(CorSera) Annalena, la «santa» fermata da un fucile

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Corriere della Sera 8-10-2003


Annalena, la «santa» fermata da un fucile

Uccisa l’italiana che da 33 anni curava i malati d’Africa. L’ultimo messaggio: la vita ha senso solo se si ama








DAL NOSTRO INVIATO
FORLI’ – «Io sono nessuno», diceva di sé: ma convinta davvero. Invece Annalena Tonelli, 60 anni, missionaria carica di fede e di azione, era moltissimo. «E’ una santa, la madre Teresa dell’Africa»: non ha dubbi chi l’ha vista lavorare per i più poveri di quel mondo. « Mother », la chiamavano con devozione tanti somali ammalati. Ma è stata uccisa proprio in terra somala, nel suo piccolo grande mondo, un villaggio chiamato Borama, nel Somaliland, anche questa una terra che è niente. Non riconosciuta dall’Onu né dagli Stati confinanti. Due milioni e mezzo di «nessuno». Due di essi hanno pensato che c’era un modo per diventare qualcuno: ammazzare con un colpo di fucile in testa Mother Annalena, la santa degli sventurati.
Troppo santa, troppo cattolica, troppo lontana dal modo di essere e di pensare di un fondamentalista. Osteggiata e minacciata di morte perché tenace nel battersi contro la piaga delle mutilazioni sessuali femminili e per cercare di salvare i malati di tubercolosi e Aids. Una donna innamorata dei derelitti. Ricambiata da tanti. Odiata dai custodi di tradizioni crudeli e dagli adepti del fanatismo. Nei giorni scorsi aveva mandato delle email al fratello Bruno. In sostanza: «Sono preoccupata. Sento tanta ostilità nei miei confronti».
Tutto è accaduto in quel villaggio remoto dove Annalena, 60 anni, vissuta a Forlì fino alla laurea in legge, faceva la missionaria laica con la vigoria concreta dei romagnoli. Lavorava venti ore al giorno, mangiava come un uccellino o come troppa gente africana, il suo guardaroba era di due tuniche e un paio di sandali. Arrivò lì dal Kenya, più di dieci anni fa. I malati stavano nelle capanne stesi alla meglio, anzi alla peggio. Gli ha costruito un ospedale con 300 posti letto, ha perfezionato il modo di curare la tubercolosi. Era appena tornata dal suo ospedale, poco dopo le 20. Nella sua casetta c’è ben poco. Come poco c’è nel villaggio. Annalena, viso dai lineamenti raffinati, non sopportava il superfluo. «Bisogna essere sobri, come ha insegnato Gandhi». C’era anche meno del necessario. Ben poco da rubare, e niente è stato rubato. C’era invece qualcosa da cancellare: lo spirito della grande madre italiana e la sua azione.
Un colpo di fucile e poi il silenzio. Gli assassini in fuga. Poi ci sarebbe stato un arresto. Chi ha sparato è un pazzo, si sostiene. Ha ucciso la donna che diceva: «I nomadi musulmani del deserto mi hanno insegnato la fede e l’abbandono incondizionato a Dio». Annalena ha fatto 33 anni d’Africa, più di metà della sua vita. Prima in Kenya, ma dovette scappare. «Mi hanno picchiato e sparato. Ma non ho paura, continuerò la mia missione». Scelse un luogo ancora più ultimo, forse pensando che oltre i confini della povertà inimmaginabile ci fosse almeno il limite del fanatismo.
E’ una storia umana esaltante proprio perché vissuta sempre lontana dai riflettori, quella di Annalena Tonelli. Una storia silenziosa ben lontana dalle tv, dai talk show, dai giornali, dalla popolarità. Mother Annalena amava il silenzio e il fare. Soprattutto il fare in silenzio. Alcuni mesi fa, quando l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati le assegnò un premio di grande prestigio, il «Nansen Refugee Award», accettò pensando a quanto poteva fare con l’assegno di centomila dollari. Allora la sua grande vita sconosciuta diventa una vita raccontata. Suo malgrado. «Quando fai qualcosa per gli altri, nessuno dovrebbe saperlo». Si raccontò così ad Anna Pozzi, una giornalista di Mondo e missione . «Volevo seguire Gesù e scelsi di essere per i poveri. Per Lui feci una scelta di povertà radicale, anche se povera come un vero povero io non potrò mai esserlo. Vivo il mio servizio senza un nome, senza la sicurezza di un ordine religioso, senza appartenere a nessuna organizzazione».
Adesso la salma di Mother Annalena è stata portata a Nairobi, dove sono giunti suo fratello Bruno con la moglie Enza, e probabilmente verrà sepolta qui a Forlì, una città in lutto. L’inchiesta per capire i motivi veri del delitto avrà un cammino difficile, come è sempre stato difficile o impossibile penetrare in tanti misteri somali. Da quando gli americani hanno aperto una base a Gibuti il fondamentalismo ha alzato la voce. Si fece sentire anche nel passato contro la «straniera infedele», soprattutto quando un imam le predicò contro dalla moschea, incitando ad ucciderla. «Gli dissi che mi aveva già uccisa con le sue parole, mettendomi la popolazione contro».

