(CorSera) Gli orrori dei gulag dalla Russia al Vietnam

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“Corriere della Sera”, 21 settembre 2002

risponde Paolo Mieli Il giorno successivo a quello in cui lei ha scritto a proposito della
manifestazione radicale del 21 settembre per la libertà
e la democrazia in Vietnam,
i giornali hanno dato notizia della morte del cardinale François-Xavier
Nguyen Van Thuan che, dopo la «liberazione» di quel Paese,
si era fatto ben tredici anni
di prigione e di campi
di rieducazione in mezzo
alle montagne. Credo che
se un uomo di Chiesa avesse conosciuto un destino analogo in una dittatura
di destra,
il mondo intero sarebbe insorto e avrebbe denunciato il misfatto nelle
pubbliche piazze. E credo altresì che sia una gran brutta cosa che non si
parli mai (se non al passato remoto) dei campi di concentramento
e di sterminio nei regimi comunisti che ad ogni evidenza sono tuttora in
attività.
Andrea Vimercati
Lissone (Mi)

Caro signor Vimercati, effettivamente di quei campi qui in Italia, a
differenza che nel resto d’Europa, si è sempre parlato poco. Non saprei
dirle perché.
Ho appena finito di leggere sul quotidiano spagnolo «El Mundo» un saggio
dello storico iberico Cesar Vidal, traduttore nella sua lingua dell’ultimo
libro di Solzhenitsyn, il quale, come lei, nota che gulag di quel tempo sono
tuttora in funzione in molti Paesi comunisti: Vietnam appunto, ma anche
Laos, Corea del Nord, Cuba.
La gente comune pensa che quei campi di concentramento siano esistiti
soltanto negli Anni Trenta e Quaranta, nel pieno della stagione di Stalin.
Vidal ricostruisce invece come l’ordine di istituirli è del 26 giugno 1918 e
porta in calce la firma di Lenin; la prima disposizione ad usare «il gas»
per «sterminare gli oppositori» è del 12 giugno 1921 ed è firmato dal
maresciallo Tuchacevskij (giova qui ricordare che Stalin andò al potere tre
anni dopo, nel 1924; e Hitler dodici anni dopo, nel 1933). Vidal si
intrattiene anche sui decreti del 1926 in cui si stabiliva che in quei campi
sovietici potessero essere internati ragazzi che avevano compiuto dodici
anni e quello macabro del 7 aprile 1935 il quale stabilì che giovani della
stessa età potessero essere mandati a morte.
Poi lo storico spagnolo racconta dei campi di concentramento nazisti (primo
fra tutti quello di Buchenwald) che nel 1945, dopo la caduta di Hitler, dai
regimi comunisti furono riaperti e riadattati all’identica bisogna. Una
storia orribile che si tende, chissà perché, a dimenticare. Tant’è che André
Glucksmann ha pubblicamente rimproverato Vladimir Putin e Gerhard Schroeder
perché quando si sono incontrati a Weimar il 10 aprile scorso «non hanno
trovato nemmeno un minuto per raccogliersi a Buchenwald dove si trovavano i
campi di sterminio nazisti in seguito riutilizzati per i gulag sovietici».
In Ungheria è stata aperta nel centro di Budapest la «Casa del terrore» un
museo dedicato alla memoria della continuità degli orrori tra la stagione
filonazista e quella comunista.
Il museo è stato allestito nell’edificio che ospitò tra il 1937 e il 1945 il
quartier generale delle «Croci frecciate», il movimento filohitleriano che
prese il potere con il putsch dell’ottobre 1944. Ma ampio spazio è dedicato
anche agli orrori successivi, quelli comunisti. Orrori veri. La «Novaia
Gazeta» ha raccontato che qualche giorno fa a Vereskovaia Pustosh, nelle
vicinanze di San Pietroburgo è stata scoperta una fossa comune che contiene
i resti di trentamila persone uccise tra gli Anni Trenta e gli Anni
Cinquanta. La maggior parte dei teschi sono stati perforati da pallottole.
Vidal sostiene che i campi di concentramento della Yugoslavia di Tito sono
gli stessi in cui Milosevic (che anche per questo è sotto processo all’Aja)
ha poi rinchiuso e ucciso i suoi nemici. E che i campi di Pitesti e Spac in
Romania e Albania sono identici per i delitti che al loro interno furono
consumati a quelli nazisti di Dachau e Buchenwald.
Io, caro Vimercati, continuo a ritenere che l’Olocausto hitleriano abbia
caratteri di unicità in questo secolo. Ma ciò non mi impedisce di inorridire
per quel che è accaduto nell’altra metà del mondo totalitario. E che,
purtroppo, da qualche parte, come in Vietnam, sta ancora accadendo.