INTERVISTA
«Studiando i vangeli si è allargato il campo alle tracce epigrafiche, papirologiche, numismatiche. È sempre più evidente la storicità di Cristo, che, come scrive il Papa, non può essere ridotto a leggenda». Parla la grande storica dell’Antichità
Sordi: «Il Gesù di Ratzinger vince l’angoscia»
«Nel mondo pagano e romano, la grande novità evangelica si innesta sull’attesa, molto viva nel periodo augusteo, di una comunione tra il mondo degli uomini e quello degli dèi»
Di Paolo Viana
Si potrebbe dire che da decenni si confronta con Gesù, ma solo per caso. Nel senso che l’interesse scientifico di Marta Sordi, una delle massime studiose di storia romana, si concentra proprio su quell’età imperiale all’inizio della quale si svolse la vicenda storica di Cristo, ma non su di Lui. Leggere il Gesù di Nazaret di Benedetto XVI per lei significa confrontarsi con un metodo, oltre che con un’epoca, una persona e una fede. In quest’intervista analizza la via seguita da Ratzinger per descriverli.
Il libro del Papa, nel sancire l’unità tra due profili spesso alternativi nell’esegesi, cioè il Cristo della storia e quello della fede, mette sotto esame il metodo storico-critico. Quali sono i suoi limiti?
«Ratzinger non nega il metodo storico-critico ma ne individua effettivamente limiti e rischi, che nascono, come scrive il Papa, dalle distinzioni sempre più sottili di tradizioni stratificate e dalla trasformazioni di ipotesi in verità indiscutibili. Il metodo storico-critico applicato ai Vangeli è nato tra il XIX e il XX secolo nell’ambito di una storiografia impostata sull’ipercritica. Quest’approccio però è stato superato, almeno in parte, dalla storiografia recente. Studiando il mondo greco e romano coevo ai Vangeli, non ci si è accontentati più delle fonti letterarie, ricorrendo anche a quelle numismatiche, papirologiche, epigrafiche, ecc. Quanto quest’evoluzione sia stata proficua lo dimostrano vari esempi: Valerio Publicola, personaggio chiave nel passaggio tra la monarchia e la repubblica romana, è rimasto avvolto nella leggenda finché non fu trovata un’epigrafe che permise di riscriverne la storia. Ebbene, molti esegeti, anche attuali, non hanno seguito quest’evoluzione e sembrano aver perduto ogni contatto con le fonti. Essi continuano a costruire le loro interpretazioni sulle ipotesi dei loro predecessori, stratificazioni che per loro diventano dei dogmi».
Quindi lo strappo tra il Cristo della storia e quello della fede che Ratzinger “ricuce” non è il figlio del metodo storico-critico ma rappresenta la sua degenerazione.
«Esattamente. E questo vale anche per la scoperta e l’applicazione dei generi letterari alla Bibbia. Così, se è stato fondamentale, per comprendere l’Antico Testamento, riconoscere il carattere sapienziale e non storico di libri come quelli di Giobbe e di Giona, un’acquisizione che dobbiamo precisamente al metodo storico-critico, è devastante quando si pretende di applicare ai Vangeli un genere letterario differente da quello storico o storico-biografico».
Come capiamo che i Vangeli appartengono al genere storico?
«Dal prologo di Luca. Il suo Vangelo è uno dei sinottici, non un testo scollegato dagli altri, e utilizza un linguaggio e un’architettura tipici della storiografia scientifica di tipo tucidideo, con quel richiamo all’akribia, il senso critico, e all’autopsia, che esalta la testimonianza oculare dei fatti raccontati. Del resto, i Vangeli sono scritti in un’epoca critica, segnata dalla trasmissione scritta delle conoscenze, e quanto si tenesse a una testimonianza diretta degli eventi lo dimostra la scelta degli stessi Apostoli, che dopo l’Ascensione, scegliendo il dodicesimo di loro, individuano Mattia perché era stato testimone della vita di Gesù dal battesimo di Giovanni fino alla Resurrezione».
Qual è la personalità di Cristo che emerge dalla sintesi ratzingeriana?
«Il centro della personalità di Gesù – Benedetto XVI lo dice a più riprese – è il suo rapporto con Dio Padre. Devo aggiungere che la persona che emerge da quest’esegesi che “unifica” i due profili è molto più coerente e storicamente attendibile di quella che ci propongono certuni esegeti, che vedono nel Cristo il rivoluzionario fallito o il mite moralista che tutto permette, come sottolinea anche l’autore. Su questa personalità di Gesù non avrei dubbi perché il Papa ci ritorna continuamente nel libro: dalla confessione di Pietro, al racconto della Trasfigurazione, sino al famoso “Io sono” con cui afferma l’identità col Padre».
Se non prometteva né rivoluzioni, né riforme, quale fu, per i contemporanei, la novità del messaggio cristiano?
«Ratzinger risponde: Gesù ha portato Dio. Rileggiamo il suo libro: non il pane, non la pace, né il benessere, o meglio tutto questo ma nel giusto ordine, che vede Dio al primo posto… Una novità che emerge dalle pagine sulle tentazioni, sulla moltiplicazione dei pani e dei pesci, sull’istituzione dell’Eucaristia. Nel mondo pagano e soprattutto in quello romano, la grande novità del cristianesimo si spiega con l’attesa, particolarmente sentita nel periodo augusteo, di una comunione tra il mondo degli uomini e quello degli dei. Catullo rimpiangeva l’età degli eroi perché allora gli dei camminavano in mezzo agli uomini e condividevano con loro nozze e mense. Virgilio rivela nella quarta egloga la stessa esigenza. Non dimentichiamo che nozze e mense sono simboli anche nella Rivelazione biblica. Individuano la comunione con Dio».
Questo significato può valere anche per i moderni?
«Anche noi abbiamo un immenso bisogno di comunione con Dio e l’angoscia di oggi non è molto diversa dal sentimento che pervadeva i romani negli anni delle guerre civili, quando, scrive Catullo, il fas e il nefas, il diritto divino e il suo rovesciamento, si mescolano e vige il totale disordine, gli dei si allontanano e la luce sul mondo si spegne…»
Avvenire 26-4-2007