Una fiction e le sue forzature
Papa Luciani in tv grande sì ma troppo solo
Domenico Delle Foglie
Avvenire 26-10-2006
Onore alla fiction religiosa, ma alcune puntualizzazioni si impongono.
Va da sé che non abbiamo alcuna remora – anzi – nel riconoscere alla Rai il grande risultato produttivo raggiunto con la fiction dedicata a Giovanni Paolo I. Quell’Albino Luciani che, come una cometa, ha attraversato l’orizzonte della Chiesa universale lasciando impresso, nello sfarfallio dei riflessi, il ricordo indelebile del suo sorriso, un sorriso che tanti hanno accomunato alla benevolenza della Chiesa quale comunità accogliente, generosa e disinteressata.
La fiction dedicata a personaggi religiosi peraltro è da tempo un fenomeno che nel nostro Paese si è fatto interessante perché dà grandi soddisfazioni sul versante dell’audience. Evidentemente “cade” su un terreno fertile, quello di un popolo che sa mettersi in ascolto ed è spontaneamente sensibile alla rivisitazione di figure positive che hanno lasciato una forte testimonianza di bene nel segno cristiano. E lo strumento dell’audience, per quanto vituperato e meritevole di sollecite riforme, sembra per una volta incrociare in pieno il comune sentire di un popolo.
Neppure abbiamo difficoltà a riconoscere lo sforzo interpretativo messo in campo da Neri Marcoré, la sua capacità di restituire, dietro un sorriso mai ostentato o forzato, il candore dell’anima di un Papa che in tanti sentono già santo.
Detto questo, e concesso tutto ciò che merita riconoscere sul piano artistico – per lunghi segmenti infatti la storia è godibilissima -, nessuno tuttavia può illudersi di accreditare nell’occasione il vecchio cliché del Papa davvero buono per contrasto ad una Curia infida e cattiva. Questa è una caricatura che neppure meriterebbe di essere smentita se non fosse stata rappresentata in uno sceneggiato di così grande appeal. E dunque con la forza di lasciar depositare nella fantasia della gente l’immagine di una Chiesa complottarda. Più che una minuziosa e documentata ricostruzione, è la messa in scena di una storia fin troppo circolata in pamphlet di bassa lega e dubbio gusto.
È un’offesa all’intelligenza di chi conosce le dinamiche ecclesiali, e sa come una dimensione dialettica possa tranquillamente esprimersi anche dentro le ovattate stanze del Vaticano, e finanche nelle ore decisive di un pontificato nascente. Ma sa altrettanto bene come la composizione delle vedute sia persino inevitabile e che la comunione dei cuori è il passo immediatamente successivo all’elezione di un nuovo Papa.
E come avrebbe potuto essere diversamente, in quei primi giorni di un pontificato che da subito si rivelò all’altezza delle attese del popolo cristiano? Giorni in cui l’amore generoso, totale, incondizionato che traspariva dal nuovo Papa sovrastava ogni altra impressione. E come poteva un simile candore non essere compreso e servito dai primi collaboratori del Papa? Chi ha scritto il testo di questa fiction, perché non si è dato la briga, oltre che di compiere una serie di opportune verifiche presso i parenti di Luciani, di indagare a fondo le figure spirituali dei co-protagonisti? Citiamo per tutti il cardinale francese Jean-Marie Villot, o il genovese Giuseppe Siri. Davvero si pensa di liquidare questi e altri personaggi alla stregua di microcefali incapaci di sguardo lungo e profondo? O si ritiene di avvicinarsi necessariamente al vero raffigurando la Curia romana di oggi come sentina di ogni intrigo? Troppo facile, non si esplica genio artistico qui, né senso di rispetto e di responsabilità.
Giovanni Paolo I fu un grande Papa, e un Papa necessario alla Chiesa: questa sua grandezza non autorizza alcuna leggerezza storica, né alcuna disinvoltura nella ricostruzione di quel momento. La Chiesa è una bellezza sinfonica, riconoscerlo è il primo requisito per raccontarla.
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Benedetto XVI (Agf) |