Ero gay

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Luca di Tolve, Ero gay, a Medjugorje ho ritrovato me stesso, Ed. Piemme 2011, EAN 9788856615616, pagg. 208, Euro 15,00

 

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Tra i tanti disagi psichici che caratterizzano larga parte della gioventù contemporanea, un peso non irrilevante è dovuto a disturbi di derivazione familiare, affettiva e sessuale. Mancanza di solide famiglie alle spalle, assenza del padre, ricomposizioni familiari traumatizzanti, violenze e umiliazioni subite e tante altre situazioni estreme, possono facilmente sfociare in degenerazioni del comportamento, fino alle più gravi devianze e a tormentosi e insuperabili sensi di colpa.

In questo quadro angosciante e terribile, Luca Di Tolve ci racconta, in un libro appena uscito, e in modo fin troppo dettagliato, la sua discesa verso l’abisso morale ed umano, in cui l’omosessualità da tendenza adolescenziale si trasformò poco a poco in un vanto, e persino un mezzo di lucro e di potere, per giungere poi alla resurrezione, grazie all’incontro con ottimi psicologi e soprattutto all’approdo nella fede cattolica (cfr. L. Di Tolve, Ero gay, ed. Piemme, Milano 2011, euro 15).

La sincerità del racconto, che inizia dalla prima adolescenza, si presta assai bene a mettere in luce la dinamica della “vita gay” e presenta una descrizione della comunità omosessuale davvero sulfurea: tutto, ma proprio tutto, dietro l’apparenza dei nobili ideali della tolleranza e dell’inclusione sociale, ruota attorno al sesso, al piacere ricercato nei peggiori modi, e al denaro a sua volta strumento di potere, di prestigio e di facili rapporti edonistici.

Dopo la separazione dei genitori e l’allontanamento del padre, il giovane Luca inizia a maturare una femminilità di modi e di giochi, preferendo relazionarsi con le compagne di classe che con i maschi. Giustamente si nota che «la separazione tra due genitori è quanto di peggio possa capitare a un figlio (…); una ferita profonda lo segnerà per tutta la vita» (p. 23).

La madre, sola e inesperta, commise vari errori, per esempio facendo circondare il figlio da sole donne o perfino educandolo, anche nel vestiario, «come (…) una bambina» (p. 25). Alle scuole medie subì il fascino del suo compagno di banco e questa passione giovanile lo tormentò per lunghi anni. Fino al punto che la madre decise di portarlo dallo psicologo, anzi da una psicologa, la quale rassicurò i due, asserendo dall’alto della cattedra, che l’omosessualità latente nel piccolo era «una variante naturale del comportamento» (p. 35). In realtà, secondo Di Tolve, tutto derivò dalla «mancanza di una guida (…) come modello di riferimento maschile positivo» (p. 34).

Dopo le scuole medie iniziò a prendere maggiormente coscienza del mondo, della cultura e della realtà. Scrive: «Edotto dagli psicologi e confermato dalla tv sulla normalità dei rapporti omosessuali, mi misi direttamente in cerca di altri gay» (p. 36). E da lì iniziò una discesa nell’abisso che durò lunghi anni, in attesa del sole. Conobbe un gay più grande d’età, fu introdotto negli ambienti omosessuali e perse ogni scrupolo.

«Il sesso era stata la chiave di accesso al mondo omosessuale ed era il linguaggio che ora mi permetteva di farne parte stabilmente» (p. 40). La vita divenne per lui una continua ricerca di esperienze, soprattutto notturne, all’insegna della trasgressione, nei locali gay milanesi. Così conobbe «ricchi imprenditori e importanti manager» (p. 42) e «oltre al consumo di sostanze stupefacenti e all’abuso di alcol, si praticava, ovunque e a qualunque ora, sesso facile e occasionale» (pp. 42-43).

Di tappa in tappa la sua vita divenne quella di un militante omosessuale, di un “prostituto” e di un imprenditore lanciato nella cultura gay. Ricorda per esempio il ruolo assolutamente vergognoso avuto da certi ambienti, tipo l’Arcigay, a cui si iscrisse «per liberare l’omosessualità dai vecchi tabù della morale cristiana» (p. 68).

