“Avvenire” 23/01/03
IL FATTO
A cinque anni dalla storica visita di Giovanni Paolo II nell’isola di Fidel
Castro, il cardinale Ortega, arcivescovo dell’Avana, traccia un bilancio E
denuncia la «lotta sorda» condotta dalle autorità contro l’estendersi
dell’influenza sociale della Chiesa
«Si è avviato un processo di ritorno all’ideologia che via via è divenuto
sempre più insistente, con una propaganda vecchio stile»
Dal Nostro Inviato All’Avana Luigi Geninazzi
Fu come se l’orologio della storia riprendesse a camminare. Nell’isola dove
il tempo sembrava essersi fermato sbarcava un uomo che né l’età né la
malattia riuscivano a tener fermo. Esattamente cinque anni fa, nel gennaio
del 1998, Giovanni Paolo II compiva una storica visita a Cuba, accolto con
tutti gli onori da Fidel Castro. Attenzione, ci disse allora il cardinale
Jaime Lucas Ortega, arcivescovo dell’Avana, questo viaggio è un traguardo
che inseguiamo da tempo ma è anche un punto di partenza. Forse neppure lui
s’immaginava che il percorso sarebbe stato tutto in salita. La rivoluzione
castrista gira su se stessa, si muove freneticamente ma non va da nessuna
parte. Il cardinale Ortega, 66 anni, non si perde d’animo. E in
quest’intervista ci racconta quella che definisce la «sorda lotta» del
potere contro la Chiesa.
Eminenza, a cinque anni dalla visita del Papa è cambiato qualcosa a Cuba?
La nostra Chiesa è uscita dal silenzio: la presenza di Giovanni Paolo II
l’ha fatt a conoscere non solo al mondo ma anche al popolo cubano. Tanta
gente ha scoperto o riscoperto la fede come una realtà viva e tutti hanno
vissuto quei giorni come l’occasione per manifestare con grande gioia e
libertà i propri sentimenti più profondi. Tutto questo ha lasciato il segno.
Se invece guardiamo alle relazioni tra Stato e Chiesa nulla è cambiato:
sopra di noi c’è sempre l’ufficio per gli affari religiosi che risponde al
Comitato centrale del partito comunista ed esercita la sua attività di
controllo sia a livello nazionale che locale. È un fatto: a Cuba la Chiesa
continua ad essere molto limitata e spesso ignorata dalle autorità.
Certe limitazioni però sono venute meno, a cominciare dal Natale che è stato
riconosciuto come giorno festivo…
Sì, questo per fortuna rimane. Ma poi, quasi come reazione al vento nuovo
portato dal Santo Padre, si è avviato un processo di ritorno all’ideologia
che via via è divenuto sempre più insistente, con una propaganda vecchio st
ile che sem brava superata.
Intende dire che si è scatenata una campagna anti-religiosa?
No, la Chiesa non viene attaccata. Non direttamente. Ma se si torna ad
un’idea di rivoluzione cui bisogna dare l’anima e sacrificare tutto è
evidente che il cristiano si trova in conflitto con questa concezione
totalizzante. Ne deriva una lotta sorda contro la Chiesa, considerata come
un’entità privata, un fatto marginale, che può comunque sottrarre forze ed
energie alla rivoluzione. In questo senso è guardata sempre con una certa
diffidenza.
Che il mondo si apra a Cuba e Cuba si apra al mondo, fu la famosa
invocazione del Papa. Si è realizzato qualcosa del genere?
Subito dopo la visita del Papa molti capi di Stato sono venuti all’Avana ed
alcuni Paesi hanno riaperto le relazioni diplomatiche con Cuba. Era logico
aspettarsi che anche Cuba s’aprisse al mondo. Si è allargato un poco
l’orizzonte commerciale ma non credo che il Papa si riferisse a questo.
Indicava piuttosto la neces sità di spalancarsi al mondo occidentale, alla
civilizzazione cristiana cui apparteniamo. Cuba doveva prima di tutto
aprirsi al suo interno, ad un dialogo con la società, come venne richiesto
apertamente dalla Conferenza episcopale cubana.
E invece?
Invece c’è stato un ripiegamento, si sono fatti passi indietro. Anche nel
campo dell’economia. Il piccolo commercio e le attività individuali o
familiari che erano state permesse negli anni precedenti vengono
sovraccaricate da una tassazione più pesante e sono spinte verso
l’illegalità. E continua la fuga dal Paese con ogni mezzo possibile.
Ha avuto modo di parlare di tutti questi problemi con Fidel Castro?
Dopo la visita del Papa ho incontrato il presidente una sola volta, nel
2001. Gli ho sottoposto delle questioni molto concrete, come il sostegno
alle nostre opere caritative e l’ingresso del personale religioso straniero
per le attività pastorali. C’è stato un notevole incremento all’indomani
della visita del Santo Padre ma in q uesti ultimi tre-quattro anni il numero
è rimasto sostanzialmente invariato.
Lei più volte ha richiamato il diritto-dovere della Chiesa ad educare. A che
punto siamo?
Ad un punto morto. La Chiesa non può accedere all’insegnamento che è
considerato compito esclusivo dello Stato. Le autorità non ne vogliono
sentir parlare. Lo stesso accade per i mezzi d’informazione: non abbiamo
accesso ai mass-media, se non in rare occasioni di carattere celebrativo, ad
esempio per la festa del Natale. E non esiste informazione sull’attività
della Chiesa, ad eccezione di qualche breve notizia che riguarda il Papa. A
Cuba è come se la Chiesa non esistesse.
Le speranze di cinque anni fa sono dunque andate deluse?
Io non ho questo sentimento. La visita del Papa ha toccato il cuore dei
cubani ed ha rotto quel manto d’oscurità che per tanti anni ha circondato la
Chiesa. Forse sono rimasti delusi coloro che s’attendevano grandi
cambiamenti a livello socio-politico. Io personalm ente non ho mai nutrito
simili aspettative.
Qualcosa però si sta muovendo anche a questo livello: per iniziativa di
alcuni cattolici è nato il Progetto Varela che mira ad un referendum
popolare per avviare una transizione democratica. Che giudizio ne dà?
Il suo leader è un cattolico convinto che vive con fedeltà l’appartenenza
alla Chiesa. Mi sono felicitato con lui quando a dicembre il Parlamento
europeo l’ha insignito del premio Sacharov perché ha sempre dimostrato di
esercitare la libertà di coscienza pur in mezzo a tante difficoltà. Non
propone metodi violenti, non predica l’odio. Questo però non significa che
la Chiesa appoggia il suo movimento piuttosto che un altro. Ci sono diversi
gruppi d’opposizione oggi a Cuba e non è compito della Chiesa dare
indicazioni politiche.