La Conferenza Episcopale dell’Emilia Romagna
richiama i politici alla realtà storica
Nessuna menzione della storia cristiana della Regione,
nessun riferimento al diritto alla vita,
un’idea confusa di matrimonio che penalizza la famiglia.
Questi gli appunti che i Vescovi dell’Emilia Romagna
riuniti il 3 di luglio a Marola di Reggio Emilia
hanno fatto al nuovo Statuto Regionale approvato
in prima lettura dal Consiglio Regionale.
COMUNICATO STAMPA
Statuto Regionale:
dichiarazione della Conferenza Episcopale
dell’Emilia RomagnaIl Consiglio Regionale dell’Emilia-Romagna ha approvato
in prima lettura il nuovo Statuto.
In questo contesto, la Conferenza Episcopale Regionale
ritiene opportuno manifestare alcune osservazioni di
carattere generale, adempiendo il dovere di offrire ai
cittadini e alle Istituzioni un necessario contributo a
servizio del bene comune.I Vescovi rilevano anzitutto che il preambolo misconosce
il ruolo avuto dalla fede in Cristo nella formazione
dell’identità regionale.
Proclamare che la Regione Emilia-Romagna si fonda sui
valori del Risorgimento e della Resistenza al nazismo e
al fascismo, senza identificare nelle vicende della
Regione alcun altro valore fondativo, significa
censurare diciotto secoli di storia.
La menzione generica dell’esistenza di un “patrimonio
religioso”, non inserito peraltro tra i valori fondativi,
sembra riferirsi a un patrimonio giacente ed
infruttifero, più che a una radice ancora viva e vitale,
quale in realtà sono state e sono tuttora in questa
Regione le Comunità cristiane nate dalla fede in Cristo.Spiace quindi constatare che la “religione” obiettivamente
appare presa in considerazione solo in senso negativo,
cioè come possibile fattore di discriminazione sociale.Lo Statuto elenca diffusamente i più svariati diritti; non
menziona però il primo e fondamentale di essi: il diritto
alla vita, con tutto quello che ne dovrebbe conseguire sul
piano delle politiche sociali, famigliari, culturali ed
economiche.Nello Statuto la famiglia compare solo come una delle
tante formazioni sociali intermedie attraverso le quali
si realizza il principio della “sussidiarietà orizzontale”.
La famiglia non è invece una mera comunità intermedia, uno
strumento o un’alternativa fra molte possibili per
costruire una società: è la massima realizzazione naturale
dell’amore fra l’uomo e la donna, il luogo proprio della
generazione e dell’educazione dei figli e della solidarietà
tra le generazioni, e infine il modello e la grande risorsa
della convivenza sociale.Ci si riferisce ovviamente alla famiglia fondata sul
matrimonio, così come definita dall’articolo 29 della
Costituzione italiana: sembra invece che la famiglia cui
pensa lo Statuto sia un concetto generico e insignificante,
nel quale vengono equiparate la famiglia fondata sul
matrimonio e altre forme di convivenza derivanti dalla
proclamata indifferenza di qualsiasi “orientamento
sessuale”.Il diritto alla libertà di scelte educative da parte della
famiglia non è adeguatamente riconosciuto e sostenuto.Il principio di sussidiarietà “orizzontale” è lodevolmente
affermato, ma in termini riduttivi, come forma di
integrazione subordinata o di mera supplenza
dell’intervento pubblico.
Manca la previsione di una garanzia di effettività alla
sussidiarietà orizzontale, cioè la riserva di adeguati
spazi alla sussidiarietà stessa.I Vescovi, nella loro qualità di pastori e maestri nella
fede di tutti i battezzati, si augurano che le brevi
osservazioni espresse nel presente documento possano
aiutare i responsabili a migliorare la stesura definitiva
di una Carta così importante per il futuro della nostra
Regione.
Mentre si rendono disponibili per ogni ulteriore
chiarimento, assicurano la leale collaborazione delle
Comunità cristiane per l’integrale promozione umana e
culturale di quanti abitano nella nostra terra.Marola di Reggio Emilia, 3 luglio 2004
(C) ARCIDIOCESI DI BOLOGNA
C.S.G. – UFFICIO STAMPA – Via Altabella, 8