In un parco di Milano «ci si scambiava il telefono per rivedersi, la notte, nelle discoteche dell’Arcigay, dei luoghi ben congegnati allo scopo: attrezzati con tendoni scuri e luci da penombra, si strutturavano nella forma di un labirinto, che ospitava all’interno moltissimi anfratti e siparietti» (p. 66). Nelle stesse riviste gay lesse in quegli anni oscuri che «su 156 coppie [omosessuali] prese a campione, solamente sette avevano retto un rapporto esclusivo per la durata massima di cinque anni» (p. 72).

La labilità dei rapporti umani gli fece notare tutta la fragilità di un “sentimento” che in realtà gli si rivelò poi come “una trappola” (p. 25). Nel tempo conobbe dall’interno quella insidiosissima «lobby magmatica e tutt’altro che silenziosa: essa si avvale dell’appoggio di una certa intellighenzia culturale, che affonda solide radici negli ambienti dello spettacolo e dei media, e mette insieme, in un unico cartello, tutte le tipologie umane che non brillano in esempio di fedeltà» (p. 79).

Rivolgendosi a genitori ed educatori, nota ancora: «L’influenza negativa dei media non viene compresa subito; ma una trasmissione televisiva può veramente eccitare i sentimenti, traviarli, agire sulla volontà e sull’intelletto» (p. 81). Omettiamo volutamente l’accurata descrizione dei vari stili gay che conobbe: feticismo, dominazione, sadismo, leather, etc. etc.

A poco a poco la nausea per la perversione lo fece tornare in sé. Così attraverso sane amicizie disinteressate, la lettura della Bibbia e l’ascolto di “Radio Maria”, in pochi mesi avvenne una difficile conversione con parallelo abbandono del peccato e del male. «L’Arcigay e le altre associazioni di categoria mi guardano come un rinnegato (…). Ho ricevuto minacce di morte» (p. 120).

Dopo aver notato le strabilianti somiglianze tra mondo gay e occultismo satanico (cfr. pp. 126-149), Luca Di Tolve ha superato importanti tappe di conversione, di pentimento e di nuovo inizio. Avendo ritrovato la fede e la norma morale, nel 2008 si è sposato e da allora, assieme alla moglie, dirige il Gruppo Lot (in omaggio di colui che fuggì da Sodoma…) e cerca di aiutare tutti coloro che a causa delle devianze psichiche soffrono di problemi umani, psicologici e spirituali.

 

da: ag. Corrispondenza Romana n.1198/05 2 luglio 2011

Fogli n 369, Maggio 2011


l'intervista di Riccardo Caniato


«Luca era gay…» non è soltanto una canzone. Incontro Luca Di Tolve, aria da ragazzo tranquillo, in barba ai suoi quarant’anni compiuti e alla professione di vigilantes nei musei. All’appuntamento non si presenta da solo; già, «adesso sta con lei!»: Teresa, Terry per gli amici – poche parole, sguardo profondo e un sorriso smagliante – è sua moglie dal 2008; e con lui condivide non solo la casa ma anche la missione, attraverso il Gruppo Lot, l’associazione che Di Tolve ha fondato per aiutare altre persone che soffrono per le problematiche legate all’identità di genere. «Esattamente come me, in un recente passato»: Luca, infatti, omosessuale per oltre vent’anni, dalle medie fino agli albori del nuovo millennio, in questo lungo lasso di tempo, non ha trovato realizzazione. «Ero omosessuale e profondamente infelice; ora, grazie a Dio e a Terry, non più».

