(Avvenire) Wojtyla e Reagan, ovvero la forza della parola e quella della spada

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Il congedo dell’ex presidente americano

Tra Reagan e Karol Wojtyla un feeling di nome libertà



Luigi Geninazzi


Avvenire 8/6/2004


«Il mio sogno è che nessuno, in questo Paese, debba mai più soffrire per aver pronunciato una dolce, cara parola: libertà». Era l’estate del 1988 quando Ronald Reagan, in visita a Mosca, s’incontrò coi dissidenti sovietici all’ambasciata americana. La sua voce, calda e profonda, risuonò nella capitale di quel che aveva definito “l’impero del male” commuovendo fino alle lacrime chi lo ascoltava e suscitando la reazione stizzita del Cremlino. Il presidente americano era quasi alla fine del suo lungo soggiorno alla Casa Bianca mentre Gorbaciov era agli inizi della sua travagliata perestrojka. Ma l’America aveva ormai lanciato il suo guanto di sfida alla super-potenza comunista. Quel viaggio di Reagan a Mosca, che ebbi la fortuna di seguire, mi è parso subito come la continuazione politica del viaggio compiuto da Giovanni Paolo II in Polonia nel 1979.
Papa Wojtyla e Reagan, ovvero la forza della parola e quella della spada. La prima scuote le coscienze e moblita milioni di persone. La seconda è brandita e minacciata ma non sarà mai usata. C’era dell’autentica genialità nel bluff dello scudo stellare, un’arma impossibile da realizzare ma in grado di turbare i sonni del nemico. A differenza di tanti leaders occidentali Reagan era convinto che la lotta contro l’Urss potesse sfociare in una vittoria e non in un semplice compromesso. E come Papa Wojtyla riteneva che il comunismo non fosse solo un sistema sbagliato ma anche e soprattutto un male morale. Sono loro i protagonisti – assai diversi – di quel decennio incredibile che era iniziato con Solidarnosc nel 1980 (l’anno della prima vittoria eletttorale di Reagan) e si concluderà con la caduta del muro di Berlino nel 1989.
«Ha cambiato la vita di milioni persone, specialmente in Europa, portando libertà e democrazia», è il ricordo che Giovanni Paolo fece venerdì scorso davanti al presidente Bush, pregandolo di trasmettere i suoi auguri alla moglie dell’ex presidente, allora gravemente ammalato. C’era un feeling speciale tra loro due. Nel 1979, mentre si trovava in campagna elettorale, Ronald Reagan vide un reportage televisivo sulla visita del Papa a Varsavia che lo colpì profondamente. Divenuto presidente si rese subito conto che il Vaticano, al contrario della famosa battuta di Stalin, poteva contare su molte divisioni per far breccia nell’impero comunista. La sua ammirazione per il Papa polacco era immensa, ricambiato dalla stima di Giovanni Paolo II. Li accomunavano alcuni tratti. Entrambi sono stati attori e sportivi, divenuti “Grandi Comunicatori” dall’eloquio affascinante. Entrambi hanno subìto un attentato, a poche settimane l’uno dall’altro, nella primavera del 1981. Come il proiettile che rischiò di uccidere il Papa anche quello che colpì Reagan era passato a pochi centimetri dall’aorta.
Gli anni Ottanta videro una straordinaria convergenza tra Santa Sede e Casa Bianca nei confronti del comunismo. Si trattò però di una convergenza di fatto e non di “un’alleanza segreta”. C’erano interessi comuni ma ovviamente le strategie erano diverse. L’obiettivo, questo sì, era lo stesso: che «nessuno dovesse mai più soffrire in nome di una parola dolce e cara, libertà». Di tutti i politici solo lui, l’ex attore giunto alla Casa Bianca, ha saputo pronunciarla con grande effetto sul palcoscenico del mondo.