“Avvenire”, 9.10.2002
Il monoteismo è troppo impegnativo e, più che altro, poco
«tollerante». Per questo sempre più persone preferiscono rifugiarsi in un
pantheon su misura. Gli intellettuali rispondono alla provocazione lanciata
da Lucetta Scaraffia
Cardini: «Laicismo antistorico». Silvia Ronchey: «Il passato è
complesso». Conte: «Centrale il rapporto con la natura». Enzo Bianchi:
«L’idolatria è un rischio»
Di Alessandro Zaccuri
Il monoteismo? Troppo ingombrante. Meglio la spiritualità light
di derivazione politeista, che non a caso sta conquistando sempre più spazio
in una società come la nostra, che sembra quasi vergognarsi delle proprie
radici giudaico-cristiane. Questo, in sintesi, il significato
dell’intervento pubblicato ieri su queste pagine, nel quale la storica
Lucetta Scaraffia raccoglieva la provocazione implicita nell’autodifesa di
Michel Houellebecq, lo scrittore francese attualmente sotto processo per
alcuni passaggi fortemente antislamici del suo romanzo Piattaforma . Per
trarsi d’impaccio, infatti, Houellebecq non ha trovato di meglio che
dichiararsi contrario non soltanto all’islam, ma ai monoteismi tout court.
«La solita furbizia laicista – sostiene il medievista Franco
Cardini -, tipica di chi proprio non riesce ad accettare il Dio personale e
creatore delle religioni abramitiche, contro le quali si invoca un
antistorico principio di “tolleranza”. Come se la to lleranza non fosse in
realtà il risultato di un dibattito che, storicamente, si colloca proprio
all’interno del cristianesimo. E come se la presunta “intollerenza” dei
monoteismi abramitici non si sia tradotta, sul piano storico, in forme di
convivenza che oggi si preferisce ignorare. Lo stesso islam, per esempio, ha
fatto di tutto per non entrare in conflitto con i cosiddetti “infedeli”.
Anche in san Tommaso d’Aquino, del resto, si trova chiara la nozione che
esistono diritti fondamentali, primo fra tutti quello alla vita, comuni a
cristiani e non cristiani. Sarebbe questa l’intolleranza? Il fatto curioso,
semmai, è che gli stessi che hanno parole di condanna per la “violenza”
insita nei monoteismi, non trovano nulla da eccepire a proposito dei
sacrifici umani o di altre aberrazioni che appartengono invece alla storia
delle popolazioni politeiste. Personalmente, resto convinto che oggi il vero
fondamentalismo sia quello di certi occidentali alla Houllebecq, che
contrastano l’islam soltanto perché vedono in esso una manifestazione
intransigente del monoteismo abramitico».
Molto diverse le considerazioni della bizantinista Silvia
Ronchey: «Proprio non riesco a vedere dove si possa riconoscere, nel
panorama attuale, la rivincita del politeismo – ribatte -. Anche certe
tendenze sincretiste del New Age, come l’infatuazione per il buddhismo, non
fanno altro che proiettare qualche elemento esotico su un’idea di divinità
unica che appartiene a pieno titolo al patrimonio monoteista. Allo stesso
modo, non mi pare che nessuno oggi si vergogni di essere monoteista e
questo, almeno dal mio punto di vista, è un limite. Il cristianesimo, per
restare alla religione a noi più vicina, ha una storia estremamente
complessa, che oggi tende a essere semplificata in modo schematico e
dozzinale, trascurando proprio quei momenti storici (il pontificato di Pio
II oppure l’avventura fil osofica di Nicola Cusano) in cui il dialogo tra
Roma e le Chiese d’Oriente sembrava preludere a una nuova stagione di
reciproca tolleranza. Ecco, questa è un’occasione in parte mancata e che
meriterebbe un ripensamento, specie in una situazione come l’attuale, che
vede il rischio di un’affermazione dell’islam fondamentalista».
Più sfumato il punto di vista dello scrittore e poeta Giuseppe
Conte, che non ha mai nascosto la propria simpatia per tradizioni diverse da
quella occidentale. «Ma oggi come oggi – osserva – mi sembra che il problema
non sia più quello di una contrapposizione fra monoteismo e politeismo. E
questo non soltanto perché spesso i politeismi nascondono una visione
monista (il caso più emblematico è rappresentato dall’induismo). A fare la
differenza, piuttosto, è la capacità di riconoscere il divino non soltanto
nell’uomo, ma anche nella natura. E so tto questo aspetto, non ci sono
dubbi, l’Occidente ha molto da farsi perdonare. Parlo di Occidente perché
vorrei che fosse chiaro che non penso soltanto alla Chiesa: grazie a
Giovanni Paolo II, anzi, il cattolicesimo sta vivendo un momento di
spiritualità altissima, che per me coincide con lo spirito di Assisi. Più in
generale, però, la storia occidentale dimostra quanto possa essere
pericoloso il legame tra religione e potere. Oggi a correre questo rischio è
anzitutto l’islam, che pure in passato ci ha dato, attraverso l’esperienza
dei sufi, un’altissima lezione mistica».
Il giudizio più severo viene da Enzo Bianchi, priore della
Comunità monastica di Bose: «La realtà è che la società dei consumi
occidentale ha bisogno di una struttura politeista, che si presenta di volta
in volta come pensiero debole, come edonismo, come culto della modernità –
denuncia -. In questa prospettiva, il monoteismo i nfastidisce perché
implica la relazione con l’altro e il rispetto per ogni alterità, ma più che
altro perché introduce il principio di responsabilità nell’agire storico.
Con questo non nego che ci siano stati, nella storia, episodi di
intolleranza e anche di crudeltà imputabili a vario titolo alle religioni
monoteiste. Ma questo non può farci dimenticare che ogni politeismo porta
con sé l’alienazione degli idolatri, che si esprime in modi diversi, anche e
specialmente all’interno dei rapporti interpersonali. Il rifiuto di ciò che
è altro inizia già tra le mura di casa e si proietta poi in una società in
cui tutto deve essere appiattito e indifferenziato, fino alla confusione dei
ruoli sessuali. È questa l’idolatria, che fa sì che a regnare sia Dioniso e
non Cristo, il pantheon e non Dio. Eppure non mi sembra che nei credenti
stia crescendo un sentimento di vergogna. Al contrario, oggi i cristiani
sono più che mai consapevoli della propria identità. E sono fieri di non
essere idolatri».