(Avvenire) Famiglia, la congiura delle parole

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“Avvenire”, 4.12.2002

INTERVISTA

Il cardinale Trujillo: «Pronto il “Lexicon familiare”. Farà chiarezza di
tante ambiguità»

Un voluminoso studio del Pontificio consiglio per la Famiglia punta a
smascherare i tanti termini apparentemente neutri che nascondono in realtà
obiettivi ideologici

Di Luciano Moia La contaminazione del linguaggio come strada privilegiata per minare alla
base l’istituzione familiare. Sembra un problema trascurabile. Eppure da tre
decenni la cultura laicista che domina quasi incontrastata le istituzioni
internazionali e le grandi assisi sullo sviluppo dei popoli – dal Cairo a
Pechino – riesce a far passare contenuti eticamente dirompenti dentro
involucri lessicali apparentemente innocui.

La madre di tutte queste storture, negli anni formidabili del femminismo
d’assalto, è stata l’ignobile dizione “interruzione volontaria di
gravidanza”. Poi siamo stati sommersi da manipolazioni linguistiche sempre
più raffinate: da “salute riproduttiva”, a “maternità responsabile”, da
“controllo demografico” a “riduzione embrionale”. Ma non basta ancora. Oggi
siamo arrivati al punto che anche espressioni apparentemente senza
possibilità d’equivoco, come “indissolubilità matrimoniale” o “amore
coniugale” possono aprire – se maneggiate disinvoltame nte – spiragli
devastanti per il relativismo delle coscienze.

Nella primavera del 2001, durante il Concistoro straordinario convocato da
Giovanni Paolo II, il cardinale Alfonso Lopez Trujillo, presidente del
Pontificio consiglio per la famiglia, annunciò la pubblicazione di uno nuovo
“vademecum” di etica familiare, necessario per ribadire i fondamenti
dottrinali alla luce delle nuove situazioni e porre un argine al “complotto”
familiar-linguistico. Adesso l’atteso strumento è pronto. Si intitola
“Lexicon della famiglia” e andrà in libreria (edizioni Edb) all’inizio del
prossimo anno. Un volumone di quasi mille pagine (vedi box in questa pagina)
a cui hanno collaborato decine di specialisti internazionali.

Cardinale Trujillo, a quali criteri si ispira il “Lexicon”?
Quando si parla di famiglia nelle sedi Onu o nei parlamenti nazionali i
termini e i concetti ambigui impediscono di comprendere davvero le
intenzioni dell’interlocutore. Quattro anni fa abbiano organizzato un
incontro con alcuni esperti internazionali e abbiamo tentato di stilare un
elenco delle definizioni “a rischio”. Quelle che, dietro forme
apparentemente positive, nascondono obiettivi discutibili.
Cosa è emerso da queste verifiche?

Risultati del tutto preoccupanti: ormai la maggior parte dei riferimenti
alla famiglia, all’infanzia, alla donna sono viziati da un linguaggio quasi
orwelliano. Si pronunciano frasi che non definiscono mai con chiarezza il
concetto che si intende realmente esprimere.

Possiamo fare qualche esempio?
Ce ne sono a centinaia, purtroppo. Quando si parla di discriminazione della
donna, in realtà non ci si preoccupa della condizione femminile, ma si vuole
far capire che la famiglia è il luogo in cui le aspirazioni della donna
vengono mortificate. In altri termini: parlare di discriminazione della
donna diventa troppo spesso un atto d’accusa verso la famiglia. < BR>Un
altro termine che serve a mascherare concetti discutibili è quello di
“genere”.

Se ne parla nel Lexicon?
Senz’altro. Oggi ci sono tanti esperti che non fanno più riferimento al dato
biologico ma alla scelta culturale. Secondo questa logica l’identità
sessuale non deve trovare la sua radice nella natura umana ma
nell’orientamento che il soggetto è libero di abbracciare. In questo modo si
tenta di mettere sullo stesso piano coppie etero e coppie omosessuali.

Questi artifici linguistici congiurano davvero contro la stabilità della
famiglia?
Purtroppo sì. Oggi per esempio si parla di educazione sessuale, ma si
dimentica di spiegare che l’educazione va fatta sul fronte dell’affettività
e dei rapporti interpersonali, non su quello delle “tecniche” sessuali.
Insomma, la confusione ideologica è pesantissima. C’era davvero il bisogno
di fare un po’ di chiarezza.