Un autentico outing all’inverso il suo, tradotto anche in volume – Ero gay. A Medjugorje ho ritrovato me stesso (Piemme, e 15) –: un diario che ha l’impatto del romanzo, perché la parabola esistenziale del protagonista è una vicenda da «duri di stomaco», come ha sottolineato Cesare Cavalleri su Avvenire, per la drammaticità del vissuto domestico da bambino, e la successiva disperata, se non tragica ricerca d’amore, in un turbinio di passioni e di luoghi torbidi che si sono rivelati sbagliati, alla luce, prima della malattia – Luca è sieropositivo e i medici gli avevano dato poche speranze – della psicologia poi, e, infine, della conversione…

 

Luca, perché, nell’era della privacy, hai scritto un libro che rende pubblici i tuoi segreti e pensieri più reconditi?
Perché la comunità omosessuale è oggi sbandierata sui media come un’oasi felice, una società allegra, di superiore civiltà e comprensione umana.

E invece?
Invece anche qui, dietro al sipario delle feste, dell’allegria nottambula e svagata, ci sono persone con il proprio dramma di vivere e che, nella maggioranza dei casi, non sanno a chi rivolgersi, nel momento della crisi, quando si prende coscienza del proprio fallimento esistenziale. Ho reso pubblica la mia storia sperando di dare un aiuto a quanti, e sono tanti, nella penombra della comunità gay nascondono ferite e dipendenze a livello emotivo, relazionale e di identità sessuale, a seguito di abusi e di violenze…

Gli stessi abusi di cui, dal libro, ho appreso che tu porti ancora i segni…
Io ho patito più per le pressioni psicologiche che a livello fisico.

Alludi alla separazione dei tuoi e alla totale assenza di tuo padre che ne è seguita?
Quest’ultimo è uno fra i più diffusi elementi scatenanti l’omosessualità.

Che cosa è successo ai tuoi?
Si sono sposati giovanissimi, senza conoscersi a fondo. «Erano venuti al Nord», parafrasando un film recente, in cerca di autonomia e di fortuna, trovando momentaneamente comprensione e appoggio reciproci. Ma non poteva durare.

Mi spieghi perché riconduci la tua omosessualità a questa situazione?
Mamma è rimasta incinta a diciotto anni, era impreparata e avrebbe voluto almeno una bambina, qualcuno di più simile e comprensibile a lei; invece, eccomi qui. Dopo che papà la lasciò io mi trovai completamente avvinto in un mondo al femminile: nell’appartamento accanto al nostro viveva una vedova con le sue tre figlie, che mi passavano i vestiti e mi facevano giocare con le bambole e guardare le soap in tv. E anche a scuola non andò meglio.

In che senso?
Fino alle medie ebbi insegnanti donne, pronte ad assecondare le ansie di mamma, considerandomi a loro volta un bambino molto sfortunato, cagionevole e da proteggere. Così mi vietavano di giocare a calcio o prendevano arbitrariamente le mie parti, impedendomi un confronto di crescita e di amicizia con gli altri maschi. Il risultato fu che solidarizzai con le bambine, escludendomi o facendomi escludere dalla cerchia dei miei pari, che non tardarono a sfottermi e a darmi della «Femminuccia».

Mi stai dicendo che sulla scelta omosessuale ha inciso il contesto ambientale?
Negli anni mi hanno visitato parecchi medici e sottoposto a ogni sorta di esami e di analisi scientifiche, ma il gene dell’omosessualità, a oggi, non me lo hanno riscontrato.

Quando ti sei sentito gay?
Ero affascinato dai compagni dai compagni più brillanti e sportivi, avrei voluto emularli ed essere come loro; e, fin qui, in un’ottica comune a tanti altri miei coetanei di allora nei confronti di chi si sente più «figo» e spigliato; ma non avendo con me un padre, un insegnate uomo o un’altra figura adulta maschile che mi aiutasse a comprendere quanto fossero giuste queste aspirazioni e ad approfondire la mia autentica identità, ho finito per desiderare di conquistare in altro modo quella mascolinità che sentivo mia e al tempo stesso mi era preclusa: fu così che mi innamorai del mio compagno di banco e lo sedussi.

E facesti centro?
Assolutamente no; e lui, che vedeva in me un amico particolarmente attento e servizievole, molto presto rimase attratto dalle ragazzine… Ma gli psicologi, contattati da mia madre perché mi confermassero nell’autostima e nel mio carattere maschile, diagnosticarono, invece, senza appello, a tredici anni, che ero gay; e nella pienezza di facoltà che può avere un adolescente decisi che, stando così le cose, avrei dovuto andare a fondo, per dare senso pieno alla mia vita.

