Tutte le strade portano a Chiara
Folla di pellegrini italiani e stranieri per l’ultimo omaggio
DA
ROCCA
DI
PAPA (ROMA)
GIANNI SANTAMARIA
L’
andirivieni è continuo. Nel piazzale antistante il Centro
internazionale dei Focolarini a Rocca di Papa e nei corridoi della
palazzina, bassa e immersa nel verde, ci si incrocia, ci si saluta
tra vecchi amici. Ci si distende sull’erba del grande prato o si sosta
sulle panchine. Si parla in italiano, inglese, francese, spagnolo,
tedesco. Tante le famiglie con carrozzine e bimbi in braccio. Ormai
sono migliaia ad aver reso omaggio a Chiara Lubich. Molti salgono a
fatica la Via di Frascati – che costeggia la struttura del movimento
– un lato della quale è diventato un lungo serpente di auto
parcheggiate.
C’è chi di strada ne ha fatta parecchia. Erano già da qualche giorno a
Castel Gandolfo per partecipare all’incontro di «Famiglie nuove»
Barthelémy e Patricia, giovane coppia di Bangui, nella Repubblica
Centrafricana. «Questa è un’esperienza molto forte – dice lei –. Chiara
ci ha dato tutto il suo amore e ora noi siamo venuti a te-
stimoniarle il nostro». Sono giunte espressamente da Madrid e
Saragozza e stanno per riprendere il volo verso casa altre due
coppie, sulla cinquantina: Antonio e Pilar – con la figlia Anna,
ventunenne –, Martin e Maria Carmen. Sono impegnati nel ‘braccio
sociale’ del movimento, Umanità nuova. «Ci sentiamo spronati a
proseguire il nostro lavoro in tutti campi: con le famiglie, i
giovani, nell’ecumenismo, nel sociale e nella politica» – sottolinea
Pilar. «Per me – riprende il marito – è stato come venire da una madre.
Con lei ero in contatto epistolare, e ora il dialogo proseguirà
attraverso la preghiera. Inoltre, al di là del dolore, è bello
constatare che lei è diventata una figura universale ».
E che in Europa e nel mondo la personalità della laica trentina unisca
le diversità lo ha testimoniato le tante manifestazioni di cordoglio
giunte da rappresentanti delle grandi religioni e confessioni
cristiane. La giornata di ieri è stata disseminata di Messe celebrate
nell’auditorium del Centro. Di momenti di silenzio. E di passaggio nel
sotterraneo, per sostare brevemente davanti al corpo della fondatrice,
circondato dai fiori, con alle spalle un’icona di Maria e del Bambin
Gesù, dono di Giovanni Paolo II. Alcuni hanno visitato la cappelle del
centro che accoglierà i resti mortali della Lubich, dopo i funerali
solenni, che il cardinale Tarcisio Bertone presiederà martedì alle 15
nella Basilica di San Paolo fuori
le Mura, a Roma. È una stanzetta con dietro all’altare un mosaico con
Maria circondata dal rosso fuoco della Pentecoste. Sul muro opposto ad
aspettare Chiara c’è «Foco», cioè Igino Giordani, morto nel 1980. La
tomba di Chiara, che lo ha sempre ritenuto un co-fondatore del
movimento, è sopra la sua. Giordani è stato direttore
del settimanale «Città nuova», che per la morte della fondatrice esce
con un numero monografico di 130 pagine in ottantamila copie.
