(CorSera) Un altro eroe italiano come Perlasca

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Corriere della Sera 9-2-2004


«Noi ebrei, salvati da un italiano eroe»

Nel ’40 il capitano Stagnaro disobbedì agli ordini e portò in Egitto centinaia di persone. «E’ un giusto, va onorato»








DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
LONDRA – Quanti furono gli italiani che non si piegarono al razzismo di Stato, quando l’Italia mandava a sicura morte, in Germania, i suoi cittadini ebrei? Centinaia, migliaia, milioni di uomini e donne che, a differenza dei deboli e dei codardi, ebbero l’onestà e la forza di disobbedire agli ordini. Uno di questi fu il comandante Emanuele Stagnaro, uomo di mare, un italiano di cui andare fieri, la cui umanità esce finalmente alla luce dopo una cospirazione del silenzio durata oltre mezzo secolo. Perché così, «cospirazione del silenzio», la chiama James Hazan, 71 anni, uno dei salvati dal capitano Stagnaro, che oggi si batte per onorarne il nome. E racconta una trama che, da Londra a Napoli, dall’Italia all’Egitto, sembra da film. Invece è una storia di semplice bontà. Eccola.
Hazan fa di nome James, perché suo padre Isaac, un ebreo egiziano che fu plenipotenziario di re Fuad a Roma e poi interprete di Mussolini, aveva passaporto britannico (ovvio per un collaboratore, a quel tempo, dei servizi segreti di Londra). Ma, essendo nato a Roma, James era Giacomo, anzi Giacomino, un bambino minacciato dalle leggi razziali del ’38. Dice: «Gli ebrei venivano da tutte le parti, dalla Francia, dalla Germania, per vedere una luce alla fine del tunnel. E quella luce era l’Africa, ma per andarci bisognava venire in Italia, imbarcarsi a Genova o a Napoli sull’Esperia, la nave del comandante Stagnaro, che faceva rotta per Alessandria, e ritorno. Anche noi, cioè la mia famiglia, eravamo su quella nave nel giugno del 1940. Il comandante, un genovese che era amico di mio padre perché mangiavano assieme la pizza da Luigi, in via Tribunale a Napoli, ci mise nella cabina del re, ma che era ormai piena: una folla di gente in fuga. Faceva caldo, e per uscire mi toccava camminare sulla gente…».
James sta a Londra da più di trent’anni, ormai, ma ha ancora l’accento romanesco, quando salta da una lingua all’altra per trovare la parola giusta. E salta pure le epoche: «Sa, qualche settimana fa mi chiama un amico di Napoli, e mi dice: vieni a trovarmi, a prendere un caffè, il volo da Londra, con Ryanair, costa solo una sterlina. E vado. Così, penso, faccio pure un salto da mio fratello a Orvieto e da mia sorella a Milano. Ed è a Milano, al Cdec, il Centro di documentazione ebraica contemporanea, che trovo la signora Liliana Picciotto, che ora farà di tutto per onorare il nome di Emanuele Stagnaro».
Appunto: che cosa fece Stagnaro, nel 1940? «Stiamo per arrivare in Egitto, quando il capitano riceve un telegramma da Napoli. Gli dicono che l’Italia ha dichiarato guerra alla Gran Bretagna e che lui deve tornare subito indietro con merci e passeggeri. Insistono: i passeggeri! Pensi, oltre mille persone a bordo, quasi tutti ebrei, di cui 400 inglesi. Mio papà, il capitano e Cesar Douek, un altro ebreo egiziano, cercano una soluzione: che cosa fare? Se Stagnaro attracca ad Alessandria gli inglesi, che ora sono nemici, sequestrano la nave, lo fanno prigioniero e, al ritorno, i fascisti l’impiccano. Allora mio padre contatta l’Intelligence Service, al Cairo, e il capitano Samson, un furbacchione, gli fa sapere: c’è il porto di Mex, al-Maks in arabo, che gli inglesi non controllano. Stagnaro decide: fa rotta su quel porto minore, e ci dice di fare in fretta. Lei ha presente il terrore di chi vede la salvezza e teme d’essere riportato indietro? Avremmo perfino nuotato, per salvarci».
E allora? «Allora, come ho detto, c’è stata una cospirazione del silenzio. Stagnaro non parla, mio padre nemmeno, quando racconto la storia mi dicono che mento, che sono un Giacomino. Finché una sera, tempo fa, vado a uno di questi cocktail party che si tengono a Londra e, mentre accenno il mio racconto vedo il volto d’una donna famosa, Claudia Roden, autrice di libri di cucina vendutissimi, che s’accende: sull’Esperia, dice, c’era anche lei! E’ la figlia di Cesar Douek, è anche lei una salvata da Stagnaro. Finalmente non sono solo, c’è qualcuno che può testimoniare, e non possono dire che Claudia cerca pubblicità. Così mi metto in moto. Sa che cosa ho fatto, a Napoli? Sono andato alla capitaneria, e negli archivi ho trovato la conferma che era proprio lui, il capitano genovese, al comando dell’Esperia. Ma ora non si deve perdere tempo: il figlio di Stagnaro, Cesare, che abita a Sestri Levante, ha ormai 90 anni. L’ho detto alla signora Picciotto: dobbiamo sbrigarci».
Appunto. E’ quello che vi disse il comandante Stagnaro, nel giugno 1940, a Mex: sbrigatevi. «Appunto, e noi ci sbrigammo. Lui poi fece rotta di nuovo verso Napoli, con la nave vuota, o con i passeggeri saliti ad Haifa, in Palestina, e a Beirut. E giunto a Napoli non disse di non avere ricevuto il telegramma, ma d’averlo ricevuto quando ormai tutti erano scesi. Troppo tardi. E inizia lui stesso la cospirazione del silenzio: perché, oltre a lui, mio padre e Douek, soltanto il telegrafista e il macchinista sapevano che il telegramma era arrivato prima di Alessandria. Neppure in sala macchine sapevano che eravamo a Mex. Neppure noi: siamo sbarcati senza sapere dove fossimo».
Adesso James-Giacomino Hazan sa che la storia non si può più tenere nascosta e, chissà, potrebbe diventare un film, se il Times , che l’ha rivelata agli inglesi, definisce Stagnaro «un altro Schindler italiano», come Giorgio Perlasca. Ma c’è un finale amaro, che rivela come questa sia una storia vera, non una sceneggiatura: solo un anno dopo l’Esperia, ormai nave per il trasporto di truppe, fu affondata da siluri inglesi.
Così Hazan, per finire, fa un ultimo salto all’oggi: «Voglio che sia onorato come un giusto. Ho appena scritto al rabbino capo di Londra e all’ambasciatore d’Israele perché nel nome di Emanuele Stagnaro sia piantato un albero nella strada dei giusti, in Israele. Ecco la lettera: “Chiedo la dovuta riconoscenza del popolo d’Israele, perché io sono parte di quel popolo”». E minaccia: «Ora sono pronto a tutto, perfino ad andare a protestare a casa di Ariel Sharon, nel suo giardino, perché sia fatta giustizia».

Alessio Altichieri