1953-1958: Roncalli segreto
storia
Pubblicate le agende degli anni in cui il futuro Giovanni XXIII fu patriarca di Venezia. Ritratto di un «padre e pastore»
DI MARCO
RONCALLI
Avvenire 29-4-2008
Superata la «tristezza del distacco » da Parigi grazie alla
consapevolezza della propria «unione con Dio e nella pace della
coscienza», dopo gli otto anni trascorsi come nunzio nella Francia del
dopoguerra, il 15 marzo 1953 Angelo Giuseppe Roncalli faceva il suo
ingresso a Venezia come patriarca, così presentandosi dal pulpito di
san Marco, quasi a tracciare un bilancio del suo trentennio
precedente: «[…] La Provvidenza mi fece percorrere le vie del mondo
in Oriente e in Occidente, accostandomi a gente di religione e di
ideologie diverse, in contatto con problemi sociali, acuti e
minacciosi […] sempre preoccupato, salva la fermezza ai principi del
Credo cattolico e della morale, più di ciò che unisce che di quello
che separa […] Alla fine della mia lunga esperienza, eccomi rivolto
verso Venezia […]». Nella laguna sarebbe rimasto meno di sei anni,
finalmente «pastore» e «posto innanzi ai veri interessi delle anime e
della Chiesa». Un arco cronologico costellato di tappe rilevanti:
visite e lettere pastorali, l’anno mariano, la missione cittadina, le
celebrazioni laurenziane, il sinodo diocesano, viaggi nel Triveneto, in
Italia, all’estero. Un lustro e sette mesi ritmati da stagioni vissute
nel «tempo del Signore», da liturgie nella basilica d’oro tra il libro
e il calice, da veglie su antichi testi al tavolo di lavoro, ma pure
da inevitabili confronti con problemi sociali, secolarizzazione,
tensioni pluralistiche, istanze d’autonomia nel laicato cattolico,
mutamenti nei costumi, nei comportamenti elettorali: temi che
richiedevano pronunce allineate alle indicazioni unitarie
dell’episcopato italiano e alle direttive di Roma.
Se è vero che nella biografia roncalliana, quello veneziano è uno dei
capitoli più indagati, considerata la vasta documentazione edita o
messa a disposizione degli studiosi da monsignor Loris Capovilla –
fedele segretario di Roncalli proprio da questi anni – è anche vero
che solo grazie alla pubblicazione integrale delle agende di questo
periodo è adesso possibile ricostruire giorno dopo giorno, la
quotidianità di un pastore che, completato il suo noviziato, mostrò
subito il suo stile episcopale (non
dominus
o gubernator,
né tantomeno
percussor,
ma
pater et pastor,
consapevole di un ruolo di servizio in una Chiesa che voleva giardino
e non museo) e insieme la genesi, l’evoluzione e gli esiti di tanti
processi decisionali, di sintesi dottrinali, di evoluzioni culturali
(con il loro carico di quesiti per gli storici).
Lo dimostrano bene i due tomi
Pace e Vangelo. Le Agende del Patriarca Roncalli – I: 1953-1955, II: 1956-1958
curati da Enrico Galavotti, che vengono presentati oggi a Venezia.
Molto attenta la curatela e ricca l’annotazione, in grado di palesare
il significato di rapidi cenni, identificare vicende e interlocutori,
ricreare contesti celati da righe sovente scarne, ma che, soprattutto,
coglie profondità e complessità del loro autore e delle sue virtù,
private e al contempo pubbliche. Da ricordare poi il valore documentale
di quest’ampia parte del mosaico roncalliano (che arriva al conclave)
non solo per il periodo trascorso sulla laguna. Il patriarca, infatti,
non si limita a registrare il suo presente, ma, spesso, torna su
episodi del suo passato, recupera schegge autobiografiche ab juventute,
cita i genitori, i familiari, il vescovo Giacomo Maria Radini
Tedeschi, antichi amici, collaboratori: nomi sconosciuti o celebri.
Nelle pagine scopriamo un vescovo ultrasettantenne che scrive: «Devo
con-
tinuare ad aver poca stima di me stesso […] senza vanità interiore
lo spirito resta più leggero, e più pronto all’umiltà ed
all’abbandono in Dio» (26 agosto ’57), ma anche lo studioso che non ha
mai rinunciato alla storia e, alla conclusione della sua edizione
degli Atti della Visita Apostolica di S. Carlo Borromeo a Bergamo
(avviata trent’anni prima), valuta nuovi progetti: «Attesi alla
lettura degli Atti degli antichi Sinodi Episcopali di Venezia. Ma
soprattutto mi divorai gli Atti della Visita Apostolica del 1581 a
Venezia […] e concepii il proposito di pubblicarla» (2 gennaio ’58).
Pagina dopo pagina troviamo la riconferma
di come per Roncalli siano soprattutto «l’humilitas e la
pastoralis sollicitudo
» a fare la «gloria» del vescovo (4 novembre ’53), che nel suo caso
preferisce sempre la mitezza alla «virga ferrea», al «frustino» (12
gennaio e 18 giugno ’56). E questo anche nelle relazioni con il suo
clero dove in qualche caso annota «qualche tribolazione », scrivendo
di «buoni preti: buoni sì: ma preoccupati della propria volontà e del
proprio comodo. Non c’è che la mitezza che vale con loro » (12
novembre ’56).
Parecchie sottolineature guadagnano da queste agende la sensibilità roncalliana
nella valorizzazione delle tradizioni delle chiese, dei santi
veneziani, in particolare Lorenzo Giustiniani, nome legato alla
lezione veneziana più alta: la lettera pastorale nel V centenario
della morte del protopatriarca, per «segnalare ed avviare un buon
movimento per lo studio e la lettura della Bibbia» (22 febbraio ’56).
Ma, tra appunti (e disappunti), c’è spazio anche per altro. Come la
politica. Con il patriarca unico fra i vescovi italiani a commemorare
il XXV dei Patti Lateranensi con l’accenno esplicito a Mussolini
(«L’uomo della Provvidenza, o meglio che la Provvidenza mise
all’incontro del S.P. Pio XI»). O il patriarca di Venezia «hospitalis
et benignus», che nel ’57 indirizza l’attenzione dei suoi diocesani
verso il XXXII congresso del Psi ospitato in città; che alcune volte
spiega l’adesione di tanti al comunismo come frutto di «inganno»,
«ignoranza», o «reazione alla miseria». Mai disposto a cedere su
«dottrina e disciplina» (anche nel dibattito su aperture e
aperturisti come Wladimiro Dorigo), ma sempre capace di distinguere
«sostanza e metodo:
in omnibus charitas
»