6 novembre – Trentaduesima Domenica del Tempo Ordinario

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Trentaduesima Domenica del Tempo Ordinario, Anno A

Sacra Scrittura
I Lettura: Sap 6,12-16;
Salmo: Sal 62;
II Lettura: 1Tes 4,13-18;
Vangelo: Mt 25, 1-13


NESSO TRA LE LETTURE

È indispensabile acquisire quella saggezza che ci dispone all'incontro definitivo con Dio, nostro Signore.
La liturgia di oggi ci prepara per la solennità di Cristo Re dell'Universo. La prima lettura fa un elogio della sapienza, e sottolinea che "colui che la ricerca la trova". Dunque, non è lontana da noi. Se vogliamo, possiamo trovarla (prima lettura). Questa saggezza non consiste effettivamente in un gran *censura*ulo di dati scientifici, ma è piuttosto una "sapientia cordis". È una conoscenza profonda, è esperienza di Dio e del suo amore; una conoscenza chiara di se stessi e degli uomini, fratelli in Cristo.

Anche il Vangelo ci parla della saggezza e della prudenza delle vergini, ben preparate per l'arrivo dello sposo. Il Regno dei cieli è paragonato ad un banchetto nuziale, e viene ribadita la necessità di essere preparati, perché non si conosce l'ora in cui lo sposo arriverà. Le vergini sono sagge, perché hanno saputo prepararsi adeguatamente, portando con sé una buona scorta d'olio, che manterrà accese le loro lampade. Le altre vergini sono stolte, perché si sono lanciate sprovvedutamente per le strade della vita; non avevano immaginato che lo sposo avrebbe potuto tardare; non si sono rese conto che il tempo avrebbe potuto dissolvere le loro aspirazioni e le loro speranze, e così hanno scoperto con sgomento che, quando già si poteva udire la voce dello sposo, non c'era più olio a tener accesa la loro lampada. Non erano pronte a intraprendere la processione finale, quella che conduce alla casa dello sposo (Vangelo).

San Paolo, nella sua lettera ai Tessalonicesi, parla loro dell'importanza di mantenere la fede, e compatisce coloro che muoiono come se non ci fosse un'altra speranza. Tutti coloro che credono in Cristo e appartengono a Cristo, "staranno sempre col Signore". Per questa ragione, il cristiano deve vivere consolato dalla gioiosa e profonda speranza di Cristo Gesù.

Messaggio dottrinale

La vera saggezza. La saggezza si potrebbe definire come la capacità di giudicare ed operare in modo conforme alla verità e alla volontà di Dio. La Sacra Scrittura presenta l'uomo saggio come colui che ama e cerca la verità (cf. Sir 14, 20-27). La sapienza non è, dunque, la somma di molte conoscenze scientifiche, per ampie, precise e diversificate che siano. Piuttosto, saggio è colui che fa propri i pensieri di Dio e i desideri della sua volontà. Saggio è colui che possiede una conoscenza, una esperienza dell'amore di Dio e, alla luce di questo amore, giudica tutto l'accadere umano; giudica la propria vita e le proprie decisioni, e opera di conseguenza. Al margine della verità e della ricerca sincera della verità, non c'è saggezza possibile. Infatti, si dà il caso di persone illetterate, povere di conoscenze scientifiche, perfino analfabete che sono però sagge perché conoscono, hanno esperienza di Dio e cercano sinceramente la verità. Ricordiamo santa Caterina di Siena, che manteneva corrispondenza epistolare col Papa e i grandi della sua epoca, e non sapeva scrivere. Al contrario, vi sono persone ricche di risorse intellettuali e di conoscenze scientifiche che, tuttavia, non possiedono la sapienza del cuore. Non conoscono, né amano Dio e la sua volontà. Il vangelo ci mostra le vergini prudenti che sanno far scorta d'olio, affinché non manchi luce alle loro lampade. Era tradizione ebraica accompagnare gli sposi dalla casa dei genitori della moglie fino alla casa del marito. Si organizzava una processione festosa, con lampade e canti. Era, dunque, necessario che le vergini o le donzelle avessero la propria lampada accesa per accompagnare debitamente lo sposo che arrivava. Secondo la parabola evangelica, essere prudente e saggio significa "essere preparato per l'arrivo dello sposo". Cioè si tratta di un atteggiamento di vigilanza, una disposizione dell'animo e dello spirito per andare incontro al Signore che sta per arrivare. L'obiettivo è mantenere la lampada accesa; mantenere la confessione della fede nel nostro Salvatore, Gesù Cristo; mantenere la gioia della speranza; mantenere l'ardore della carità fino all'ultimo istante della nostra vita. Al contrario, esser stolti significa "andare incontro agli ultimi momenti della vita, senza essere convenientemente preparati", lasciando morire nel cuore l'amore vero.

