di Andrea Tornielli
(C) Il Giornale, 27 dicembre 2007
(C) Il Giornale, 27 dicembre 2007
Le firme, più di cinquecento, sono state consegnate alla Curia di Milano il 7 dicembre scorso. Si tratta di una petizione perché anche nella diocesi ambrosiana venga applicato il Motu proprio Summorum Pontificum, con il quale lo scorso luglio Benedetto XVI ha liberalizzato l’uso del messale preconciliare.
Buona parte della diocesi milanese segue il rito ambrosiano e formalmente nel documento papale si cita soltanto il rito romano (il capo-rito per la celebrazione ambrosiana è il cardinale arcivescovo, Dionigi Tettamanzi). Di per sé, la liberalizzazione si applicherebbe solo alle parrocchie che seguono il rito romano. Anche in questo caso però, una notificazione di monsignor Manganini, vicario episcopale, ha messo le mani avanti sostenendo che in diocesi non esistono gruppi legati al vecchio rito.
La posizione della Curia di Milano ha suscitato qualche malumore ai piani più alti del Vaticano. Per questo è possibile che l’istruzione applicativa del Motu proprio, chiamata a rispondere ad alcune delle obiezioni già sollevate, possa contenere un accenno anche al rito ambrosiano: anche se formalmente ineccepibile, infatti, la decisione della Curia milanese certo non mostra comprensione per l’intenzione del Pontefice, abbondantemente spiegata nella lettera che Papa Ratzinger ha inviato a tutti i vescovi del mondo.
Le oltre cinquecento firme sono state raccolte durante le ultime settimane via Internet. Di queste, informa il network internet totustuus.net, che ha promosso l’iniziativa, quasi la metà (per l’esattezza il 47 per cento) sono di persone che hanno meno di cinquant’anni. «Da questi numeri appare evidente che non abbiamo firmato animati da “nostalgie”, ma per i motivi che il Papa ha ben descritto con queste parole: “anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia”. Non possiamo pertanto essere accomunati a gruppi cripto-scismatici o di “nostalgici”».
«Abbiamo firmato – scrivono ancora gli organizzatori della petizione – perché la decisione della Congregazione del Rito Ambrosiano di non applicare il Motu proprio alle parrocchie e alle comunità di rito ambrosiano rischia di dare l’impressione di una impossibile frattura tra la Chiesa ambrosiana e quella cattolica». L’idea che ha mosso gli aderenti all’iniziativa non è dunque quella della rottura, ma, al contrario, quella della continuità: «Abbiamo firmato perché – come ha scritto monsignor Marco Navoni, dottore della Biblioteca Ambrosiana in un articolo del periodico della diocesi di Milano “il Segno” – il Motu Proprio è la traduzione pratica a livello liturgico dell’importante discorso tenuto dal Papa il 22 dicembre 2005 sul Concilio Vaticano II come momento di continuità con la tradizione precedente e non invece, come vorrebbero alcuni pur da fronti opposti, come rottura inconciliabile all’insegna della discontinuità. In fondo il Papa ha ritenuto opportuno, nel momento attuale, anche a livello liturgico riproporre la logica cattolica dell’ “et-et” e non quella dell’ “aut-aut”. Non dunque: o il Messale del Concilio di Trento, o il Messale del Vaticano II, ma sia l’uno che l’altro, come segni dell’unica tradizione vivente di preghiera e di dottrina».