Anche dai luoghi più lontani dell’Italia, come la Sicilia, sono
giunti a centinaia i pellegrini di Chiara. Una di loro, Patrizia, 49
anni, palermitana, è arrivata poche ore dopo la morte e si è messa a
disposizione come volontaria. Nella vita è insegnante. «Ho lavorato a
Ballarò e Brancaccio. In un certo senso ho fatto protezione civile
pure io», dice scherzando a un signore che ‘protezione civile’ ce l’ha
scritto sul giubbotto e sta entrando nella camera ardente. È Guido
Bertolaso. Tra gli altri, hanno voluto salutare l’amica di tanti ann
il cardinale Claudio Hummes,
prefetto della Congregazione per il clero, il fondatore della Comunità
di Sant’Egidio Andrea Riccardi e – in rappresentanza dell’Azione
cattolica – i vicepresidenti del settore adulti Francesca Zabotti e
Franco Miano. È proseguito anche l’omaggio delle personalità
politiche. Dopo Rocco Buttiglione, Francesco D’Onofrio e Rosy Bindi,
che già erano venuti venerdì, ieri è stata la volta di Pier Ferdinando
Casini, Giuseppe Pisanu, Maria Burani Procaccini. Oggi è atteso Romano
Prodi, che con la moglie Flavia parteciperà anche alle esequie. Per le
quali sono annunciati, tra gli altri, Fausto Bertinotti e Francesco
Rutelli.
A Rocca di Papa, infine, c’è anche Salvatore Valente, ordinario di
pneumologia alla Cattolica, il medico che ha seguito la Lubich negli
ultimi giorni di vita: «Ha sopportato tutte le sofferenza con una
serenità e una partecipazione costruttiva veramente commovente. Tante
volte la sofferenza è un peso. Lei invece ha mantenuto uno sguardo
sereno che mi ha colpito moltissimo». La serenità
che ha trasmesso ai suoi.
La sua Trento «sorgente» mai dimenticata
DA
TRENTO
DIEGO ANDREATTA
« C
hi beve l’acqua pensa alla sorgente». Chiara Lubich amava citare questo
proverbio cinese prima di raccontare la nascita del Movimento dei
Focolari in una piccola città alpina e in un gruppo esiguo di ragazze:
«Piace al Signore – spiegava – deporre i suoi doni nel cuore di uomini
e donne semplici, poveri, fragili». Queste radici montanare volle
tenerle sempre vive, anche quando divenne cittadina del mondo. Non
perse quel genuino carattere dei veri trentini, un marchio doc
di cui era orgogliosa e che ancora si coglieva perfino nella cadenza
della voce o nella vaporosa chioma bianca, tipica di tante nonne
trentine. Perfino il termine focolare, in fondo, fa riferimento a
quell’intima dimensione protettiva della stua, la stube alpina.
La trentinità era molto di più di un
genius
loci,
era per lei l’ambiente che l’aveva formata nella famiglia «ricca dei
valori più veri», nella scuola, nel servizio ai giovani. «E il nostro
movimento non poteva che nascere a Trento» ebbe a dire un giorno, per
sottolineare le provvidenziali circostanze dalle quali scaturì la
scintilla della spiritualità di comunione.
«Erano i tempi di guerra…» s’intitola
anche l’ultimo suo libro sugli albori del Movimento. Le premeva
evidenziare e interpretare la tragica concretezza storica in cui nel
1943 s’accese in questa Trento, «terra benedetta », il suo carisma
come «un segno dei tempi»: la fuga nei rifugi al suono della sirena, la
lettura del Vangelo a lume di candela, la presenza di Gesù nelle
persone ferite, senza vestito, senza casa, affamate e assetate, la
dedizione a loro. Dalla scoperta dell’amore vicendevole fra le macerie
della Seconda Guerra Mondiale, ripercorsa efficacemente nel musical
del Gen Verde intitolato «Prime pagine», nasce la decisione della
consacrazione, il 7 dicembre 1943, prima pietra del nuovo edificio
spirituale. Una scelta di radicalità evangelica che Chiara aveva
maturato da studentessa sotto le volte romaniche dell’antica
Cattedrale di Trento – il suo posto era un panchetto in fondo alla
navata di destra – dove si ritirava a studiare filosofia e,
soprattutto, a pregare. Oppure nel convento vicino a piazza
Cappuccini, civico numero 2, sede del primissimo Focolare (oggi
fotografato da focolarini provenienti perfino dall’Asia), «dove c’è la
presenza di Gesù in mezzo», dove «si vive per l’unità e per far
circolare la carità». O nella chiesa del Santissimo, dedicata
all’adorazione dell’Eucaristia: «Gesù, dammi la tua luce e il tuo
calore, dicevo, che poi è la sintesi del nostro movimento: il calore
dell’amore di Dio e la luce della Parola».