Quale è, ci si può domandare, quest'olio che manterrà accesa la nostra lampada per la venuta di Cristo? La risposta non può essere altro che "l'amore". L'amore ardente e generoso, che mantiene l'anima rivolta verso Dio e verso i nostri fratelli, gli uomini. L'amore, che è donazione di se stessi. L'amore, che consiste nello scoprire in ogni fratello l'immagine stessa di Cristo. È l'amore che trionfa sul peccato, l'egoismo e la superbia. È l'amore la "più grande di tutte le virtù". Se desideri essere pronto per la venuta del Signore, disponi la tua anima ad amare, a "rimanere nell'amore" (cf. Gv 15,9), perché al "tramonto della vita saremo giudicati in base all'amore". Infatti, dice la Scrittura che "chi non ama, rimane nella morte" (cf. Gv 3,14). Anche la parabola ci mostra che questa saggia preparazione all'arrivo dello sposo è questione personale. Ognuno deve prepararsi, perché quando arrivi lo sposo non sarà possibile scambiarsi le ampolle o travasare l'olio dall'una all'altra. Ognuno è responsabile di se stesso, e dovrà continuare a preparare la sua anima all'incontro definitivo con Dio. Non è poca la responsabilità che ci è affidata. Siamo stati creati da Dio per amore, e ci dirigiamo incessantemente verso di Lui. Sarebbe insensato vivere come se Dio non esistesse, come se la nostra vita non stesse snodandosi minuto per minuto, come se dopo la morte non ci fosse il banchetto celeste e la gloria eterna di Dio. Una delle tentazioni più forti dell'uomo moderno, e anche del cristiano, è quella di ridurre le proprie speranze unicamente a ciò che è terreno e mondano. Un uomo che vive senza l'orizzonte dell'eternità. Come se l'eternità non esistesse, e non stesse più, ogni momento, accanto a noi! Ravviviamo il nostro spirito, lasciamo da parte ogni stanchezza o pigrizia; manteniamo salda la confessione della fede, perché lo sposo sta per arrivare! Ritarda, ma giungerà. Controlliamo le nostre ampolle, esaminiamo le nostre anime e, se non c'è olio, se non c'è amore, non proseguiamo, mettiamoci all'opera, perché "al tramonto saremo giudicati sull'amore".

Quale disgrazia per quelle anime che, pensando di camminare ragionevolmente lungo la vita, arrivano alla porta dello sposo e ascoltano quelle terribili parole: "non vi conosco, proprio non vi conosco!". Affinché non ci accada questo, amiamo oggi, doniamoci oggi, col nostro presente costruiamo la nostra eternità. Alla fine della vita, conta solo ciò che avremo fatto per Dio e per i nostri fratelli.


Suggerimenti pastorali

Vivere con la lampada accesa. Nei primi anni dell'era cristiana, il battezzato era detto anche "illuminato": colui che era stato illuminato dalla luce di Cristo. Colui che era passato dalle tenebre del peccato alla luce meravigliosa dell'amore di Dio. Il cristiano era visto come una lampada la cui luce doveva illuminare tutti i membri della famiglia. Tali cristiani continuiamo ad essere noi. Anche noi abbiamo l'obbligo di vivere con la lampada accesa. Abbiamo la grande opportunità di illuminare questo mondo, che si dibatte tra le tenebre. Abbiamo l'occasione di aiutare tanti nostri fratelli che non conoscono Cristo, o lo conoscono solo di nome, ma non hanno fatto esperienza del suo amore. Vivere con la lampada accesa significa:

– Farsi dispensatore di bene nella propria umanità. Questo è ciò che fanno i grandi santi che irradiano Dio, come il beato Giovanni XXIII, che trattava con tanta tenerezza i detenuti, i poveri, le persone di altre religioni. Si tratta di essere luce e consolazione per tutti coloro che giacciono nelle tenebre della morte e del peccato.

– Vivere un atteggiamento di servizio e donazione. Si tratta di superare l'individualismo, l'egoismo, la propria comodità. Viene alla mente il caso del beato Laszlo Batthyany-Strattmann (1870-1931), un laico ungherese, padre di quattordici figli, fondatore di due ospedali, e un vero "buon samaritano" per centinaia di malati e di bisognosi. Davanti ai nostri occhi ci sono due opzioni: o vivere per noi stessi, consumando il nostro olio e conservare per noi la nostra luce, come lucciole; o vivere per Dio e per i nostri fratelli, gli uomini, irradiando la luce di Cristo. La prima opzione ci porterà alla tristezza perenne, la seconda alla felicità eterna.

– Vivere di fede. Come san Paolo dobbiamo poter dire alla fine della vita: "ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona che il Signore mi ha riservato" (cf. 2 Tm 4-.

Giudicare tutto secondo la verità. Non inganniamoci con i sofismi, con i ragionamenti umani. Cerchiamo la verità in tutto, siamo sinceri con noi stessi e con gli altri. Solo coloro che cercano la verità al di sopra di tutto sono pienamente liberi, e non c'è falsità in essi. Ricordiamo che non siamo noi quelli che costruiscono la verità, né decidiamo il bene e il male. Al di sopra di noi, c'è la legge eterna cui dobbiamo conformarci. Non dobbiamo perdere di vista che siamo creature e che dobbiamo umilmente sottometterci al nostro Creatore. "Il principio della scienza è il timor di Dio" (cf. Prov 1,7).