusa […]Detto questo “Print Freud” quest’anno chiude i battenti”.

Martino, afferma che questa lettera in realtà è stata pubblicata da un solo membro della redazione, senza il consenso degli altri e a seguito della pressione della dirigenza della scuola. “Io stesso non ho saputo della chiusura del giornalino dalla presidenza, ma da un’altra fonte”

“La pubblicazione di tale articolo, firmato dalla Redazione del Print Freud non rappresenta appieno la visione della stessa, ma avviene per coercizione,” continua il direttore della testata. “Troviamo scorretta e violenta l’accusa di omofobia, per un dibattito tra due anonimi sulle nostre pagine”, “Nessuno in redazione ritiene corretta la chiusura imposta del giornalino, che per l’edizione successiva stava già raccogliendo entusiasta numerose risposte agli articoli incriminati.”

“Ci dispiace se i toni sono sembrati eccessivi, ma probabilmente parlare di certi argomenti può sembrare eccessivo a chi la pensa diversamente. A questo punto,” conclude Martino, “non ci pare corretto fingere però che siamo noi a decretare la chiusura del giornalino quando invece è un’imposizione autoritaria e neppure cedere davanti a organismi di pressione aggressivi e censori. Non vogliamo essere responsabili per quel regime che si profila all’orizzonte dove le libertà individuali vengono limitate gravemente: chi  afferma che il giornalino non dovrebbe propagandare idee, lo fa esclusivamente per articoli contrari al suo pensiero.”

A fianco del giornalino è scesa in campo anche il comitato locale di “Difendiamo i nostri Figli” che si dice “sconcertato per la soppressione di un luogo di confronto e libera espressione del corpo studentesco e chiede “in tempi brevissimi un incontro chiarificatore con la dirigenza e auspica che venga revocato il gravissimo provvedimento dirigenziale.”

Vedremo come andrà a finire. Nel frattempo ciò che rimane è l’amarezza di fronte a ciò che in Italia si sta profilando sempre più: una dittatura in cui anche solo esprimere un parere critico al modo di pensare di certe associazioni rischia di portare a una vera e propria persecuzione silenziosa.

(di Andrea Lavelli per lanuovabq.it del 14 aprile 2017)