(Avvenire) Perchè il dramma sia evitato

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L’AMARA
ILLUSIONE DELLA PILLOLA
RU486

Quell’aborto invisibile più duro del chirurgico

MICHELE ARAMINI
Si dice che la pillola Ru486 provochi l’aborto ‘invisibile’. Forse è per
questo motivo che oggi appare così tanto desiderata. Lo è dai medici
che praticano l’aborto, i quali così sperano di non dover più mettere
le mani sul feto: per
quanto possano mostrarsi disponibili a sopprimere una vita umana, si
tratta di un evento non certo tra i più piacevoli neppure per coloro
che sono abituati a praticarlo. Forse la pillola abortiva è desiderata
anche da chi pensa che un intervento chirurgico non sia un fatto di
poco conto – fisicamente, psicologicamente e moralmente – ed è indotto
a credere che una pillola sia più sopportabile. Certo chi invoca la
Ru486 spera di ridurre l’aborto a qualcosa di impalpabile, un evento
possibilmente indolore e dalla durata minima. Con la stessa motivazione
si vorrebbe far usare la pillola abortiva non in ospedale, come
richiederebbe la legge 194, ma in privato, a casa propria, seppure
sotto un generico controllo medico. Questo è il punto. L’aborto
invisibile cui si vuole giungere è anche un aborto completamente
privatizzato, che sfuggirebbe a quei sia pur minimi controlli previsti
dalla legge, con immaginabili ricadute tra le più giovani.

Sarebbe uno degli esiti estremi del più generale fenomeno della
‘privatizzazione della coscienza’ per il quale ciascuno si può regolare
come crede, senza dover rendere conto ad altri delle proprie scelte.
Non è possibile però considerare l’aborto come fatto puramente privato:
la vita umana non è un oggetto in balia della volontà di chiunque.

Per lo stesso motivo l’interruzione di gravidanza va lasciata sotto la
vigile attenzione della coscienza sociale e dentro i confini della
legge. Se è vero che l’aborto è un dramma – come oggi tutti ormai
riconoscono – occorre mantenere viva la coscienza del suo valore
negativo. È soltanto su questa base condivisa che si può sviluppare un
forte impegno di prevenzione e di sostegno alle donne in difficoltà,
custodendo la sensibilità morale per attuare anche le parti dimenticate
della 194. Diversamente è lecito credere che per alcuni parlare
dell’aborto come tragedia da evitare sia solo un modo per coprire un
preteso diritto che si sa di non poter onestamente rivendicare.
La
speranza che la Ru486 provochi un aborto ‘invisibile’ non è neppure
realistica. L’assunzione delle due diverse pillole previste dalla
procedura dell’aborto farmacologico (uccisiva del feto la prima, la
Ru486 vera e propria; solo espulsiva la seconda) comporta che la donna
sopporti un travaglio di almeno 3-4 giorni e che in molti casi veda
personalmente il feto espulso. Non è quindi difficile immaginare che
l’aborto chimico segni più profondamente la donna di quanto faccia
l’aborto praticato chirurgicamente. Non si comprende dunque
l’insistenza e la fretta con cui si vuole introdurre anche in Italia
questa nuova modalità di interruzione precoce della gravidanza, a meno
che non si operi per rendere disponibile un prodotto con un evidente
significato di normalizzazione e persino di banalizzazione di un atto
comunque drammatico. È proprio questo tentativo che va scoperto e
denunciato. Alcune voci nel recente dibattito sull’aborto affermano che
la legge di uno Stato laico debba comunque essere – come si dice – «pro
choice», cioè a favore della libera scelta. Ma le stesse voci
sostengono poi che la politica deve essere necessariamente «pro life»,
proprio per il valore fondamentale della vita e della sua funzione per
la società. In sostanza costoro ritengono che sia necessario mantenere
la legge 194 e che insieme occorra operare per l’attuazione di misure
di prevenzione dell’aborto e in generale a favore della vita. È
necessario ora che anche da questo fronte si lavori per porre un freno
a tutti i tentativi di ridurre l’aborto a un fatto talmente ordinario e
privato da far credere di poterlo gestire in una sorta di ‘fai da te’
tragicamente solitario.

Avvenire 6-3-2008