Che accadde poi?
In opposizione a mia madre e al suo nuovo compagno, sciogliendomi totalmente dai legami affettivi e dai doveri familiari, sono entrato nel giro gay, buttandomi a capofitto nella movida colorata, spesso sfrenata, dei locali notturni, dove la vita si accende la notte e fino all’alba.

Si direbbe che ti sia fatto notare.
Sì, credo di essere piuttosto simpatico, gentile e affidabile.

E pure «togo», se si considerano i premi che hai vinto.
Alludi al primo concorso di Mister Gay? È un ricordo lontano, ma mi favorì nel lavoro – sono stato il primo a sfruttare in Italia le potenzialità del turismo specializzato per omosessuali – e mi aprì le porte del mondo dello spettacolo, della tv e della moda.

Ambienti da cui in seguito hai preso le distanze…
Sono realtà che blandiscono gli omosessuali, per sfruttarne le trasgressioni, gli eccessi, la creatività e la disponibilità di tempo che chi ha famiglia non può dare. Realtà pronte a voltarti le spalle se non gli servi più.

Sembri avvelenato.
Solo obiettivo. Ho visto attorno a me tanti gay e trans amati e osannati ritrovarsi improvvisamente soli e morire nell’abbandono più totale quando l’Aids ha colpito.

Parlaci della malattia e dello sconvolgimento che ha generato.
Sono sieropositivo all’HIV, ma grazie ai nuovi farmaci sono sopravvissuto. L’Aids è stato un momento di svolta. Faccia a faccia con la morte ho fatto dei bilanci e mi sono accorto che affogare la vita nel sesso, nelle feste, nei rapporti occasionali non era la via per la mia realizzazione. Per anni ho cercato il mio Principe Azzurro, ma passando di letto in letto, ho preso atto che né io né gli altri attorno a me eravamo in grado di costruire relazioni autentiche e stabili.

Nel volume accenni alla sessualità come a una sorta di condanna…
L’omosessuale come ogni altra persona desidera l’amore vero, quello che si esprime nella fedeltà che dura nel tempo; non trovandolo, è portato a cercare altrove, ma continuando a non trovarlo, e soffrendo tremendamente per questo, affoga nelle feste e nel sesso la sua desolazione interiore, cercando di sovvenire almeno agli impulsi del corpo.

Se è per questo, oggi, neppure gli eterosessuali offrono esempi emblematici di fedeltà.
Purtroppo la nostra società è gravemente in crisi, perché ha messo in discussione la famiglia che costituisce il suo nucleo originario; ma nel mondo omosessuale, per quanto ne ho avuto esperienza, l’infedeltà riguarda la stragrande maggioranza delle persone: due gay o due lesbiche possono vivere insieme per valutazioni economiche o per altre ragioni di convenienza, ma questo «stare insieme» non preclude dall’avere rapporti occasionali e continui con altri partner.

Questo tuo ricondurre l’omosessualità alla sfera sessuale non è un po’ troppo severa e riduttiva? Ci riferiamo a un mondo comunemente dipinto per la sensibilità artistica, la raffinatezza culturale…
Se ti colleghi al sito della più importante associazione di omosessuali troverai i link di una miriade di centri culturali; ma proseguendo nell’indagine, cliccando su alcuni di questi indirizzi Internet, scoprirai che in questi luoghi, molti dei quali vietati ai minori, è il sesso l’attività portante. Ma con questo non voglio limitare la sensibilità o le potenzialità di chi partecipa di questo mondo; sottolineo solamente il dato in sé, come sintomo di un percorso esistenziale che non ha ancora trovato un equilibrio psicofisico.

