Lieve flessione del numero medio di figli per donna, dall’1,35 del 2006 all’1,34 dello scorso anno Un po’ meglio rispetto all’1,19 del ’95, ma ancora lontano dal minimo demografico del 2,1%
Matrimonio, i numeri della crisi
Nozze ancora in calo. Nelle regioni del Nordest i dati più allarmanti
DA ROMA PIER LUIGI FORNARI I n calo il numero dei matrimoni in Italia nel 2007 secondo le stime anticipatorie elaborate dall’Istat per tutto quell’anno. Sarebbero stati 242mila contro i 270mila di cinque anni prima. Il tasso di nuzialità scende così dal 4,6 per mille al 4,1. In un periodo che ha registrato un incremento della fecondità (0,1 punti percentuali) aumenta anche il numero dei figli nati fuori del matrimonio, che secondo il dato 2006 rappresentano 18,6% del totale rispetto al 12,3% del 2002. Nel medesimo periodo le nascite ‘legittime’ scendono dall’87,7% all’81,4%.
Da questi dati l’Istat desume un aumento delle convivenze.
Le dimensioni del fenomeno delle nascite fuori dal matrimonio, però, sono ancora molto contenute rispetto ad altri Paesi europei (in Francia e Svezia, ad esempio, superano il 50%, nel Regno Unito il 44%).
L’andamento dei matrimoni, poi, è molto diversificato passando dal Nord al Mezzogiorno, dove la nuzialità è più alta e la percentuale di nascite fuori del matrimonio è nettamente inferiore. Delle regioni del Centro-nord, solo nel Lazio la nuzialità (4,2) è un gradino sopra la media, mentre i valori minimi si rilevano nel Nordest. Al Sud, in sostanza, il matrimonio è ancora un vincolo importante per avere dei figli.
L’apertura alla vita resta praticamente immutata nel 2007. Il numero medio di figli per donna è stimato a 1,34 contro 1,35 del 2006. Un livello ben lontano da quello che garantisce la stabilità della popolazione (2,1 figli), ma comunque superiore all’1,19 del 1995, anno di minimo storico italiano. Comunque siamo sempre agli ultimi posti in Europa, sotto la media Ue (1,51 figli), e soprattutto molto lontano da Francia (1,98), Irlanda (1,93) e Svezia (1,85). La fecondità italiana è, invece, più o meno uguale a quella tedesca (1,34), spagnola (1,36) e portoghese (1,36). Tra le meno feconde le piccole regioni del Mezzogiorno, Molise e Basilicata (1,12 entrambe), e la Sardegna (1,06).
La popolazione continua ad invecchiare in quanto si è ancora allungata la stima della speranza di vita alla nascita pari a 78,6 anni per gli uomini, e a 84,1 per le donne. Ma l’effetto combinato con la bassa fecondità porta l’Italia ad essere uno dei Paesi più vecchi in Europa. Possiede infatti, insieme alla Germania (20% contro il 17% della media Ue), il primato di ultrasessantaquattrenni sul totale e quello, in negativo (14% contro il 16% della media Ue), di bambini fino a 14 anni, insieme a Germania e Grecia. Anche il peso degli over 65 sulla popolazione in età attiva è da record, pari al 30% (24% nel 1997) contro una media europea del 25%.
Nonostante la bassa fecondità, il consistente flusso di immigrati produce quasi da solo una crescita totale della popolazione residente sul territorio nazionale che supera i 59 milioni e mezzo di abitanti, con un incremento di 395mila unità, pari a 6,7 per mille abitanti. Questo totale risulta dal 6,6 per mille del saldo migratorio e dallo 0,1 di quello naturale.
Anche nel 2007 è infatti molto sostenuta la dinamica migratoria, sfiorando quota 390mila, per un tasso migratorio pari a 6,6 per mille. Ma dall’apporto delle tre voci che la compongono emerge ancora una volta la preponderanza dell’afflusso degli stranieri nel nostro Paese. Il tasso migratorio con l’estero infatti è del 6,6 per mille, il tasso migratorio per altri motivi dello 0,1, e quello interno del -0,1. Nello scorso anno il tasso migratorio con l’estero è risultato il più elevato negli ultimi quattro anni (rispettivamente 6,5, 4,4 e 3,7 per mille nel triennio 2004-2006). Questo risultato si determina considerando che a una stima di 64 mila cancellazioni per l’estero se ne contrappone una di ben 454 mila iscrizioni. La portata considerevole delle iscrizioni è dovuta, presumibilmente, all’effetto dei due decreti 2006 (Dpcm 15 febbraio e 25 ottobre), che prevedevano 470 mila nuovi ingressi di lavoratori extracomunitari non stagionali, e dell’allargamento dell’Unione Europea a Romania e Bulgaria a partire dal 1° gennaio 2007. Ma anche la dinamica naturale (la differenza tra le nascite e i decessi) sulla base delle stime per il 2007 registrerebbe un attivo di circa 6mila 500 cittadini. Se la stima sarà confermata definitivamente, il 2007 costituirebbe il secondo anno consecutivo di crescita naturale (+2.118 nel 2006) dopo un periodo piuttosto prolungato, avviatosi dal 1992, durante il quale, tranne la parentesi eccezionale del 2004 i decessi avevano superare le nascite. Il dato provvisorio per le nascite si aggira intorno a 563mila, oltre 3 mila in più rispetto al 2006, con un tasso di natalità pari a 9,5 per mille. I decessi, invece, sarebbero stati circa 557mila, un migliaio in meno rispetto al 2006, con un tasso di mortalità del 9,4 per mille.
