(CorSera) Prodi peggiore dei cattolico-liberali del XIX secolo

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Corsera 13-2-2007 – Tra fede e impegno civile


Ricasoli primo «disobbediente». Ma fu tollerato


Cattolico come Prodi, che però rischia di più. Le «scomuniche» a Manzoni e Cadorna

 

di Vittorio Messori

Qualcuno ha annusato sentore di «Risorgimento scomunicato», di non expedit, di guerra aperta tra Chiesa e società civile dietro le parole del cardinal Camillo Ruini. Il presidente della Conferenza Episcopale ha annunciato «una nota ufficiale che sia impegnativa per coloro che accolgono il Magistero della Chiesa». Un ammonimento severo, ad appoggio di continue affermazioni papali che confermano come per il Pontefice stesso sia ferrea l’ opposizione aux Pacs à l’ italienne, come li chiama La Croix, il quotidiano cattolico francese. Ci aspetta, dunque, una stagione come quella tra il 1850 (leggi Siccardi, inizio della frattura tra Stato e Chiesa) e il 1929, Patti Lateranensi, con l’ happy end firmato da Mussolini e accettato poi anche da Togliatti? Forse, guardando a quegli ottant’ anni con la pacatezza dello storico, non si può negare la gravità della frattura, ma neppure drammatizzarla all’ eccesso. La coppia che portò all’ imprevisto miracolo del 1861, con il Parlamento Subalpino trasformatosi in Italiano, fu in contrasto su molte cose, ma non sulla scelta finale. In effetti, sia Vittorio Emanuele II che Camillo Benso di Cavour chiesero ed ottennero i sacramenti sul letto di morte. Prendiamo poi tre casi esemplari: un politico, un militare, uno scrittore. A successore di Cavour, le Camere chiamarono il «Barone di ferro», che era stato un amico fraterno e un sodale fedele del Conte luciferino, ma che era al contempo un cattolico di tale ortodossia e di tale rigore da indispettire sia gli anticlericali che il re, intollerante di ramanzine sulla sua impegnativa attività sessuale. Nelle sue tenute toscane, Bettino Ricasoli organizzava scuole di catechismo e istituiva, primo in Italia, una «giornata di ringraziamento a Dio» per i raccolti annuali. Pur attratto, nella sua sensibilità austera, dal rigore giansenista, il primo «Bettino» della politica italiana si disse sempre, e fu in effetti, cattolico rigoroso e al contempo non atterrito dalla scomunica papale. Per venire al soldato: era uomo da comunione quotidiana Raffaele Cadorna, il generale che all’ alba del 20 settembre 1870, diede ordine alle artiglierie di aprire il fuoco contro le Mura Aureliane. Anche quel mattino fatale partecipò, con discrezione pari alla convinzione, a una messa celebrata in una stanzetta del Comando Supremo e, subito dopo, iniziò l’ azione per strappare Roma a Pio IX. Quanto allo scrittore, il caso di Manzoni è sin troppo noto. Ci diede romanzi, saggi, poesie tra i più cattolici della cultura europea e, al contempo, accettò di sedere nel Senato del Regno «scomunicato», non ebbe parole di rimprovero per Porta Pia, accolse nella sua casa e abbracciò commosso quel Garibaldi che voleva «nettare la storia dallo sterco clericale». I molti altri casi che si potrebbero allineare non farebbero che confermare che la fede del cattolico può convivere anche con la trasgressione al comando di chi, in quel momento, regge la Chiesa. Con, però, una precisazione non secondaria. La frattura risorgimentale riguardava soprattutto un problema di politica ecclesiastica. Che fede e morale non fossero coinvolte lo dimostra anche il lamento ripetuto di Pio IX: «Questo potere temporale è per me una gran seccatura, se potessi ne farei volentieri a meno». Ciò che lo preoccupava era la libertà della Chiesa, che poteva essere salvaguardata solo dalla sovranità su un territorio, per quanto minuscolo, dove fosse padrona in casa sua, senza dover sottostare alla sorveglianza di un Principe terreno. Com’ era successo ai Papi in Avignone, divenuti ostaggi dei re di Francia; o come succedeva al Patriarca di Costantinopoli, prima ridotto a cortigiano dell’ Imperatore e poi a prigioniero del Califfo. I Patti Lateranensi – che chiusero la questione – non furono un accordo teologico o un compromesso etico, ma il riconoscimento che il Papa poteva, doveva essere anche «re», seppure del più piccolo Stato del mondo. Ben altra cosa è ciò di cui oggi si dibatte. Ben altro problema, per i cattolici, se davvero ci sarà una presa di posizione, magari solenne ed ufficiale, che sia «impegnativa per coloro che accolgono il Magistero della Chiesa», per usare le parole del cardinal Ruini. Qui non si tratta di sovranità sul Vaticano o sul Laterano o di rimborso per i beni ecclesiastici confiscati, bensì, per usare espressioni del Papa, di «ordinamento divino», di «principi fondamentali che l’ uomo non può manipolare a suo arbitrio», di «leggi in contrasto non solo con la Rivelazione ma anche con il diritto naturale». Per il Magistero è devastante la manipolazione dell’ unico concetto di famiglia che sia ammissibile sia per la fede come per la tradizione di ogni popolo e cultura. Nella lettura ecclesiale, i Pacs, o Dico, hanno come motivazione vera non tanto il capriccio di uomini e donne che, pur potendo, non vogliono sposarsi, bensì la legittimazione anche sociale della convivenza omosessuale. Da qui, la convinzione di uno scardinamento rovinoso di cui potrebbe essere prima tappa una legge come quella italiana, pur moderata rispetto ad altre nazioni, ma pur sempre in grado di aprire una falla non più tamponabile. Il divorzio, l’ aborto stesso erano visti come errori o anche – nel caso dell’ interruzione della gravidanza – come crimini, in una prospettiva sbagliata di «male minore». Ma confutare l’ indissolubilità del matrimonio o sgravarsi con la violenza del feto non mettevano in discussione il concetto stesso di coppia, concepibile solo se eterosessuale: Adamo ed Eva. Da qui, l’ annuncio di Ruini della «nota impegnativa per i cattolici». Una scomunica per chi pratichi o accetti i Dico? Ma no, il dissenso non arriverà a tanto. È certo, comunque, che – se le cose continueranno così – il cattolico «adulto» Prodi rischia di trovare meno comprensione, tra la Gerarchia, del cattolico «liberale» Ricasoli. E anche di Zapatero e di Chirac: il Vescovo di Roma, nonché Primate d’ Italia, è ora un tedesco, ma – come da millenaria tradizione – la Penisola non è, per la Chiesa cui presiede, una terra come ogni altra. Sin dai tempi di Paolo («Occorre che io vada a Roma!») qui fede e morale stanno o cadono.



* norme e patti *** LA LEGGE SICCARDI Il ministro guardasigilli Giuseppe Siccardi nel 1850 presentò in Parlamento le leggi (che da lui presero il nome) per l’ abolizione del foro ecclesiastico e delle immunità del clero I PATTI LATERANENSI Stipulati l’ 11 febbraio 1929 tra Santa Sede e Stato italiano, posero fine alla cosiddetta Questione Romana, apertasi nel settembre 1870 con l’occupazione dello Stato Pontificio



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