(Avvenire) L’internazionale del terrore islamico

  • Categoria dell'articolo:Notizie

Sharing is caring!

“Avvenire”, 19.10.02

IL FATTO

La proliferazione dei movimenti radicali è avvenuta molti anni prima
dell’apparizione sulla scena di Benladen I «padri» sono Banna, che nel 1928
diede vita in Egitto ai Fratelli musulmani, e Maududi, che ha operato dal
’41 nel subcontinente indiano

Il punto di svolta è stato la guerra in Afghanistan contro i sovietici: i
mujaheddin hanno esportato la lotta creando i presupposti della “rete” in
cui adesso opera il gruppo dello sceicco saudita

Di Camille Eid

Una tela di ragno. La proliferazione dei movimenti radicali islamici è
avvenuta molti anni prima dell’apparizione sulla scena politico-militare del
fenomeno Ossama Benladen. Il fondamentalismo islamico moderno ha infatti
altri «padri fondatori». Si tratta di Hassan al-Banna, ideatore nel 1928 in
Egitto dei Fratelli musulmani, e di Abu al-A’la al-Maududi, fondatore nel
1941 della Jamaat-e-Islami nel subcontinente indiano. I due movimenti
introducono una rottura con l’islam tradizionale degli ulema, proponendo un
islam militante più affine all’ideologia politica. Banna e Maududi
accusavano gli Stati islamici contemporanei di non avere più nulla di
islamico per aver abbandonato i principi del Corano a vantaggio dei sistemi
«occidentali». La soluzione, per loro, risiede in un ritorno alle radici, ai
fondamenti, individuati nel modello creato in Arabia da Maometto e dai suoi
primi successori. I movimenti «fondamentalisti» diventano, negli a nni
Settanta, la principale forza di contestazione nel Medio Oriente.
Approfittano, infatti, dell’usura delle ideologie nazionale o socialista dei
vari regimi: il nasserismo in Egitto, il Fln in Algeria, il kemalismo in
Turchia, tutti Paesi di tradizione sunnita. L’irruzione del fondamentalismo
sulla scena mondiale avverrà, tuttavia, in ambiente sciita, con il trionfo
nel 1979 della rivoluzione di Khomeini in Iran. Fra tutte le minoranze
sciite del mondo, dall’Iraq al Libano e al Pakistan, nascono movimenti
radicali che si ispirano al modello degli ayatollah. Nel mondo sunnita, la
radicalizzazione si fa strada grazie al pensiero politico di un altro
egiziano, Sayyed Qutb, condannato a morte da Nasser nel 1966. Qutb deplorava
ogni tentativo di compromesso con il potere L’obiettivo principale diventa,
non più l’«islamizzazione dal basso delle società», come proponevano Banna e
Maududi, bensì l’elimina zione dei regimi «infedeli» e la lotta armata. I
nuovi gruppi lanciano l’anatema (takfir, in arabo) contro ogni musulmano che
non la pensa come loro. In tutti gli Stati islamici si verifica una
polarizzazione tra i gruppi radicali, che passano all’azione armata e al
terrorismo (sono quelli indicati sulla cartina), e i movimenti moderati. Ma
bisogna aspettare la guerra in Afghanistan per assistere al salto di qualità
operato da Benladen. È infatti allo sceicco saudita che si deve la
trasformazione del fenomeno radicale in una vera sfida. Il ritorno nei
propri Paesi dei mujaheddin, i volontari della Jihad affluiti in Afghanistan
per combattere contro i sovietici, ha seminato l’idea radicale un po’
ovunque. I mujaheddin si ritroveranno, da lì a pochi anni, inglobati o in
stretto legame con la rete dello sceicco. La militanza islamica smette così
di essere compiuta in nome di una specifica causa «nazionale». La jihad in
Palestina, in Cecenia, nel Kashmir o nelle Filippine diventano i tanti volti
di un’unica lotta di tutta la Umma (nazione) islamica. Le azioni di questi
gruppi sono eseguite in nome di un insieme di rivendicazioni: l’uscita delle
truppe americane dall’Arabia Saudita, il ritiro indiano dal Kashmir,
l’instaurazione di un regime islamico ad Algeri, la fine dell’embargo contro
l’Iraq, la creazione di una Repubblica islamica nel Caucaso…