(Avvenire) Il Family Day lascia nudi i politici

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Popolo allegro e impertinente

La realtà quando rompe gli schemi

 

Eugenia Roccella

 La verità alla fine trova sempre il modo di emergere. E per chi ha gettato anche solo uno sguardo alle immagini della manifestazione di Piazza San Giovanni, la verità era evidente: mai vista una piazza così, stracolma di famiglie e di bambini, un popolo tranquillo e generoso, senza ombra di aggressività o acredine. Le "orde barbariche" di cui aveva parlato il manifesto, erano mamme che bagnavano la testa dei loro piccoli, ragazzi che cantavano o tiravano fuori i panini dalle sacche, papà che spingevano carrozzine.
Gente allegra e nient’affatto minacciosa, che non poteva essere costretta dentro gli schemi ideologici con cui tanti hanno cercato di stravolgere il significato dell’appuntamento. Lo schema, per esempio, di una manifestazione politica, da interpretare tutta in chiave antigovernativa; oppure quello di una sfida alla laicità dello Stato, una sorta di rigurgito sanfedista, magari con Rosy Bindi nei panni di Eleonora De Fonseca. E ancora, l’immagine di una folla prezzolata, pagata dai soldi di una Chiesa ricca e potentissima, o quella di un assembramento di arcigni moralizzatori che non tollerano la diversità, giudicano e condannano.
Probabilmente chi ha nutrito, nei confronti di quella piazza, tanto rancoroso livore da volerla equivocare a tutti i costi, continuerà a farlo, e sarà disposto a negare l’evidenza. Chi ha visto, però, lo sa. E persino dalla stampa più ostile traspare qualche incertezza. Impossibile non registrare l’entusiasmo pacifico di quel milione e più di persone, la spontaneità dell’adesione di tante famiglie che si sono sobbarcate il viaggio con i figli, per dire semplicemente: guardate che ci siamo. Nessun quotidiano ha sottolineato l’assoluta laicità di una manifestazione, promossa da associazioni cattoliche, in cui si è difeso a spada tratta il matrimonio civile; o l’insistenza con cui si è ribadito che l’avversione ai Dico non vuol dire un "no" ai diritti delle persone conviventi, omo o eterosessuali che siano, ma un "no" al metodo scelto per farlo. Dire che siamo tutti figli di un atto d’amore tra un uomo e una donna, e che questa è l’esperienza che unifica gli esseri umani, non è un’affermazione discriminatoria, se mai inclusiva. Affermare che il bene della famiglia è il bene del Paese è puro buon senso, qualcosa che chiunque non sia in malafede potrebbe condividere.
Benché nei media si sia cercato di far passare l’equivalenza tra Piazza Navona e San Giovanni, cercando di rinnovare la logora contrapposizione tra laici e cattolici, nessuno ha potuto crederci, nemmeno i cronisti. A Piazza Navona la differenza non era soltanto quella – abissale – dei numeri, nonostante si esibisse anche il vincitore dell’ultimo Sanremo; era piuttosto nella litigiosità interna, nell’intolleranza aggressiva di alcuni, nei rituali stanchi, nel tono polveroso dell’insieme, compreso il conformismo banale (né coraggioso né laico) di registi, cantanti, attori e volti noti.
Ma nemmeno questo è bastato a oscurare la grande novità delle famiglie che a San Giovanni si incontravano e riconoscevano per la prima volta, di un popolo cattolico che è società civile e chiede ascolto, che è capace di alleanze con il mondo laico non ideologico, che difende la propria esperienza di vita. Quel popolo l’hanno visto tutti, non è più la nebulosa astensionista del referendum sulla procreazione assistita, è una presenza, ha un volto. L’hanno visto soprattutto i politici, quelli che sono venuti e quelli che non sono venuti. E come i bambini del simpatico Povia, i nostri politici si sono stupiti, e hanno fatto "oh!".

Avvenire 15-5-2007