A rivedere e commentare questi luoghi l’abbiamo accompagnata durante
la visita del giugno 2001, quando tornò per una settimana in città a
ricevere il premio «Trentino dell’anno». Niente sterili amarcord, la
Lubich era sempre proiettata nel futuro: «Mi auspico un avvicinamento
della mia città al disegno che Dio ha su di essa».
Anche ripensando alle Androne, quartiere allora degradato del centro
storico e oggi restaurato con eleganza, portò il pensiero ai poveri
della favelas brasiliane: pure lì i focolarini hanno diffuso
l’economia di comunione che prevede di suddividere in tre parti il
profitto: «Una per portare avanti l’azienda, una per i poveri finchè
non trovano lavoro, una per la formazione alla cultura del dare».
Allora «la maestra Silvia » a Trento ritrovò anche quei primi scolari
meno fortunati accolti al collegetto dell’Opera Serafica sulla
collina di Cognola: «Nel pomeriggio – ricordava – si addormentavano
una mezz’oretta con la testa sul banco, io passavo tra loro nel
silenzio, e avevo quasi
il bisogno di benedirli. Fare la maestra mi ha insegnato ad amare». Ma
lo sguardo di Chiara si posava spesso sui monti dei trentini, il
Bondone e la Paganella celebrate nelle canzoni di montagna che tanto
amava ripetere in coro. Le ricordavano anche le escursioni estive
sulle cime del Primiero dove si tennero le prime storiche Mariapoli,
incontri di preghiera e di condivisione, poi moltiplicatisi nel mondo.
Prima di parlare in Consiglio comunale, dove esaltò il valore della
fraternità in politica (l’emanazione del movimento è affidata alla
trentina Lucia Fronza Crepaz), la fondatrice dei Focolari volle
recarsi a pregare nella cripta paleocristiana del Duomo sulla tomba del
vescovo Carlo de Ferrari, il pastore che riconobbe per primo la loro
esperienza ecclesiale («Andate avanti. Qui c’è il dito di Dio») e la
difese dalle critiche con una dichiarazione scritta in cui auspicava
addirittura «che ci fossero legioni di focolarini ».
Così fu.
Lasciarono Trento e presero le strade del mondo le prime «pope »
(ecco un altro termine dialettale, divenuto ora universale), come
Marilen Holzhauser che trasformò
col Vangelo un villaggio africano in una cittadella dell’unità. Eppure
il loro legame con la Chiesa di Trento non s’interruppe mai, anche se
per tanti anni la fondatrice non vi tornò.
Nel 1987 ebbe la gioia di inaugurare nel sobborgo di Cadine il Centro
Mariapoli, un ambiente ecumenico che, «come bragia sotto la cenere»,
fa incontrare e dialogare leader religiosi di altre confessioni. Un
contributo a tener viva quella vocazione ecumenica di Trento
città-ponte, sottolineata nel 1967 da Paolo VI e nel 1995 da Giovanni
Paolo II. «Vorrei tornare e vedere questa città infiammata dell’amore
di Dio»: il desiderio del 1987 nella settimana del giugno 2001 si
trasformò in un progetto denominato «Trento ardente », dal simbolo
della città, l’aquila ardente di San Venceslao; attraverso incontri
mensili, iniziative formative e caritative, esso punta a rendere Trento
«un modello di convivenza anche per quanti la visitano a causa del
movimento nato qui». Un’idea ribadita nel dicembre scorso nell’ultimo
messaggio alla sua città per l’anteprima mondiale del
libro-testimonianza: «Perché non osare pensare oggi Trento come
città-testimonianza di questa Luce e di questa Vita? Che possa
irradiarle ed essere modello di quell’ideale di unità che vide proprio
qui i suoi albori? Carissimi concittadini, questo oso sognare insieme
a voi. Questo di vero cuore vi auguro! Sentitemi con tutti voi».
Lo statuto prevede che sia una donna a prenderne il posto
A succedere a Chiara Lubich deve essere una donna. Lo stabilisce lo Statuto dell’Opera di Maria, approvato dalla Santa Sede.
