Interessa solo ribadire l’impresentabilità della fede
Le trombe di Scalfari e Rodotà «Tranquilli, tutto a posto»
Niente di veramente nuovo, anche se colpisce l’impudenza delle argomentazioni
Il dibat-tito sull’at-tenzione rivolta da alcune personalità laiche rispetto ai temi del rapporto tra fede religiosa e politica, enfatizzato dalle analisi sull’imprevisto (per i più) risultato delle elezioni presidenziali Usa, sta disturbando l’olimpica sufficienza con la quale “altri” laici hanno sin qui trattato le questioni religiose. Ed è per questo, probabilmente, che negli ultimi giorni si è intensificato un cannoneggiamento volto rassicurare i circoli del progressismo intellettuale e radicale, come a dire: tranquilli, non è accaduto nulla di nobile, nulla di efficace, nulla in grado di metterci in seria difficoltà. Piuttosto, stiano attenti i cattolici e i loro consentanei laici: il loro destino di insignificanza non è cambiato. Una polemica che vede adesso scendere in campo figure del peso di Eugenio Scalfari o Stefano Rodotà, i quali hanno fatto ricorso a toni e a ragionamenti che, proponendosi nelle forme dell’aruspicina, in realtà non fanno che riesumare un armamentario culturale fortemente datato e inattuale. Due interventi diversi, accomunati, però dalla medesima pretesa circa l’impresentabilità dell’istanza religiosa rispetto ai temi e ai problemi della ispida modernità. Niente di veramente nuovo in fondo nel loro discettare, anche se colpisce l’impudenza delle argomentazioni, la disinvoltura logica e la noncuranza, in qualche passo, del principio di non contraddizione. Al punto da apparire, più che preoccupati di giustificare le proprie scelte, a menar concetti che spingano all’angolo i cattolici. I quali dovrebbero, rispetto al loro destino di patetici perdenti, vergognarsi perché – afferma Rodotà – essi, «prigionieri dei timori», propongono «una sorta di alleanza tra natura e religione, identificata quest’ultima come presidio di leggi naturali che la volontà di potenza dell’uomo mai dovrebbe violare». «Credenze religiose», le definisce con sufficienza Scalfari: secondo lui, infatti, i cattolici non avrebbero dato vita ad alcuna cultura. La fede, co sì egli ha scritto trascurando ogni evidenza del racconto evangelico e le storie dei martiri, sarebbe stata «semplice culto»; mentre tutti sanno il contrario e cioè che è stato proprio grazie al cristianesimo, che si è potuto affermare nel mondo pagano classico il primato della coscienza, e quindi il fondamento primo della libertà e della responsabilità. Quella libertà che per il fondatore della Repubblica, sarebbe protetta «dall’antemurale della ragione», contro un «cristianesimo crociato» sul cui dorso «le ideologie tornano prepotentemente in campo». Ciò che colpisce oltre alla virulenza di un linguaggio intollerante (e per ciò stesso offensivo), è la distanza che separa queste posizioni dalla realtà che la gente ogni giorno sperimenta, e che la spinge, anche quando non è pienamente coinvolta in un discorso di fede, ad apprezzare quell’umanesimo cristiano che ha nominato l’individuo “persona” (termine quest’ultimo che in oltre duemila parole Scalfari non riesce a trovare, dimostrando così di ignorare il pensiero cattolico e non solo quello, del XX secolo). Non più, dunque, soggetto solitario, ma in relazione con gli uomini e protagonista della storia in dialogo con le altre culture. Coraggioso nella misura in cui non accetta la riduzione della fede al solo ambito individuale, ma trae da essa le motivazioni per cambiare la società e il mondo. E probabilmente è proprio questa volontà di rappresentazione coerente dei valori in cui il cattolico crede, il “torto” che gli viene rinfacciato spregiativamente come fondamentalismo e ideologia; mentre, invece, è vero il loro esatto contrario: l’ancoraggio ad una piattaforma culturale ampiamente condivisa e non certo solo da oggi. Ed è anche qui, e non solo nella superbia intellettuale dei suoi santoni, che ha origine il disorientamento di un laicismo che non dialoga più, ma ha scelto di intimidire con la violenza delle parole. Al seggio elettorale, però, ciascuno di loro vota per uno. Non di più. Di qui, forse, certa stizza .
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Dopo la vittoria di Bush e vari «casi» in Europa, torna lo scontro con i cattolici. Parlano i filosofi Antiseri, Botturi e Possenti
E i «laici» rialzano il muro
Di Roberto Beretta
Il Crocifisso, la fecondazione assistita, le radici cristiane nella Costituzione europea. Il caso Buttiglione, la legge contro il chador in Francia, la vittoria di Bush grazie all’appoggio delle lobbies cristiane…
Credevamo di aver saltato decenni e infine secoli di steccati tra «laici» e «cattolici» – il Tevere più o meno largo, la questione romana e via risorgimentando – ed eccoci qui a citare le stesse cose di sempre («Non possiamo non dirci cristiani» piuttosto che il «Date a Cesare quel che è di Cesare»). E a litigare. I cattolici, con qualche laico di peso, che recriminano sugli «attacchi del laicismo», a causa dei quali sarebbero relegati in un ghetto, senza più forza politica; i liberi pensatori a denunciare all’opposto e addirittura «l’offensiva religiosa nel laico Occidente»: come ha titolato La Repubblica di ieri.
