(Avvenire) GPII: ”Ut unum sint. Che la coscienza non ci rimproveri di non aver

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INCONTRO A SAN PIETRO


Il Papa e Bartolomeo I: «Insieme, senza pregiudizi»



Da Roma Salvatore Mazza

A avanti sulla via dell’unità. Chiedendo al Signore di purificare «la nostra memoria da ogni pregiudizio e risentimento», per poter realizzare finalmente il suo comandamento Ut unum sint. Perché «volere l’unità è volere la Chiesa», ha detto il Papa. E l’unità, gli ha fatto eco Bartolomeo I, «è necessaria affinché il mondo creda».
È ormai consolidata tradizione che ogni anno, nella festa liturgica dedicata ai santi Pietro e Paolo, una delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli arrivi a San Pietro – così come per la festa di Sant’Andrea, massima solennità ortodossa, una delegazione vaticana si rechi a Costantinopoli. Ma l’arrivo ieri a Roma del Patriarca Bartolomeo I, nell’anno del 40° anniversario dello storico incontro tra Paolo VI e Atenagora, ha fatto del 29 giugno 2004 un’occasione del tutto particolare. Non solo per la più volte ribadita volontà, in tutti i discorsi ufficiali, di proseguire con determinazione nel cammino ecumenico, né per la nuova dichiarazione comune che dovrebbe essere firmata tra oggi e domani, ma soprattutto per i molti “gesti”, a iniziare dall’abbraccio tra il Papa e il Patriarca, che hanno accompagnato la giornata di Bartolomeo I.
Una giornata iniziata in mattinata con l’udienza al Patriarca, accompagnato da una delegazione ortodossa di 12 persone, per una visita che, nell’auspicio di Papa Wojtyla, deve favorire «un balzo in avanti nel dialogo e nel rinsaldamento delle relazioni fraterne». E conclusasi con la celebrazione in San Pietro, densa di segni inediti che, come detto, testimoniano più e meglio delle parole, quanta determinazione ci sia nel voler perseguire l’obiettivo dell’unità.
Di più. Perché l’impegno alla comunione di tutti i cristiani, dopo secoli di divisioni, viene dallo stesso imperativo di Cristo e deve tradursi oggi «non in un vago rapporto di buon vicinato, ma nel legame indissolubile della fede teologale per cui siamo destinati non alla separazione, ma alla comunione», ha detto Giovan ni Paolo II nell’omelia in piazza San Pietro. E se «ciò che, nell’evolversi della storia, ha infranto il nostro vincolo di unità in Cristo, lo viviamo oggi con dolore», l’incontro di ieri va visto «non solo come un gesto di cortesia, ma una risposta al comando del Signore». L’incontro di 40 anni fa, ha proseguito il Papa, rappresentò «una sfida» su un cammino «certamente non facile, né privo di ostacoli», e da allora «la Chiesa di Roma si è mossa con ferma volontà e con grande sincerità sulla via della piena riconciliazione». Così l’auspicio di oggi è che «tutti i cristiani intensifichino, ciascuno per la propria parte, gli sforzi, affinché si affretti il giorno in cui si realizzerà pienamente il desiderio del Signore: “Che siano una cosa sola”. Che la coscienza non ci rimproveri di non aver tentato tutte le strade!».
Un impegno, dunque, «irrevocabile», ribadito dopo che Bartolomeo I, parlando prima di Giovanni Paolo II, aveva a sua volta sottolineato la necessità di «rimuovere tutti gli ostacoli che non siano dogmatici ed essenziali». È questo l’auspicio comune, ha osservato il Patriarca sottolineando come a dividere siano le stratificazioni del passato, nel quale è accaduto che «fedeli» e «uomini» abbiano presentato le proprie «opinioni, valutazioni e insegnamenti» come se invece fossero espressione di Cristo. «Noi speriamo – ha aggiunto – che ciò che non è stato possibile fino ad oggi sarà ottenuto in un futuro e ce lo auguriamo in un prossimo futuro», anche se «forse sarà lontano». Ma d’altra parte l’unità che si vuole non è una «unione esteriore» o qualcosa di assimilabile alle unioni di Stati, nelle quali si mira a una «superiore organizzazione» che «è molto facile da raggiungere»: è, al contrario, una ricerca spirituale per «vivere insieme in comunione spirituale».
Nel primo incontro della mattina il Papa aveva già avuto modo di esprimere i sentimenti di gratitudine per la visita del Patriarca, più tardi ribaditi all’Angelus. Tra l’altro, nel suo discorso aveva dato voce all’auspicio di una pronta ripresa dei lavori della commissione mista che dovrebbe affrontare i temi teologici che dividono Roma e Costantinopoli, e ribadito una volta di più, come aveva fatto nel maggio del 2001 in occasione della sua visita in Atene, lo «sdegno e dolore» per il sacco di Costantinopoli del 1204, quando i crociati presero la città «versando il sangue di fratelli nella fede», episodio per il quale lo scorso aprile il Patriarcato ecumenico aveva offerto il proprio «perdono».


Avvenire 30-6-2004