(Avvenire) il sapere serva la vita

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IL PAPA NON TACE


IL MITO DI ICARO COME FOSSE SCRITTO OGGI



Davide Rondon

 Dopo averlo detto al popolo lo ha ripetuto ai colti. Dopo averlo ripetuto alla grande assemblea di Verona dove sedeva ogni genere di persone – sani e malati, laici e preti, uomini di fede e curiosi, gente di destra e di sinistra e di centro – è andato a ripeterlo ad una più ridotta assemblea di colti. A coloro che insegnano nella “sua” università. La Lateranense, cosiddetta università del Papa.
Come al popolo ha ripetuto ai colti lo scopo della Chiesa: aiutare gli uomini a vivere. A fare quel che devono fare. In questo la Chiesa è un “sì” alla vita: aiutando la madre, se deve tirar su dei figli, il professore se deve insegnare, lo scienziato se deve indagare, il poeta se deve trovare le parole. La Chiesa aiuta a svolgere il compito della vita. E come può la Chiesa presumere di aiutare ciascuno a fare quel che deve fare? Com’è possibile esser utile al panettiere e anche al biologo, al commercialista e allo scienziato, all’artista e alla nonnetta? Non si vede come tutt’intorno esistono gruppi, sodalizi, partiti reali e immaginari, cosche o club che si qualificano per aiutare, per sostenere qualcuno invece che un altro… Si affermano corporazioni, o blocchi di potere. In una dialettica a volte sana ma spesso amara e sterile. E molti vorrebbero che anche la Chiesa fosse così. Un aiuto per alcuni, e per altri invece no. Una cosa di parte. Adatta ad alcuni ma impossibile per altri. Una faziosa. Invece, il Papa l’ha detto a Verona, al popolo, e lo è andato a ripetere ai colti: la Chiesa è un sì alla vita. Per tutti. E il maggior aiuto alla vita, il maggior “sì” alla vita coincide con una proposta oggi più che mai controversa: la vita ama Dio, e Dio ama chi lo cerca.
Mentre molti dicono di odiare Dio e lo dipingono come nemico della vita, e mentre molti che dicono di amare Dio lo fanno ugualmente apparire nemico della vita, il Papa gira tra stadi e chiese, tra aule e piazze a dire il contrario. A dire una cosa che i semplici sanno. E che però tutta la cultura in c ui siamo immersi tende a far dimenticare. Da qui il continuo richiamo ai dotti perché non riducano mai la sete di conoscenza ad arbitrio, ad avventura tragica e stupida come insegna il mito di Icaro, richiamato dal Papa.
E da qui il richiamo a cercare la verità che la ragione desidera come adeguato compimento, senza contentarsi del gioco arido delle opinioni. Senza confondere la verità come una minaccia per la libertà. E senza cedere a un’idea di ricerca che si costruisce su censure o parzialità. E sulla più grave censura: il sapere serva alla vita.
Ieri alla Lateranense, parlando a uomini di ricerca e di insegnamento, Benedetto ha citato l’antico Vescovo Anselmo. Il quale in una preghiera, parla così di ciò che l’uomo insegue: “Che io ti cerchi desiderando, che ti desideri cercando, che ti trovi amando, che ti ami ritrovandoti”. È una dolce, precisa concatenazione. Che descrive il viaggio adeguato di ogni ricerca scientifica. E di ogni rapporto con il segreto del mondo, che è Cristo. Come al suo popolo, così ai colti, ai “suoi” professori, Benedetto XVI richiama che la fede non è quel che i luoghi comuni eredi di laicismo e razionalismo dipingono attraverso i formidabili mezzi di comunicazione e di indottrinamento di cui dispongono. Lo fa mettendo in gioco intera la sua intelligenza e la sua pazienza. E la sua intera testimonianza. Il grande poeta che ha scritto il profetico poema della “Terra desolata”, T.S.Eliot, parlava di una conoscenza che ci ha allontanato dalla sapienza. Benedetto XVI raccoglie quell’allarme, prende sul serio i poeti e i profeti. Perché prende sul serio la vita. Così come Gesù quando camminava in Galilea e lo commuoveva la vita degli uomini.


Avvenire 22-10-2006