IL NUOVO LIBRO
Il Papa e il comunismo «Un male necessario»
FRANCOFORTE – Memoria e identità. Conversazioni a cavallo dei millenni è il titolo del nuovo libro del Papa, che la Rizzoli pubblicherà in primavera. L’annuncio è stato dato ieri, alla Fiera del libro di Francoforte, dal portavoce vaticano Joaquín Navarro-Valls e da Ferruccio de Bortoli, amministratore delegato della Rcs Libri. Per dare corpo all’annuncio, ne sono stati anticipati due brani. Un libro nuovo e antico, che esce ora ma che è stato abbozzato nel 1993, al quale Giovanni Paolo II ha continuato a pensare per un decennio e cui ha rimesso mano da un anno a questa parte.
Dalle anticipazioni che sono state date ieri, si comprende che ritroveremo, in questo volume, il piglio del Wojtyla che si interrogava sul destino del mondo all’indomani della caduta della cortina di ferro e ora la paragona alla caduta, più rapida, della «follia» hitleriana: «Il Signore Dio ha concesso al nazismo dodici anni di esistenza».
«È un libro splendido, illuminante e prezioso» dice de Bortoli a una folla di giornalisti. E in privato confida di averlo letto e riletto tre volte nel fine settimana in cui l’ha avuto tra le mani, affascinato dalla riflessione «da cittadino del mondo» che il Papa vi conduce, «comprensibile al non credente come al credente».
Navarro-Valls traccia una elencazione dei «temi dell’ultimo secolo», che il Papa affronta in questo volume «che forse appartiene al genere della filosofia della storia»: «La democrazia contemporanea, la libertà umana, i concetti di nazione, patria e Stato, i rapporti tra nazione e cultura, i diritti dell’uomo, il rapporto tra Chiesa e Stato, l’ideologia del male e i frutti di bene degli ultimi secoli e infine il grande mistero dell’uomo, che è tema sempre presente in tutta l’opera filosofica e letteraria di Karol Wojtyla, così come nel magistero di Giovanni Paolo II.
«Non è un libro pessimista – precisa il portavoce vaticano -. Ragiona sul male che insidia la storia, ma anche sul bene che a esso sempre si intreccia e che su di esso infine prevale».
«Il Papa dona all’umanità – gli fa eco de Bortoli – un testo che incoraggia a pensare al superamento del male nella storia». L’origine del libro va cercata nell’estate del 1993, in tre o quattro giornate di conversazioni filosofiche sul nostro tempo, che il Papa ebbe nella residenza di Castel Gandolfo, con due filosofi polacchi suoi amici: Jozef Tischner (scomparso nel 2000) e Krzysztof Michalski.
Le conversazioni furono registrate e trascritte, ma il Papa scelse di tenere la «cartellina gialla» – come chiamava il contenitore della trascrizione – nel cassetto. Tischner proponeva di pubblicare quelle conversazioni con il titolo Il limite imposto al male , con riferimento alla caduta dei regimi totalitari che hanno segnato il XX secolo. Al Papa quel titolo non piacque, forse per il suo tono negativo e rivolto al passato. Ha scelto infine il binomio Memoria e identità per segnalare che il cuore della sua riflessione sul senso della storia recente sta nel collegare la memoria delle «radici» con la coscienza di sé che ogni comunità umana è chiamata continuamente a rielaborare.
Forse le conversazioni del 1993 sono restate per oltre un decennio nel cassetto perché il Papa voleva che maturasse una maggiore distanza rispetto all’evento della caduta dei regimi comunisti, da cui prendevano l’avvio. Riprendendo in mano quel lavoro, Giovanni Paolo II l’ha rimaneggiato, completato e aggiornato. Non scrivendo di persona, ma dettando aggiunte e correzioni al sacerdote polacco Pawel Ptasznik, che è il responsabile della sezione polacca della Segreteria di Stato.
Questo è il quinto libro di Giovanni Paolo II, da quando è Papa. Il primo, il più simile all’attuale, fu il volume intervista con Vittorio Messori, Varcare la soglia della speranza (1994). Poi vennero due testi di intonazione autobiografica: Dono e mistero (1996) e Alzatevi, andiamo! (2004).
Il quarto libro era stato di poesia: Trittico romano. Meditazioni (2003). Pare che l’attenzione del mondo editoriale internazionale si sia subito attivata, appena la Rizzoli ha dato – l’altro ieri – l’annuncio del volume. «Già sono venuti a cercarci in gran numero gli editori stranieri, per l’acquisto dei diritti» dice Rosaria Carpinelli, direttore divisione case editrici della Rcs Libri Spa.
Sul compito del male il pensiero cristiano ha scritto innumerevoli pagine. Credendo nell’infinita potenza di Dio, esso diventa utile ai disegni della Provvidenza, sia come strumento della giustizia divina, sia – in senso più proprio – perché un male particolare può contribuire alla realizzazione di un bene maggiore. Già due millenni e quattro secoli or sono Aristotele, nel suo trattatello sulla generazione e corruzione delle cose, metteva a fuoco questo concetto: di esso farà tesoro Tommaso d’Aquino nella Summa teologica e ora è ripreso in chiave storica da Giovanni Paolo II.
Sul male, però, le domande non finiscono. Rumi ribadisce: «Non riesco a definirlo. Se lo incontro nella storia, lo vedo e cerco di non farmi affascinare. Non c’è per fortuna soltanto questo abisso negativo». Ma per capire quel «necessario» del Papa occorre mettersi in una prospettiva di fede e ricordarsi che per i credenti tra la prima e la seconda venuta di Cristo c’è il tempo della prova. È quello che stiamo vivendo. Rumi, puntuale, suggerisce: «Il male è “necessario” al tempo della prova. Occorre non rassegnarsi e lottare. Come? Con la scienza, la politica e il bene». Sono, come dire, le nostre armi; le prime due insospettabili, sino a non molto tempo fa.
Ma se la Provvidenza sceglie di farci vivere un male per offrirci un bene più alto, allora dobbiamo credere che essa sia segno di un ottimismo superiore. San Tommaso, per giungere alle sue conclusioni, dopo la lettura di Aristotele aveva attinto da Sant’Agostino, nelle cui pagine non si esclude che il male fisico possa diventare occasione di virtù e quello morale con il suo disordine sappia stimolare la ragione a difendersi, quindi la volga alla ricerca del bene. Chissà dove nacque questa «necessità». Qualcuno ha voluto credere che essa cominci con la celebre domanda del filosofo greco Plotino, vissuto nel III secolo della nostra era: «Donde l’origine del male?»; a cui rispose evidenziandone anche il carattere «necessario».
Difficile uscire da questo dedalo. Schopenhauer un secolo e mezzo fa capì che il problema del male è l’unico veramente importante della filosofia e negli stessi giorni Giacomo Leopardi intuì che il male è «necessario» al cosmo, perché la natura stessa vi è incline. Alle sue spalle stava Vico, che studiando l’«erramento ferino» delle nostre origini doveva riflettere sul male «necessario» per attuare la civiltà. Non sono che esempi. Poi, fra i tanti ancora possibili, c’è Nietzsche. Cercò di rispondere urlando l’idea che il male era un’invenzione dei deboli, mossi dal risentimento, per combattere la volontà di potenza del superuomo. Infine il Novecento. E così Giovanni Paolo II ha potuto ricominciare da Aristotele a porsi la domanda.
CorSera 7-10-2004