Crescono le nascite «naturali» Erano il 12,3% nel 2002 Sono diventate il 18,6 nell’ultima rilevazione In Francia e Svezia si arriva al 50%
«Quel ‘sì’ non arriva? È anche colpa nostra» «Quel ‘sì’ non arriva? È anche colpa nostra»
« G li affitti sono sempre più cari, il lavoro sempre più precario, le condizioni di vita sempre più difficili. D’accordo. Ma non bastano certo queste difficoltà a spiegare il fatto che il matrimonio appaia agli occhi dei giovani un approdo sempre meno interessante ». A Francesco Belletti, docente di sociologia e direttore del Cisf (Centro internazionale studi famiglia), le stime su matrimonio e fertilità diffuse ieri dall’Istat sui principali indicatori demografici 2007 appaiono la conferma di una tendenza in atto da tempo. «Una deriva allarmante che tutti dobbiamo impegnarci a contrastare con proposte efficaci e innovative».
Tutti in che senso? Contro chi puntare il dito se i matrimoni sono in calo e aumentano convivenze e figli naturali?
Innanzi contro noi stessi, noi genitori intendo. Le scelte educative sono fondamentali. Mi sembra che troppe famiglie non sostengano quel processo di responsabilizzazione dei giovani che è invece fondamentale per accompagnarli a scelte mature. E poi c’è da pensare alla testimonianza che offriamo loro quando ci mostriamo scontenti o tiepidi verso il nostro matrimonio. Se il nostro atteggiamento familiare non contrasta in modo palese con il clima culturale dominante, difficile pensare che i nostri figli possano pensare a scelte coraggiose.
Perché comunque il clima culturale pesa parecchio?
Certo, questa è tutta una società pensata per rendere le scelte definitive sempre meno popolari. Lo stile di vita dominante è quello che impone l’assenza di legami importanti, le cosiddette ‘mani libere’. Si punta ad escludere la dimensione della promessa e tanto più quella di un’alleanza che segni tutta l’esistenza. E quindi non ci si deve stupire se è sempre più difficile, dal punto di vista culturale, presentare il matrimonio come uno sbocco affascinante.
Delle difficoltà concrete, cioè costo della casa, lavoro precario, assenza di agevolazioni fiscali, non vogliamo parlare?
Sì, parliamone. Le politiche familiari sono fondamentali, a tutti i livelli. Se invece, come è stato finora, continuano ad essere pensate come interventi assistenziali generici non andremo troppo lontano. Vedremo adesso nei programmi elettorali quanto peserà il fattorefamiglia. Temo che non andremo oltre i soliti vaghi auspici.
Certo che questo rapporto così stretto tra diminuzione dei matrimoni e difficoltà economiche sembra difficilmente applicabile in alcune aree del Paese, come il Nordest, dove il tenore di vita è elevato e le stime Istat ci dicono che ci si sposa sempre di meno.
È vero. Non è detto che il benessere economico sia sempre di aiuto alla famiglia. Una certa mentalità mercantilistica non è in sintonia con la famiglia. Nei rapporti tra coniugi, tra genitori e figli, nulla si può acquistare e tutto è gratuito. In certe aree del nostro Paese invece il ruolo dell’economia è preponderante. E nella logica del mercato, dove tutto ha un prezzo, il mondo dei legami affettivi può rischiare di finire in secondo piano.
Difficile far capire in certi contesti che la famiglia è sempre anche capitale sociale?
Purtroppo sì. Che la famiglia sia bene comune è verità inconfutabile. Ed è altrettanto certo che questa risorsa si possa meglio mettere a frutto in una realtà solidale. Tra famiglia e società si deve creare insomma un circolo virtuoso che fa bene a tutti. I valori che contano si imparano in famiglia e poi si riversano all’esterno. Scuola, parrocchia, associazioni contano, certo. Ma se manca l’imput iniziale tra le pareti di casa tutto diventa più complesso.
E questo imput allora manca spesso se sono sempre più numerosi i giovani che fanno figli fuori dal matrimonio.
Vediamo. Da un lato mettere al mondo dei bambini si può interpretare come una voglia di far famiglia che comunque persiste. D’altro lato dobbiamo far capire a questi ragazzi che, si accetta la sfida della genitorialità, si può fare anche accettare quella dell’impegno matrimoniale. È importante per se stessi, per i figli e per la società.
Il legame fragile delle convivenze insomma non è positivo per nessuno.
Dobbiamo essere chiari. Alle famiglie spetta la responsabilità di testimoniare che i legami sono risorse, alla società e alla politica spetta distinguere quali sono le scelte che fanno la differenza, quali sono cioè i comportamenti responsabili, quelli che vanno promossi e quelli che invece vanno soltanto regolati, ma senza nessuna equiparazione. Il matrimonio è un legame forte, è una risorsa che s’allarga in modo esponenziale dalla famiglia alla società intera.
Eppure i dati sembrano ribadire che, per quanti sforzi si facciano, la strada è ancora difficile.
Sì, la sfida è di lungo periodo. Noi dobbiamo continuare a muoverci su più livelli, moltiplicando le offerte di formazione. In ogni diocesi si sta ragionando su come accompagnare sempre meglio i giovani. Incontri sull’affettività, gruppi di giovani sposi e tanto altro. Sono piccoli mattoni ma puntano a un grande obiettivo. Costruire una nuova cultura dei legami matrimoniali. Dobbiamo andare avanti.
Il sociologo Belletti: i genitori devono interrogarsi su come sono stati testimoni convincenti della vita matrimoniale agli occhi dei loro figli E poi pesano cultura e politiche familiari