(Avvenire) Le Chiese equiparate alle logge massoniche

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Avvenire 25-5-2003


Carta Ue, un affiancamento da correggere


Scherzi costituenti Chiese, non logge



Vittorio Morero


La proposta di nuova costituzione europea sarà ufficialmente resa nota mercoledì prossimo, ma già da tempo la formulazione di questo testo sta interessando, come ovvio, partiti e governi, come pure gruppi e istituzioni che afferiscono alla dimensione culturale del continente. L’interesse consiste nell’attendere, da parte della Convenzione, un riconoscimento di valore civile e pubblico a forme associative che effettivamente dinamizzano la nostra società.

Ma c’è, almeno teorico, il rischio che nascano qui confusioni del tutto improduttive, poiché le esperienze “associative” non sono per forza equipollenti né ugualmente equiparabili: per forma storica, per valenza strutturale, per dimensioni e affidabilità sociale. Sembra cioè oltremodo illogico, argomentativamente debole, se non addirittura sospetto, arrivare a mettere sullo stesso piano – come fa la bozza finora conosciuta all’art.37, par.3 – Chiese e organizzazioni filosofiche. Le differenze fra queste ultime e le comunità religiose storicamente note sono addirittura macroscopiche, a cominciare dalla loro storia, al contenuto materiale, alla visibilità e persino nell’aspetto più evidente della pubblicità. Infatti molte di queste organizzazioni filosofiche – penso alla massoneria – sono pubblicamente deboli, in particolare per quella prassi della segretezza che continua a persistere nonostante gli sporadici tentativi di venire allo scoperto, circoscritti pur sempre solo ad alcune espressioni di vitalità. Sovente la “riflessione” filosofica corre su questo versante per spazi generici e fumosi. E ha finito per destare qua e là interrogativi sul fronte della trasparenza, e dunque di una verificabile affidabilità civile.
Gli stessi massoni più accorti e moderni negano in questo momento ai loro sodalizi la pretesa di essere sostitutivi o alternativi ad una fede religiosa ed ecclesiale. E ci sono riviste di settore che amano aprire oggi per i loro adepti la possibilità di praticare una vita religiosa diversa da quella f ilosofica. Il che, dopo secoli di esperienze sul piano delle libertà personali, già induce a qualche cautela. Insomma, esistono almeno due tipi di associazioni filosofiche: il primo riconosciuto nelle scuole e coincidente con i laboratori del pensiero (senza dubbio la convenzione dedicherà un congruo spazio alla pubblica istruzione e alle accademie), e l’altro che si identifica con una struttura para-ideologica ed è legata a iniziazioni filosofiche particolari. Ma tutto questo non può reggere una collocazione accanto alle Chiese che sono fornite di identità precise, di modi di essere concreti e visibili comunitariamente. L’equiparazione fra Chiese e associazioni filosofiche è cioè un’evidente forzatura. Un’operazione sommaria, che da una parte non può rafforzare per surroga alcuna “scuola” filosofica, mentre rischia di indebolire le identità religiose che hanno uno specifico inimitabile e niente affatto riducibile ad un semplice pensiero o arte. Specifico delle Chiese non è semplicemente un plus-valore che si aggiunge, ma è l’essenza stessa della fede che non riconosce né ha alternative se non nelle Chiese stesse.
Può anche darsi che i propugnatori di questo passaggio della bozza abbiano inteso in qualche modo difendere così la propria fama laica senza correre il rischio di esclusioni o discriminazioni. Questo può essere comprensibile, specie in una bozza che voglia ammettere un pluralismo culturale robusto e articolato. Ma affermare tale pluralismo non significa legittimare trasformismi nominalistici. Né può voler dire avallare positivamente operazioni parassitarie di livellamento o auto-promozione. C’é un credito che viene dai secoli, cioé dai giorni e dalle opere, ed è riscontrato su ampia scala dai cittadini. Una Chiesa è anche cultura ma è più di una cultura. Soprattutto non è una filosofia.
A ragione, dunque, nella sua conferenza stampa di venerdì il cardinal Ruini invitava ad una formulazione più accorta dell’art. 37 che tenga distinte le Chiese e le comun ità religiose soprattutto nel rapporto con la comunità civile, evitando di collocarle accanto a generiche organizzazioni filosofiche che altro sono nella storia dell’Europa come nell’esperienza dell’umanità. Se questa indistinta segnalazione fosse confermata c’è da chiedersi se un simile riconoscimento sia davvero utile alle Chiese.