Che cosa hai fatto tu, quando ti sei accorto che quella vita non ti rendeva felice?
Ho cercato altrove, tenacemente, ne andava di me stesso…; e ho trovato aiuto nella psicologia, in particolare nelle tesi dello psicologo americano Joseph Nicolosi, e poi, finalmente in Dio…

Ma Nicolosi è spesso criticato
C’è perfino chi mette in dubbio la valenza scientifica della sua terapia e di altri studi serissimi – come quelli di van den Aardweg, giusto per fare solo un altro nome di peso –, perché oggi si cerca di parificare le unioni omosessuali alle famiglie e non è conveniente mostrare storie come la mia. Eppure io sono una prova vivente sul valore di questi studi e con me ci sono persone di tutto il mondo, di cui molte anche felicemente sposate da anni e con prole, che devono a Nicolosi la propria realizzazione.

Dunque Nicolosi è il tuo salvatore?
Nicolosi ha dimostrato, a partire da me stesso, che uscire dall’omosessualità si può, aiutandomi a scavare in profondità nel mio io e a rivoltare il mio vissuto, fino a trovare il bandolo della matassa; ma la salvezza viene da Dio. E la fede la devo alla Madonna, che, per grazia, a Medjugorje mi ha preso per mano, facendomi vivere un’esperienza che non esito a definire straordinaria…

Se è per questo, quando parli della conversione, accenni anche ad altri fatti a dir poco incredibili…
Se ti riferisci all’«incontro» con padre Pio durante la confessione, il primo a essere rimasto sorpreso sono io: non mi accostavo ai sacramenti dalla Cresima, per anni ho vissuto come se Dio non esistesse, ma appena sono ricorso a lui non si è fatto attendere e in alcune circostanze mi ha dato prova tangibile che c’è e ci ama.

«Tangibile», nel tuo caso, è il termine giusto; ma a me non sono mai capitate esperienze di natura soprannaturale come quelle di cui tu riferisci nel volume…
Mi si creda o no, io sento il dovere di testimoniare ciò che è stato, in rispetto della verità e per riconoscenza.

Morale: la tua vita è cambiata.
Mi sono riappropriato della mia identità di genere fino a nutrire attrazione fisica solo per le donne; e quando ho visto Teresa è stato colpo di fulmine. Ci siamo sposati il 22 agosto, nel giorno di Maria Regina (ma non lo sapevamo), dopo due anni di fidanzamento. Siamo nel 2011: non sono mai stato fedele per tanto tempo a una stessa persona.

Come l’hanno presa i compagni di un tempo?
Gli amici che hanno a cuore la mia felicità bene; gli altri mi hanno bollato come traditore, una sorta di apostata…

…naturalmente omofobo.
Non so che cosa sia la vera omofobia: io vivo ogni giorno sulla mia pelle la discriminazione per aver riconosciuto, da omosessuale, la mia ego distonia e avere tentato un’altra strada. C’è chi mi attacca per odio ideologico e mi calunnia; ma tu non sai quanta gente, perfino psicologi e gente di Chiesa, incontrandomi, mostra imbarazzo nei miei confronti, perché appartengo a una categoria non contemplata dal politically correct. È bene ribadirlo: sono tantissime le persone che vivono con disagio l’omosessualità e non sanno con chi confidarsi e a chi chiedere aiuto; ed è per loro, oltre che per riconoscenza a Dio che mi ha rialzato e mi ha fatto incontrare Terry, che sento il dovere di dare testimonianza.

Tu ora riconduci coerentemente la tua visione delle cose a un ordine divino, ma gli altri che non credono?
Oggi, da credente, riconosco che la vita e tutto quanto la serve è iscritta nella creazione; e che non riconoscere la creazione, e il fine a cui tende, dà dispiacere a Dio, che l’ha realizzata come espressione di un amore incontenibile, ponendo l’uomo al centro di tutte le sue attenzioni. Ma per riconoscere l’ordine che c’è nella natura e nelle cose si può anche non scomodare la religione; è sufficiente la biologia per comprendere il completamento che si realizza fra generi diversi: solo un uomo e una donna sono capaci di una relazione portatrice di amore reciproco e di novità al punto di poter generare una nuova vita. E basta un po’ di amore per la libertà, come suggerisce anche l’Organizzazione mondiale della sanità, perché una persona che vive l’omosessualità non più in sintonia con sé stessa, possa cambiare nel pieno rispetto da parte di tutti.