Chi sarà non è ancora dato sapere, visto che il nome di colei che
assumerà l’incarico di presidente del movimento sarà stabilito in
ottobre con un’elezione. A scegliere è chiamata l’assemblea generale,
che elegge il presidente, la carica rivestita da Chiara fino alla
morte, e che le è stata rinnovata di sei anni in sei anni, la
periodicità con la quale questo «parlamentino» dei Focolari si
riunisce. L’assemblea sceglie anche il copresidente (attualmente è don
Oreste Basso) e i membri del consiglio. La presidente a sua volta
nomina i vari responsabili dei settori in cui si articola la vita di
questo movimento. L’assemblea è composta proprio da rappresentanti
delle diverse articolazioni del movimento – sono ventisette – e delle
novanta zone territoriali nelle quali è suddivisa la presenza
focolarina nel mondo. La riunione elettiva quest’anno cadrà proprio
pochi mesi dopo la morte della fondatrice. La quale nel libro
«L’avventura dell’unità» ha spiegato le ragioni della scelta di avere
sempre una donna alla guida del movimento e ha raccontato un aneddoto
legato a Giovanni Paolo II. La prima sta nella fisionomia mariana e
nella genesi del movimento, da mantenere anche «nella veste esteriore,
conservando cioè il disegno che Dio ha avuto su di essa per averne
affidato l’inizio e lo sviluppo a una donna».
Interpellato sulla
possibilità di stabilire tutto questo negli statuti, il Pontefice
polacco rispose di slancio: «E perché no? Anzi».
(G.San.)
(14 marzo 2008)
IL TELEGRAMMA DEL SANTO PADRE
REVERENDO DON ORESTE BASSO
COPRESIDENTE MOVIMENTO DEI FOCOLARI
HO APPRESO CON PROFONDA EMOZIONE LA NOTIZIA DELLA PIA MORTE DELLA
SIGNORINA CHIARA LUBICH SOPRAGGIUNTA AL TERMINE DI UNA LUNGA E FECONDA
VITA SEGNATA INSTANCABILMENTE DAL SUO AMORE PER GESU’ ABBANDONATO(.) IN
QUEST’ORA DI DOLOROSO DISTACCO SONO SPIRITUALMENTE VICINO CON AFFETTO
AI FAMILIARI E ALL’INTERA OPERA DI MARIA – MOVIMENTO DEI FOCOLARI CHE
DA LEI HA AVUTO ORIGINE COME PURE A QUANTI HANNO APPREZZATO IL SUO
IMPEGNO COSTANTE PER LA COMUNIONE NELLA CHIESA PER IL DIALOGO ECUMENICO
E LA FRATELLANZA TRA TUTTI I POPOLI (.) RINGRAZIO IL SIGNORE PER LA
TESTIMONIANZA DELLA SUA ESISTENZA SPESA NELL’ASCOLTO DEI BISOGNI
DELL’UOMO CONTEMPORANEO IN PIENA FEDELTA’ ALLA CHIESA E AL PAPA E
MENTRE NE AFFIDO L’ANIMA ALLA DIVINA BONTA’ AFFINCHE’ LA ACCOLGA NEL
SENO DEL PADRE AUSPICO CHE QUANTI L’HANNO CONOSCIUTA E INCONTRATA
AMMIRANDO LE MERAVIGLIE CHE DIO HA COMPIUTO ATTRAVERSO IL SUO ARDORE
MISSIONARIO NE SEGUANO LE ORME MANTENENDONE VIVO IL CARISMA (.) CON
TALI VOTI INVOCO LA MATERNA INTERCESSIONE DI MARIA E VOLENTIERI IMPARTO
A TUTTI LA BENEDIZIONE APOSTOLICA
BENEDICTUS PP. XVI
Il suo carisma
(15 marzo 2008)
La sua rivoluzione nel segno dell’unità
Giovanni Ruggiero
Piovevano
le bombe su Trento, e nei rifugi antiarei, in quei momenti d’angoscia,
tutto e la vita stessa pareva soccombere sotto il fuoco dei
bombardamenti. Non di tutti, però, era lo sgomento. Se ne stava lì una
ragazza poco più che ventenne che non batteva i denti e leggeva in un
cantuccio il Vangelo a quanti le stavano intorno. E un giorno, in un
ululare di sirene, apertolo a caso, lesse nelle parole dell’evangelista
Giovanni il Testamento di Gesù: «Che tutti siano uno, Padre, come io e
te». Chiara Lubich, quella ragazza, portava ancora il nome Silvia che
le avevano imposto i genitori. Era nata a Trento il 22 gennaio 1920 e
non aveva ancora scelto quest’altro nome per onorare la Santa di
Assisi. «Quelle parole – ricorda anni dopo, quando il movimento dei
Focolari è già diffuso nei cinque continenti – sembravano illuminarsi
ad una ad una. Quel "tutti" sarebbe stato il nostro orizzonte. Quel
progetto di unità è la ragione della nostra vita».
