(Avvenire) Il Papa predica ”opportune et importune”

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Convergenza indubitabile


Le carte sul tavolo



Dino Boffo

Nessuna offensiva inaudita, niente intromissioni pericolose, nulla, proprio nulla di sconvolgente. Ma un legittimo e responsabile esercizio di quella libertà di parola che a tutti è riconosciuta, e di cui taluno invece ogni tanto abusa, gridando gratuitamente al lupo, quando nessun lupo sta sbucando dal bosco. E dunque creando una concreta turbativa, che distoglie i cittadini dal nocciolo dei problemi, nell’illusione di introdurli alla Grande Suggestione, dentro la quale ogni delitto contro la verità diventa possibile. Questo è successo anche ieri, dopo che avevano parlato il Papa e il cardinale Ruini. Già, perché tutti nel nostro Paese possono sovranamente parlare, tutti, tranne qualcuno. A meno che questo qualcuno non intervenga – a gettone – su temi come quello dell’amnistia che ai radicali (e non solo) sta tanto a cuore. E dire che il referendum abrogativo è, per natura sua, strumento non della politica politicante ma della società civile. Che quindi sia conosciuta anche l’opinione loro – dei pastori e del primate, vescovo di Roma – parrebbe la cosa più normale del mondo. Persino La Malfa ha spiegato ieri di non aver nulla da eccepire.
Da giorni, d’altra parte, un tormentone inverecondo riproponeva l’interrogativo: parlerà di referendum il Papa? E in quali termini lo farà? E giù previsioni, in un senso come nell’altro. Ora sappiamo quello che Benedetto XVI effettivamente pensa. E per chi davvero conosceva il pensiero del cardinal Ratzinger non si tratta certo di una novità assoluta. «Con la vita dell’uomo non si scherza» aveva dichiarato già nel ’97 a “Repubblica”. E altrove aveva spiegato: «I fondamenti etici della politica vanno difesi con i mezzi adeguati, con gli strumenti più efficaci che la democrazia moderna ci offre». E non aveva forse firmato, il 24 novembre 2002, coll ‘approvazione di Giovanni Paolo II, la Nota “Circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita pubblica”?
Ebbene, tra le sue parole di ieri e quelle della prolusione ruiniana non si riscontrano sfasature. Ruini aveva poco prima ricordato ciò che da tempo era già noto, ossia la scelta del non-voto come no rafforzato allo snaturamento della legge 40. E il Papa ha prontamente solidarizzato, con una chiosa significativa: «Nella sua chiarezza e concretezza, questo vostro impegno è segno della sollecitudine per ogni essere umano, che non può mai venire ridotto a un mezzo, ma è sempre un fine». Ha parlato cioè in modo da non lasciare margini, e non offrire il destro a capziose distinzioni. La Chiesa è del tutto convergente su questo punto, e l’applauso partito dall’assemblea episcopale non poteva siglare meglio questa convergenza.
Le carte sono ora sul tavolo, con ogni trasparenza. Il dibattito in corso nel Paese si è arricchito di ulteriori apporti, dove ciascuno si esprime secondo il proprio ruolo, senza camuffarsi. O qualcuno rivendica l’esclusiva?
Che vantaggio porteranno questi pronunciamenti alla causa dell’astensione, non è dato di saperlo. E se l’interrogativo appare lecito, esso però è succedaneo rispetto ad una consapevolezza che i vescovi hanno e che sarà utile non ignorare: nel pieno rispetto della democrazia, per noi parlare è un dovere, un dovere insopprimibile, «non per l’interesse cattolico – è scappato di dire al Papa – ma per l’amore che portiamo a ogni creatura». Importante cioè che il Paese sappia.
Obiezioni? Perplessità? Il presidente della Cei stesso pare non ignorarle, e infatti ha impiegato non poche righe per offrire la chiave di lettura a chi avesse voglia di ben capire. In ogni caso, le parole di ieri racchiud ono una diagnosi – intellettuale e morale – preoccupata per la «funesta mutilazione dell’uomo e della sua stessa ragione» che si va profilando in nome di una «razionalità solo strumentale», una diagnosi pacata e argomentata che viene da interlocutori magari scomodi ma spesso cercati, citati, circuiti, esaltati. Che non valga la pena di accantonare la facile polemica per concentrarsi sull’effettiva posta in gioco?

Avvenire 31-5-2005