Vittorio Monti










Alcuni imam pregavano per lei. E questo ha scatenato l’odio degli integralisti

«Una cristiana non può essere più brava di noi»

Nel ’96 aveva aperto un tubercolosario a Borama, nel Somaliland Da allora minacce e ricatti



DAL NOSTRO INVIATO
GIBUTI – Da Merca, una piccola città portuale a una cinquantina di chilometri a sud di Mogadiscio, la capitale della Somalia, era dovuta scappare. Gestiva un ospedale per ammalati di tubercolosi, ma in realtà la sua struttura era aperta a tutti quanti e gli abitanti di Merca non potevano farne a meno. Annalena Tonelli era diventata la loro santa, la loro protettrice. Non esitava ad affrontare i miliziani. Loro armati di mitra, lei di buona volontà e amore. Per lei, però, la situazione era diventata una situazione insostenibile, piena di minacce e ricatti. Non aveva potuto neanche salutare i suoi ammalati che non l’avrebbero lasciata andar via. E’ uscita: «Torno stasera». Ha invece abbandonato tutte le sue povere cose e ha preso il volo per Nairobi. Era l’inizio del 1995 e tre mesi dopo, a Merca, qualcuno era convinto ancora che lei sarebbe tornata. Comunque a sostituirla era stata inviata dalla Caritas una dottoressa lombarda, Graziella Fumagalli, assassinata pochi mesi dopo da un fondamentalista.
Annalena è tornata in Kenya – dove aveva cominciato la sua missione nel ’69 – in un campo profughi per somali, ma aveva dovuto lasciare anche lì. Non aveva esitato a criticare con una certa violenza verbale le autorità locali per il trattamento riservato ai rifugiati che vivevano in condizioni disumane: dopo pochi giorni era stata espulsa.
La scelta di Borama non era stata causale. Il villaggio si trova in Somaliland, un pezzo della Somalia che dal ’91 ha dichiarato l’indipendenza ma che la comunità internazionale, con profondo cinismo, non ha mai riconosciuto e aiutato. Lei si è stabilita lì, aprendo un nuovo tubercolosario. Unico santo cui attaccarsi per una popolazione ammalata, affamata e disperata. Ma la sua frenetica attività ha provocato anche invidie e gelosie. Nelle moschee gli imam pregavano per lei (ma qualcuno anche contro), affinché Allah le concedesse lunga vita. Un particolare che non dev’essere sfuggito alle cellule integraliste che battono il Corno d’Africa. «Come, una cristiana è più brava di noi? – si devono essere chiesti -. Una cristiana viene lodata nelle moschee?». Un’onta da lavare con il sangue. E così i terroristi, che da alcune settimane hanno avuto l’ordine di colpire gli occidentali e i loro interessi in Corno d’Africa, hanno scatenato la propria furia. E a farne le spese è stata una donna la cui colpa era solo quella di avere un’«ossessione» nella vita: aiutare il prossimo.
L’attacco contro Annalena non è giunto comunque isolato. le cellule islamiche in questi ultimi mesi hanno continuato a colpire in tutta la zona. E’ uno stillicidio di attentati che sta infuocando l’area meno controllabile di tutto il pianeta. La settimana scorsa una bomba è esplosa sul treno che collega Gibuti a Dire Dawa, in Etiopia. I morti sono stati due. Una ventina di giorni fa in pieno deserto ai confini tra Etiopia e Somaliland, un commando di integralisti ha assalito un’auto di Save the Children che è stata bruciata.
Lontano dai riflettori dei media, assenti, gli americani hanno incrementato la loro presenza in Corno d’Africa. Il contingente di stanza a Gibuti, di quasi tremila uomini, pattuglia giorno e notte con elicotteri le frontiere del Somaliland alla ricerca di elementi di Al Qaida rifugiatisi nel deserto. Non è escluso che siano stati loro a organizzare questi attentati, compreso l’omicidio di Annalena.
malberizzi@corriere.it
Massimo A. Alberizzi