Cominciò a
dire alle persone che impaurite la circondavano che però c’è l’Unico
che nessun bomba avrebbe fatto crollare, e ha continuato a insegnarlo a
quanti, poi, l’hanno seguita.
Sono giorni fervidi e intensi: «Ogni
giorno nuove scoperte – ricorda negli anni – il Vangelo era diventato
unico nostro libro, unica luce di vita». Nasce sotto le bombe di
Trento l’idea del movimento, e la stessa Chiara ha creduto che gli
inizi dei Focolari fossero legati a un episodio intimo e di dolce
abbandono, quando nella chiesetta dei cappuccini di Trento, sola
davanti all’altare, pronunciò il suo sì per sempre al Signore. Era il 7
dicembre 1943.
L’unità che desiderano, quando poi finalmente i
cieli italiani si rischiarano, è quella evocata dall’Evangelista
<+corsivo>perché tutti siano uno<+tondo>. Bruna Tomasi è
stata una delle prime a seguire Chiara e ricorda il fervore di quegli
anni dell’immediato dopoguerra. Di Chiara dice: «È stata una persona
che mi ha fissato in Dio. Mi si è spalancato così un cristianesimo dove
tutto mi sembrava vivo. Chiara ci invitava a trasformare il mondo
amandolo». Quell’unità evangelica si inizia a viverla nel quotidiano,
in tutte le circostanze: «Cominciava a dirci che chi ama Dio ama anche
i fratelli, proprio grazie a questo amore, e amandoli li aiuta e li
invita a fare la stessa cosa con gli altri. Così l’amore, che viene da
Dio, diventa una catena».
In questa unità d’amore si sostanzia
il programma e il carisma dei Focolari, oggi più di due milioni in
tutto il mondo, un «piccolo popolo», come ebbe a definirli Giovanni
Paolo II. Il programma di Chiara Lubich è semplice: «Facciamo
dell’unità tra noi il trampolino per correre dove non c’è l’unità e
farla». L’unità attraverso il dialogo che è da principio un dialogo in
più direzioni che Chiara Lubich persegue anche a titolo personale
incontrando le personalità più importanti di tutte le fedi. Dialogo
all’interno della Chiesa, per approfondire la comunione tra i movimenti
ecclesiali; tra le Chiese, per tessere rapporti di comunione fraterna e
accelerare il cammino dell’unità visibile tra i cristiani; con
l’ebraismo, per sanare ferite di secoli; tra le religioni per costruire
un mondo fraterno sui valori dello spirito e, infine, con persone non
mosse da una fede, sulla base di valori condivisi, nel rispetto dei
diritti umani, nei campi della solidarietà e della pace.
È però
soprattutto questa unità nel Suo nome ad aver fatto dei Focolari un
movimento ecclesiale, inserito nell’attuale stagione di fioritura dei
nuovi carismi, che nella Christifideles Laici di Papa Wojtyla
sono chiamati «grazie dello Spirito… per l’edificazione della Chiesa,
il bene del mondo e le necessità del mondo».