Tre-editoriali-tre in due giorni, sui massimi quotidiani della Penisola ed a firma di autorevoli opinionisti, fanno pur bordata. Primo Piero Ostellino, il quale sul Corriere ritiene che Bush «ha portato la religione all’interno dello Stato» appellandosi «al radicalismo dei valori delle comunità evangeliche e cattoliche», facendo però della Chiesa un instrumentum regni. Quindi Stefano Rodotà sul quotidiano gemello e rivale: «Né l’Europa nuova, né un mondo più umano, possono nascere da una regressione culturale», quella che – per il Garante della privacy risulta evidente – «si aggrappa al passato, ritrovando nella tradizione religiosa l’unico fondamento». Mentre Eugenio Scalfari, nella sua «omelia laica» della domenica, commenta la vittoria di Bush evocando le schiere dei teo-con contrapposte a due avversari insieme: l’Impero del Male e il terrorismo internazionale, ma poi anche «il liberalismo laico dell’Occidente moderno».
Scalfari e Benladen hanno dunque lo stesso nemico?! E Bush ci salverà da entrambi? «Magari fosse – ride aperto il filosofo Dario Antiseri, docente alla Luiss -: schiacciati tra massoni e progressisti, i cattolici non hanno quasi più rappresentanza oggi in Italia. Basti pensare al problema dell’aborto, o a quello del buono-scuola». Beh, a dire il vero, anche durante i governi Dc non è che avessimo la maggioranza sull’aborto… «Perché il mondo cattolico non ha mai avuto un’egemonia culturale. Questo vale più ampiamente per l’affaire della Costituzione europea. L’idea d’inviolabilità di ogni persona umana è entrata nella storia europea col Dio della Bibbia e del cristianesimo. E con il “date a Cesare” la Chiesa ha relativizzato il potere politico, gli ha strappato di dosso assolutezza e onnipotenza. Quindi il cristianesimo, pur tra compromessi e collusioni, ha salvato l’Europa dalla peste della teocrazia, che infetta altri mondi culturali con cui abbiamo ora a che fare».
Beh, questo lo ammette anche Scalfari, per il quale «la compresenza» di Chiese e Stato nella storia d’Europa ha impedito «alle prime di scivolare nella teocrazia e ai secondi di tracimare dall’assolutismo regio al totalitarismo, approdando infine alla democrazia». E cita i molti valori che si possono difendere anche senza avere la fede… «Sì. Ma allora perché condannare chi accoglie tali ideali in base a un credo? Magari ci fosse un partito per difendere i valori!».
Dunque è vero che i cristiani sono sotto assedio? Risponde un altro filosofo, Francesco Botturi della Cattolica: «Il caso Buttiglione è stato legittimamente interpretato come il segnale del trasferirsi a livello istituzionale di un’avversità ideologica; una forzatura delle procedure per contrastare una candidatura cattolica qualificata. Se lo mettiamo insieme al preambolo al Trattato europeo; alla legge francese sui simboli religiosi; all’accusa d’interferenza religiosa sulla fecondazione: beh, è evidente che è in atto una sorta di neutralizzazione anti-cattolica. Per essere politicamente corretti, cioè, bisogna c ancellare l’identità. Un clima preoccupante, dove è in gioco la libertà non soltanto dei credenti».
Però la dialettica col potere civile ha fatto il bene anche della Chiesa – si sostiene di nuovo da parte laica -, liberandola dalle «bende del dogma» di fronte alla modernità; il problema semmai è come applicarla oggi. Botturi riparte: «Le garanzie formali per una convivenza tra Stato e Chiesa esistono. Però resta un’insidia: se prende piede l’idea che laicità coincida con neutralità, e quindi assenza d’identità qualificata, si crea una deriva pericolosa. Anche perché sappiamo che la neutralità non esiste, e dietro tale definizione tende a imporsi il criterio etico prevalente». Che cosa pretendere dai laici, allora? «Oggi balza in primo piano il versante culturale della politica: le grandi questioni ormai (vita, sessualità, educazione, famiglia…) sono temi morali. Quindi si delinea un confronto sempre più duro tra le parti, perché è in gioco l’interpretazione dell’uomo nel mondo occidentale. E il cattolico tende a finire sotto accusa perché non si conforma alla maggioranza. Non c’è da spaventarsi, però bisogna chiedere che le istituzioni garantiscano il confronto tra antropologie che in radice restano inconciliabili».
Anche per Vittorio Possenti, filosofo a Venezia, «forse fino a qualche mese fa si poteva pensare a un fatto estemporaneo, ma ora vari segnali (a partire dall’accanita opposizione all’inserimento del cristianesimo nella Costituzione Ue) sembrano indicare che tra laici e cattolici c’è un nodo non risolto. Si tratta di un’ostilità di principio alla luce di un’idea profondamente anarchica della libertà, per cui la legge deve consentire praticamente tutto all’individuo adulto e consenziente. Qui emerge ciò che andrà riscaldando gli animi nel futuro, cioè il rapporto ambiguo tra etica e diritto pubblico, tra i quali alcuni opinionisti tendono a scavare un fossato invalicabile».
Dobbiamo dunque tendere a costituire lobbies confession ali alla Bush? «Penso di no. Le lobbies servono per periodi brevi e obiettivi limitati. Ma il compito dei cattolici è l’universalità: cioè mostrare che i valori cui teniamo sono di tutti. Dunque creare le più vaste alleanze, con un lavoro culturale, politico e comunicativo a lunga gittata. E a mio parere qualcosa già si muove nell’area liberale moderata, prima che si proclami la morte di ogni diritto pubblico e si giunga all’assoluto relativismo morale».
Avvenire 9-11-2004