(Avvenire) Fermiamo l’Europa di Pilato prima che sia di Goebbels

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L’appello di Benedetto XVI


L’indifferentismo etico soffoca l’uomo



Marina Corradi

È un cenno all’interno del saluto al nuovo ambasciatore di Germania presso la Santa Sede. Il Papa parla di famiglia, e della ingiustificabilità dell’aborto – del dolore della Chiesa per tanti figli mai nati. Poi, aggiunge che la Chiesa “non si stancherà mai di ricordare alle istituzioni europee i problemi etici riguardanti le ricerche sulle cellule staminali embrionali e le cosiddette nuove terapie”. È il primo appello, almeno così diretto, all’Europa su questo argomento.
Come nella imminenza di una scelta decisiva. A novembre il Parlamento di Strasburgo tornerà a pronunciarsi sul Settimo programma quadro per la ricerca, quello che prevede fra l’altro il finanziamento di ricerche su linee staminali embrionali. A maggio, come è noto, il Consiglio dei ministri europei aveva votato un documento che proibisce il finanziamento pubblico a ricerche che distruggano embrioni, ammettendo a quei fondi, tuttavia, quanti lavorino su linee già prodotte o importate da altri continenti.
Paiono cose tecniche, dettagli astrusi, ma ciò che si deciderà definitivamente a Strasburgo è drammaticamente concreto, e senza precedenti. Autorizzare il finanziamento alla ricerca con staminali già prodotte significa che da qualche parte, magari fuori dall’Unione, altri Paesi ci procureranno quelle staminali. Se, poi, come a Bruxelles, non verrà definita una data limite per le linee cellulari, oltre la quale non se ne possa più fare uso, sarà in sostanza un via libera alla produzione di sempre nuove linee tratte da sempre nuovi embrioni. L’Europa, se così fosse, avrà ipocritamente le mani pulite. Lavorerà soltanto sulle cellule dei figli mai nati di altri, altrove, e anche attualmente, distrutti.
Dunque, il prossimo ritorno a Strasburgo del compromesso di Bruxelles è il momento dell’ultimo consenso al finanziamento europeo di una ricerca che usi dell’uomo. E il Papa dice che “non si stancherà” di ricordare alle istituzioni europee il suo monito. Viene in mente il grande emiciclo di Str asburgo, semivuoto e distratto nelle ore del dibattito in aula su quel punto del Settimo programma quadro. Indifferente, se un raro deputato alzava la voce a cercare di richiamare i colleghi al peso di quanto stavano discutendo. Disinformato, nella voce di quanti sostenevano che, per la scienza, è indispensabile sacrificare gli embrioni – quando ogni giorno la realtà dimostra che la grande speranza è nelle staminali tratte da adulti. Cinico, quando si diceva: vogliamo vivere sempre più a lungo, e sani per sempre – ammettendo il prezzo di quell'”insignificante sacrificio”. Venalmente interessato, quando calcolava l’urgenza di superare gli Usa in quella ricerca d’avanguardia.
Il Papa non si stanca. Lo dirà ancora, lo dirà più forte. Perché la Chiesa, ha ricordato ieri, non può mai praticare l’indifferentismo. Ogni forma di indifferenza etica sta “in radicale opposizione al profondo interesse cristiano all’uomo e al suo bene”. Tornando sulle parole della sua prima omelia in San Giovanni in Laterano, quando si insediò come vescovo di Roma. Da quella cattedra, disse, era suo dovere predicare “l’inviolabilità della vita umana dal concepimento alla morte naturale, a fronte di tutti i tentativi apparentemente benevoli verso l’uomo”.
“Apparentemente benevoli”: per pietà, dicono, occorre legalizzare la morte. Per aiutare i malati inguaribili, dicono, occorre trarre dalle cellule dell’embrione le risorse e i segreti. Una grandissima pietas, che s’accompagna però sempre con la morte di qualcuno. L’Europa è spesso ammaestrata da non disinteressati maestri, o distratta. La Chiesa parla, non si stanca di parlare.