E difatti il carisma di
Chiara si sostanzia in un Vangelo vissuto, anche se lei ripeterà sempre
che tutto non è stato pensato solo da mente umana: «Ma viene dall’Alto.
Sono in genere le circostanze che manifestano ciò che Dio vuole. Noi
cerchiamo di seguire la Sua volontà giorno dopo giorno». Lo intuì il
vescovo di Trento, Carlo De Ferrari, che diede la sua approvazione al
movimento nel 1947: «Qui – scrisse icasticamente – c’è il dito di Dio»,
e lo stesso Paolo VI, nella prima udienza data ai Focolari nel 1964,
riconoscerà nel movimento un’opera del Signore. Due anni prima i
Focolari avevano avuto l’approvazione pontificia.
Sono modelli
di unità e di Vangelo vissuto le Cittadelle, oggi 35 sparse in tutti il
mondo. Chi le ha solo visitate e vi ha trascorso anche pochi giorni ne
ricorda l’atmosfera di mondo ideale. Sono vere e proprie piccole città,
con case, negozi, centri d’arte, sale per incontri, atelier e piccole
aziende. Sono bozzetti di una socialità nuova, sperata da molti e
perduta per tanti, la cui legge è l’amore reciproco, la legge del
Vangelo, con la conseguente piena comunione di ogni ricchezza
spirituale. Ed è ancora Vangelo vissuto in molte di queste Cittadelle,
come quella di Loppiano, presso Incisa Valdarno, la creazione di poli
aziendali che accolgono e uniscono imprese produttive informate al
progetto di economia di comunione. Appare quasi un’utopia questo
concetto in un mercato sempre più selvaggio e liberista. Chiara Lubich
ci spiegò con parole semplici lo spirito di queste aziende che hanno
Dio tra i soci di maggioranza: «È da lui che è partito tutto, per
questo dico che è connaturale all’uomo più il dare che l’avere. Lui ha
detto: date e vi sarà dato. Quelli che attuano l’economia di comunione
danno ai poveri almeno un terzo e, di conseguenza, anche a loro sarà
dato».
Un modello di unità è poi la famiglia, alla quale i
Focolari rivolgono una particolare cura. Nel 1967 è nato il movimento
Famiglie Nuove che vede tra i fautori Igino Giordani, il quale aveva
conosciuto Chiara quando sedeva tra i banchi di Montecitorio, nel 1948:
«La santità – scrisse ricordando quel primo incontro – è a portata di
tutti; cadono i cancelli che separano il mondo laicale dalla vita
mistica; sono messi in piazza i tesori di un castello a cui solo pochi
erano ammessi». I Focolari propongono un nuovo modo di essere famiglia
tessuta dalla trama di quattro fili: educazione, formazione, socialità
e solidarietà. «La famiglia – diceva Giordani – non si chiude in se
stessa, ma si espande come cellula. La società nuova nasce, come da
fonte sacra naturale, dalla famiglia che vive il Vangelo».
Proprio di recente, scritti di Chiara Lubich e di Igino Giordani sono stati raccolti per raccontare gli albori del movimento: Erano i tempi di guerra,
è anche il titolo, e si cominciava a costruire qualcosa mentre il mondo
si distruggeva sotto le bombe. Cominciava qualcosa di straordinario. Il
cardinale Tarcisio Bertone che ne ha curato la prefazione lo
sottolinea. Ricordando Benedetto XVI, dice: «Quando un’esperienza
autenticamente evangelica muove i suoi primi passi, è in un certo senso
lo Spirito Santo stesso che nuovamente prende la parola». E Chiara
l’avverte. Un giorno, in una di queste sue Mariapoli ammira la spianata
verde della valle: «Mi parve di capire – ricorda – che un giorno il
Signore avrebbe voluto, in qualche posto, una cittadella simile a
quella che si stava svolgendo, ma permanente, e con la fantasia ho
immaginato di vedere la vallata popolata di casa e casette». Chiara
Lubich, quando ha sentito che il respiro l’abbandonava per sempre, ha
chiesto di tornare a Mariapoli, quella di Rocca di Papa. Qui ha reso
l’anima a Dio, raggiungendolo oltre questa valle.