(Avvenire) C’è una via spagnola al cattolicesimo moderno

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Avvenire 6-5-2003

Il viaggio del Papa, gli esiti in corso

La folla della due giorni di Giovanni Paolo II a Madrid obbliga a rivedere taluni giudizi della vigilia su un Paese dato per «indifferente» La comune sfida del secolarismo sembra invece trovare risposte non scontate

Francesco Ognibene
Seicentomila giovani sabato, addirittura un milione domenica per la Messa a Madrid. D’accordo: non si può pesare la fede di un popolo con la bilancia delle migliaia di persone che incontrano il Pontefice. Ma dentro le sorprendenti cifre della due giorni papale in Spagna c’è un segnale che non merita di scivolare in silenzio negli archivi, quasi quest’imponente accoglienza fosse coreografia scontata in un Paese di tradizione cristiana. Non occorre infatti memoria d’elefante per rammentare che la «cattolicissima Spagna» delle cronache di ieri solo quarantott’ore prima era per giornali e tivù una terra indifferente a Giovanni Paolo II, scompostamente attratta da uno stile di vita da neo-potenza consumista, tutta movida anziché preghiera, un popolo più ex-cristiano del nostro, profezia vivente del “come diventeremo”, gente secolarizzata al punto da far temere una delusione per l’anziano Papa, del quale tutt’al più interessava vagliare l’efficienza fisica nel suo 99° viaggio internazionale. E se si è stati lesti a cogliere nei discorsi di Wojtyla il ricorrere di temi come pace, Europa, radici cristiane, non altrettanto è accaduto di fronte allo spiazzamento dei fatti: cioè l’afflusso di gente – i giovani erano il doppio dei pronostici – che semplicemente “cercava” il Papa (per “vederlo” bastava accendere la televisione). Né tra le cinque canonizzazioni di domenica c’era una sola celebrità che giustificasse la marea accorsa alla Messa sotto un sole bollente. Dunque, cosa chiedeva domenica la Spagna «post-cattolica» in plaza Colon? Il fatto è che quando si parla di Spagna, e di Spagna cristiana, sembra scattare ancora il riflesso di un giudizio storico ingombro di cianfrusaglie ideologiche sugli anni del franchismo e ancor prima sulla guerra civile, dalla quale – per capirci – si rimuove abitualmente il martirio di migliaia di sacerdoti e religiose (non a caso oggi giudicati santi da Giovanni Paolo II in quanto “martiri”). Su un Paese che ha attraversato prove tanto dramm atiche e controverse sarebbe doverosa un’analisi più articolata e prudente, ma giudicando il “caso spagnolo” si continua a preferire le scorciatoie. E la visita papale non fa che portare a galla l’insufficienza delle abituali categorie, anche per giudicare il travaglio della cattolicità iberica di fronte alla modernità. Di qui nasce l’immagine semplificata e fuorviante di un Paese dove la riconquistata democrazia sarebbe coincisa con il rigetto di una tradizione religiosa “imposta” dal Caudillo e finalmente rimossa come un abito fuori moda. Che la secolarizzazione logori qui come altrove la memoria cristiana della società è palese. Eppure la vivacità della Spagna, sotto gli occhi di tutti solo scorrendo le classifiche della competitività sui mercati, senza dimenticare l’inedito protagonismo in politica estera, ora è in piena luce anche sul versante religioso. E non per effetto di un improvviso risveglio. Da tempo infatti è spagnolo il gruppo più numeroso di missionari nei cinque continenti: e l’impulso a evangelizzare non appartiene certo a una Chiesa in declino. Lo stesso laicato cattolico proprio in Spagna ha visto sorgere o radicarsi realtà istituzionali e movimenti i quali chiamano i cristiani a una coerente testimonianza individuale che non si nasconde dietro targhe ma chiama a spendersi di persona, proprio là dove il secolarismo colpisce più duramente. A Madrid è questo cattolicesimo del lievito nella società post-moderna ad aver cercato la carezza del Papa.
«Ubi Petrus, ibi Ecclesia»: l’istinto profondo della Spagna cattolica ha mostrato di conoscere ancora la strada.