(Avvenire) Dio ha un progetto per ognuno

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IL PERSONAGGIO
L’associazione Giovanni XXIII festeggia il suo fondatore, da sempre in prima linea nella battaglia per liberare le donne dalla schiavitù e dallo sfruttamento


Benzi, ottant’anni per dire «sì» a Dio


Don Oreste: «Non ho meriti miei, ma sono convinto che il Signore ha un progetto per ognuno di noi e io ho solo tentato di accoglierlo Ho cercato di non perdere mai la “coincidenza” con Dio che viene»


Da Roma Pino Ciociola

Settantadue anni fa, una sera il papà arrivò un po’ più tardi del solito: s’era fermato ad aiutare un’auto scivolata con due ruote nel torrente in piena vicino San Clemente, paesino dell’entroterra riminese. Entrò a casa, e sistemò la sua bicicletta raccontando subito quel che era successo, ma soprattutto spalancando gli occhi di gioia nel dire, in dialetto romagnolo, che poi l’uomo alla guida, uno dei proprietari terrieri della zona, «mi ha stretto la mano!». Quella sera Oreste era un piccoletto, sveglio, che aveva otto anni: «M’impressionò il suo racconto. Ma capii molto tempo dopo, nella mia giovinezza, perché quel gesto colpì tanto mio padre da fargli ricordare solo più tardi anche le due lire di ricompensa ricevute per il suo aiuto: lui apparteneva a quella massa di uomini e donne che credono di non valere nulla tanto da chiedere quasi scusa di esistere. Quando lo realizzai, decisi che nel mio sacerdozio avrei scelto di essere al fianco di coloro che pensano di non essere niente». E non è più tornato su quella scelta. Anzi.
«La coincidenza con Dio»
Don Oreste Benzi oggi compie ottant’anni: lo stanno festeggiando – mentre leggete – la sua Associazione, le sue ragazze e i suoi ragazzi, i suoi compagni di viaggio da una vita, ma anche la stessa “sua” Rimini.
«Vedi – dice, felice – sembra la considerazione di un presuntuoso, ma penso che rifarei tutto quanto ho fatto in questi ottanta anni. Sai perché? Non per meriti miei, ma perché sono convinto che il Signore ha un progetto per ognuno di noi e io ho cercato sempre di rispondergli sì. Ho cercato insomma di non perdere mai la… coincidenza con Dio che viene».
“Follia” sulla statale
È vero, don Oreste ha la tonaca lisa, dorme qualche ora per notte e spesso in macchina, è sempre in giro ad aiutare prostitute e tossici e sbandati, ma quel che impressiona perché spazza via la sua età è la sua gioiosa “follia”. Ha l’anima, la passione, l’entusiasmo di un ragazzo. Forse il cuore, anche. Sicuramente la capacità di inventare solari pazzie che sulle prime fanno sorridere, poi cambiano dentro. E spesso disturbano gli osservatori benpensanti che giudicano il mondo dalla loro rassicurante finestra.
Immaginate i cupi bordelli di Chisinau, la capitale moldava. Oppure, più vicina, la statale che da Rimini va a Ravenna: ragazze sotto la luna o la pioggia in minigonna, trucco pesante e tristezza lungo il ciglio della strada, una ogni cinquanta o cento metri.
Immaginate, alle tre di notte, questo prete che scende da un’auto sorridendo e portando fra le dita cinque o sei Rosari, che si avvicina. Immaginate loro che scappano ridendo sguaiate e poi invece gli si fanno intorno, chiacchierano insieme e, prima di tornare al loro “lavoro”, prendono un biglietto con il telefono dell’Associazione scritto a penna e poi gli chiedono, dolcissime, una Coroncina di quelle che tiene fra le dita. E lui, risalendo in macchina, che ti sussurra «vedrai, qualcuna domani chiamerà e la tireremo fuori da qui».
Gioia di bambino
«Il mio ricordo più brutto, o forse solo più pauroso, è quando un “magnaccia” mi puntò la pistola sul viso – racconta – ma poi è andata a finire bene».
I più belli sono due: uno appena dello scorso 29 novembre, «quando andammo con la comunità in udienza da Giovanni Paolo II», l’altro molto più antico, per il quale bisogna fare nuovamente un salto indietro nel tempo e a San Clemente, il paesino dov’è nato.
«Avevo quasi otto anni e la mia maestra, Olga Badani, un giorno ci parlò così bene degli scienziati, dei pionieri e dei sacerdoti che io tornai a casa dalla scuola e dissi a mia madre “mamma, io diventerò prete”. Da allora la gioia di esserlo mi è rimasta sempre la stessa e proprio come quella di un bambino!».
Il sogno e il progetto
Era famiglia molto povera, quella di don Oreste: papà operaio (che «non sempre aveva lavoro»), mamma e lui, settimo di nove figli. Entra nel seminario di Rimini nel 1937, quando ha dodi ci anni, e dopo altrettanti ne esce sacerdote, ordinato il 29 giugno 1949. Ed è nel 1968 che nasce la prima casa famiglia dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, fondata insieme ad altri sacerdoti e diversi volontari.
«I momenti peggiori della mia vita sono quando vedo una persona disperata: mi sento impotente, piccolo, una nullità di fronte a loro. Allora però cerco di aiutare quella persona e metto tutto nelle mani della Madonna».
La fede di don Oreste è inscalfibile. È la certezza che spinge a muovere la sua meravigliosa “follia” per amore degli altri. «Credo che tutta la nostra vita è immersa nell’Amore del Signore. Lui, come ogni papà, vuole farci partecipi del suo sogno per noi, che è anche progetto di salvezza». C’è Giampiero con lui, il responsabile del servizio antitratta internazionale dell’Associazione, e il suo cellulare squilla a ripetizione: cercano don Oreste per gli auguri. Lui lo ripete: «In questi anni ho cercato sempre di non dire no a Dio».
Buon compleanno
«No, sai – aggiunge poi di colpo, mentre ci stiamo salutando – a pensarci meglio c’è una cosa che cambierei dei miei ottant’anni: lotterei molto più contro il mio orgoglio e tutti i miei difetti». Ci sarà il tempo: oggi è quello di godere dei tuoi ragazzi che ti fanno festa, don Oreste. Buon compleanno.